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Il top

                      Oggi posso finalmente affermare di aver raggiunto il Top. Certo non è stato facile e, mi si passi il dire, ho dovuto farmi un…un…si, insomma un culo così! Ho lavorato ininterrottamente di giorno e di notte per raggiungere il benessere nel quale vivo oggi. Ho lavorato senza mai tirarmi indietro, senza mai negarmi. Ho lavorato con grande competenza e professionalità, ed oggi, meritatamente, sono al Top. Rimpianti? Nessuno! Se dovessi tornare indietro rifarei tutto quello che ho fatto, in fondo come si dice? Ho avuto il mio divertimento non lo nego, anche se, vero è, che ho dovuto nascondere la mia  reale natura.   
                      Praticamente lor' signori sappiano che, diciamo che…ora…sarei... sono diventato…come dire? Sono diverso, ecco! Un diverso! Ehi, di cosa vi meravigliate? In fondo cos’è un diverso in questa umanità così distratta dal denaro? E’ un randagio da prendere a calci, un gatto da legare per la coda, a meno che questo diverso non sia di solletico a qualche vostro interesse. Nevvero? Eheheheh…In tal caso il diverso non è poi tanto diverso. Mettetevi comodi gente, ho voglia di raccontarvi la mia favoletta:
                      C’era una volta un giovanotto che si chiamava Michele, era un bel ragazzo di belle speranze. Suo papà lavorava come pizzaiolo in un buon locale, mentre la mamma si occupava della cucina in un altro locale. Nonostante una più che precaria situazione economica, lo fecero studiare ragioneria e si diplomò con ottimi voti. Michele era davvero un bel ragazzo: biondo naturale, occhi azzurri, bel fisico. Insomma faceva breccia nei cuori e nella fantasia delle tante ragazze che gli giravano intorno.
                    
                     Purtroppo suo papà si ammalò di cancro ai polmoni ed in men che non si dica se ne salì in cielo. In terra, disperati, rimasero lui e la mamma e siccome le cose non andavano bene, il bravo giovane, con un diploma di ragioniere, se ne andò a lavorare in nero dove la mamma faceva la sguattera. E meno male che era uno stacanovista perché in quel locale si faticava come negri! Sfornavano centinaia di pizze dalla mattina alla sera. Si andava avanti e indietro per l’intera giornata dalla cucina alla sala e dalla sala alla cucina, e di notte si doveva ripulire tutto prima di chiudere. Un lavoraccio dal lunedì alla domenica, senza soste, senza riposo, che facesse caldo o che facesse freddo, che ci fosse il sole o che piovesse. Ed il bello…cioè il brutto era che si guadagnava poco.
                     
                 Spesso la notte capitavano le donnine, ed allora era un vero spasso perché esse portavano colore ed allegria. Alcune venivano da sole, altre accompagnate dai loro clienti o dai loro papponi. Erano tutte vestite in maniera vistosamente provocante, con minigonne tanto strette e corte da scoprire l’intimo, quando lo avevano, o con gonne con spacchi laterali attraverso i quali si intravedevano reggicalze neri, bianchi o rossi. Ampie scollature, poi, mettevano in risalto certi seni enormi che danzavano al suono delle loro risate.
I volti, sembravano di ceramica ed erano truccati in modo esagerato con un’enorme quantità di fondotinta fuso con sbarazzine incipriate. Le bocche parevano disegnate da un cattivo artista e gli occhi erano più folkloristici dei carri allegorici del carnevale. Ma fra le donnine che venivano a notte fatta in pizzeria ce n’era una del tutto particolare, molto diversa dalle altre. Si faceva chiamare Norma, il suo vero nome non lo sapeva nessuno.  Si distingueva dalle altre perché era una vera signora. Era bella, neanche pareva una puttana tanto vestiva sobria. Era una dolce brunetta e portava sempre un paio di occhiali scuri tirati sulla testa quasi fossero un oggetto ornamentale del suo sempre sorridente visino.  Ad un dito di una sua mano luccicava come un faro di notte il brillante di un anello i cui riflessi distraevano Michele dal lavoro. Il giovane la guardava e lei, nel medesimo istante, gli lanciava sorrisi. Egli non riusciva a capire se i suoi ammiccamenti fossero naturali o provocatori. Tuttavia erano come calamita che attirava ferro.
 
