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Risoluzione zero

 Un'attività, un gioco, un sollazzo qualunque. La missione.
 
Sto svolgendo una piccola intenzione : cercarei di svegliare i giovani musoni ammutoliti. Come?
Cercando di interagire, inter-attivizzandoli. Da internauta -ahimé- quale mi ritengo, cerco di impelagarmi in discussioni interessanti, ironizzare scioccamente, e portare interesse, per poi riceverlo. Ma i giovani poco comprendono il mio intento principe: quello di prenderli per mano. Forse ho le mani screpolate, forse ho mangiato poche pagnotte anche io, ma vorrei tanto che un giovane mi tendesse un orecchio. Non tutti e due, almeno chiedo che me se ne rivolga uno. Non chiedo quello buono per forza!
Questi giovani cercano di sorpassarti ogni volta, dannazione! Oppure di prendere scorciatoie. Io sarà masochista, ma almeno mi soffermo, mi siedo, e so come si cammina affianco a qualcuno. Forse so anche come stargli dietro, ma cerco sempre di "connettermi" al suo passo. Le connessioni più difficili sono quelle in cui il discorso, ad ogni step, ribadisce il suo principio, non il suo valore. I valori sono quelli che appesantiscono la coscienza, e non sono altro che la morte del confronto. Io non capisco. Ma perché questi giovani ti presentano il pacchetto prestampato di un opinione raccolta dalle briciole di un'altra?! Ma io dico? Come agire, affinché ognuno si riappropri, attraverso un processo all'inverso, della sua identità, quella che pulsa anche sotto le scorze dell'esperienza. Quell' "Arkè", quel "plus" incontaminato da cui un baldo giovine potrebbe trovare la forza per reimpostare discussioni, risolvere intercapedini che portano al "piattume" di comunicazione.
Risoluzione zero, la chiamerei questa tensione a precedere il pensiero, a parlare senza un "originalità" propria nell'apertura. Tutto si confonde in una polarità sistematica, automatica che per interpolazione si risolve in Lineare. Nulla a riguardo. La linearità è ineccepibilmente costante. Il discorso si regge per miracolo, ma nel frattempo viaggia su strade sicure.
Quello che io proporrei sarebbe più la costruzione di un filo, magari poco robusto, ma che sia tenuto "teso", in tensione appunto, da abilità "magistrali" - che tutti hanno!-nell'accordarlo, pizzicarlo volta per volta. Percosse giunte da ogniddove. Mi sentirei davvero a casa. Sarebbe come dire, io mi offro, sono qui, violentatemi. Con cura, ma violentatemi (?).
Ma -ditemi- dov'è il "sacrificio" nella propensione a collegarsi ai "toni subsonici" altrui? Dov'è la voglia, la gioia, il piacere di concepire un opinione come risorsa? Non come "istitutio"? Il concedersi all'accoglimento, il gesto di sottrarsi alle sovrastrutture, lo percepite  in giro, anzi, sottopelle? 
 
Ora, la mia provocazione è rivolta ai giovani, a quelli come me, piccoli e ingenui, forse -magari!- , e che troppo spesso accavallano le gambe, e ai piccoli saggi incolumi che si lasciano distrarre dai rischi di viaggiare in  una "rete neurale" come quella virtuale.
Siamo sempre sollecitati, non solo nel web, da miriadi e biliardi di attrazioni, permeati da moltiplicazioni di stati d'animo che si moltiplicano al bagaglio di sensazioni taciute, o accumulate. Siamo "in fermento", sempre, La natura è "in viaggio per..", sempre. Continuamente. Non la sentiamo, ma vive, pullula, assorbe, rovina, guasta, ma origina, si manifesta, non per forza tramite eclatanti creazioni. Ma è sempre viva. Così agiscono gli algoritmi naturali, e così la vita fluisce....
Quindi, mi "arichiedo": come fare per cercare di svegliare, di svegliarci per i confronti paritari, per concederci all'apertura e conquistare i giovani che, come me, molto spesso vogliono viaggiare "comodi". E sollazzare su un tappeto sicuro, ma contaminato ?!
 
Proporsi non significa prostituirsi, questo sia chiaro.
 
Con docilità.
Mary, sempre con voi, e per voi!

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