                        Così il giovane si avvicinò alla donna e scambiò qualche parolina del tipo:- Tutto bene? Era buona la pizza? E’ rimasta soddisfatta? – Lei rispondeva con dei sorrisi graziosi ed incoraggianti a dilungare la conversazione.
Le sue visite nelle piccole ore della notte si successero per qualche giorno ed ogni volta elargiva a Michele una mancia generosa quasi volesse dimostrargli in questo modo il suo benessere. Finché ‘na sera si presentò all’ora di chiusura del locale. – Sono spiacente, - disse Michele – ma abbiamo già spento il forno…-
- Poco male, non sono venuta per la pizza. Sono qui per te.-
- Per me???-
- Quanto guadagni qui?- gli chiese guardando fuori quelle poche macchine che passavano veloci.
- Beh, ho quasi vergogna a dirlo.-
 Sei davvero un bel ragazzo, dai lineamenti, diciamo, molto gentili…-
- Grazie.-
- Sai quanto guadagna un Cigolò?- disse sospirando.
- Un…cigolò? Uno che, insomma, si vende?-
- Si vende, che parolona! Diciamo che compie buone azioni dietro compenso…-
- Non saprei. – disse Michele – Trenta? Quaranta? Cinquanta? –
- Cento! Centocinquanta! Duecento! –
                      Norma chiese a Michele di accompagnarla a casa. Aveva un’abitazione elegantissima che ostentava ricchezza in ogni stanza: poltrone e divani di lusso, tavoli con marmi pregiati, mobili classici, un alcova principesca con un talamo a forma di cuore.
- Accidenti! – esclamò il giovane – Sinceramente non pensavo che la vita in strada rendesse tanto.- Poi,  accortosi dell’ardita riflessione, chiese scusa.
- Non hai da scusarti. – disse lei – In strada, comunque, la vita rende poco. La ricchezza passa per le mani di chi gestisce gli affari…cioè per le mie.-
- Vuol dire che lei è una pap…
-…Pona. Pappona! In un ceto senso, ma non proprio. Offro alle ragazze consulenza ed organizzazione ed inoltre le tolgo via dai veri e volgari loro papponi. Praticamente le acquisto ed ognuna di loro mi passa giornalmente una cifra concordata in precedenza quale obolo di riconoscenza per il mio interessamento.                
Dì un po’, te non sei stanco di quel tuo lavoro? Ma che vita fai, buttato da mane a sera in quel buco? Cosa ti offre? Benessere? Se, se…Emozioni? Manco a parlarne. Prospettive? Tse! Ragazzo mio sei nella merda ! Ma…-
- Ma? -
- Ma il buon Dio ha voluto aiutarti dandoti la bellezza ed allora perché non avvantaggiarsene? Perchè non metterla a profitto? Perché non pensare che, dopo un paio d’anni di sfruttamento di essa, te non possa avere una situazione economica decisamente migliore?  Perché non provare le suggestioni che essa può darti?  E perché, infine, non accettarne il benessere? –
- Mi sta proponendo di fare il cigolò?-
Norma non rispose a quella domanda, ma ne pose un’altra completamente diversa:
- Come ti chiami, ora?-
- Ora?-
- Si, ora.-
- Non capisco il senso, comunque mi chiamo Michele.-
- Michele è un bel nome.- Guardandolo languidamente, la donna cominciò a spogliarsi sensualmente, con mestiere, suscitando in lui un turbine di sentimenti peccaminosi quali non aveva mai provato con nessun altra e quando, infine,  si scoprì in tutta la sua nudità, era confuso, non si rendeva conto se colei fosse Venere o Belfagor, angelo o diavolo, e chi fosse lui stesso, teso come ‘na corda di violino, col basso ventre che vibrava emettendo note di piacere. Così, senz’altro dire, lasciò cadere velocemente ad uno ad uno anche i suoi abiti e fu su di lei. I loro corpi, avvinghiati uno all’altro. Sembrarono un gruppo marmoreo michelangelesco.
Si fermarono che ormai era l’alba.
- Allora vorresti farmi fare il cigolò?-
- Voglio farti guadagnare tanti più soldini di quanti ne guadagni un cigolò. Anche cinque volte tanto.-
- Urka! Cinquecento???-
- Già, cinquecento al giorno.  Quindicimila al mese. A me darai una quota fissa di cinquemila. Hai certamente bisogno di una guida, di una consigliera, di qualcuno che ti aiuti a vestirti, a truccarti…-                       .-
- Truccarmi???-
Norma lo prese per mano e lo portò davanti allo specchio della consolle dove lo fece sedere. Dopo avergli esaminato viso, braccia e gambe, gli disse: - Hai bisogno delle cerette…-
- Cerette????-
-Certo! Hai bisogno poi di essere molto appariscente, diciamo…un pugno nell’occhio! – Da un cassetto prese una riccioluta parrucca rossa e la sistemò in testa al giovane dicendo:- Da ora ti chiamerai Elvira!-
Signori miei questa è la mia storia, Michele ero io ‘na volta, ed Elvira son io ora!
Solo allora capii che dovevo fa il travestito con tanto di fondo tinta, ciglia finte e sopraciglia  affinate, gonna con spacco, seno paraffinato, perizoma e tacchi a spillo. Di sicuro, in un primo momento non fu facile accettare, ma il corpo di Norma ed il benessere che mi veniva prospettato era tanto e tale che non fu neanche facile rinunciare. Accettai!
Comunque, prima del battesimo in strada, Norma mi insegnò a parlare sensualmente sottovoce, ad ancheggiare, a camminare sui tacchi, mi insegnò certi approcci sessuali e talune pratiche particolari. Insomma, grazie a lei, oggi mi sento una vera femmina nell’intimo della quale è affogato con tutta la sua miseria Michele il cameriere. Mamma mi chiama mo’ Elvira bella e vive con me in una casa degna di un re, anzi di una regina. Insomma è il caso di dire che ho trovato la mia strada.
“ A mezzanotte vaaaaaaaaa la ronda del piacereeeeee e null’oscuritààààà ognuno fa godereeeeeeeeeeeee…”
 

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