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Il treno

Quel treno non porta mai ritardo. Lo vedo arrivare da così lontano che non ne odo lo sferragliare. I suoi fari sembrano occhi torvi che scrutano nella notte. Avanza lento, ma inesorabile, come il destino sul binario della vita. Si fermerà qui nel presente proseguendo poi per il futuro. Ma quale futuro mi attende? Ho ancora un futuro? Ho ancora tempo?
Intanto mi reco in biglietteria, no c’è fila, dietro una sporca vetrata che a malapena si vede c’è un impiegato, è un omone alto e nerboruto con una chioma lunga, bianca ed ispida ed un volto poco rassicurante. Davanti al botteghino c’è scritto  “Sign. Caronte”.
-Mi fa un biglietto…-  gli dico.
Stacca un biglietto e, senza neanche guardarmi, mi fa:- Sono duemilacinquecento euro.-
- Accidenti, ma è caro! –
E’ per il trasporto…- mi dice sghignazzando – Sa, il “caro estinto”.-
Mi da un biglietto sul quale stanno stampigliate tre destinazioni: INFERNO, PURGATORIO, PARADISO.
Quando esco dalla biglietteria il treno è più vicino.  Ne dovrei sentire il rumore, invece: nulla! E’ silenzioso. Tutto è silenzio: il vento che trapassa i rami, gli uccelli che cinguettano, lo scroscio dell’acqua di una montanina, i miei passi sull’asfalto, lo schiocco di una serpe che sfugge alla notte sulle traversine di un binario                 Ora il treno è arrivato e mi passa davanti proiettando veloci fasci di luce sul mio volto. Vedo gente seduta immobile:                                                                   passeggeri raccolti in ogni stazione. Hanno facce tirate,pallide, occhi spenti. Nessuno di loro ha voglia di parlare, nessuno di loro ha voglia di ascoltare. Mi scorrono davanti finchè il treno si ferma. Le porte si aprono,  ma   non   scende nessuno.
 
Io sono l’unico passeggero in quella  stazioncina  con un’insegna stintaed   una    insegna stinta ed una fontanina.
Salgo e le porte si richiudono.   Nel  vagone ci sono sedili di legno, come quelli di una terza classe di tanti anni fa. Il treno riparte lentamente, poi prende sempre più velocità. Mi siedo nel primo posto che trovo e mi metto a guardare fuori dal finestrino dove scorrono via: la casa dove sono nato, quelle dove ho abitato, le scuole che ho frequentato, le donne che ho amato.
Improvvisamente il paesaggio cambia: pian piano diventa un anonimo    giardino irto di rovi, poi via via degrada in un deserto nel cui orizzonte l’occhio che spazia altro non vede se non sabbia e cielo, cielo e sabbia. In tale oblio il treno corre facendo scuotere simultaneamente le teste dei passeggeri a destra ed a sinistra come in un ritmico balletto.
Entra un controllore. E’ un uomo anziano con capelli lunghi e bianchi, con il viso sereno ed accattivante dietro una barba ancora più bianca e lunga dei capelli. Si avvicina ai primi passeggeri, ne controlla le identità, consulta una lista in suo possesso, poi ne oblitera i biglietti bucandoli  sulla dicitura “ INFERNO”. – Voi scendete alla prossima.- dice e si accosta a me.
- Biglietto, signore…- Controlla i miei documenti, poi la lista, poi dice:- Lei ha sbagliato carrozza,  signore. Questa è la terza classe, quella occupata da ci scende all’Inferno. Dovrebbe accomodarsi nel vagone successivo, in seconda classe, quella destinata a chi scende in Purgatorio.-
- Scommetto che la prima classe è per chi sale in Paradiso…-
- Scommessa vinta, signore.-
Mi alzo, prendo il mio bagaglio e mi trasferisco nel vagone successivo. Qui i sedili sono di stoffa, con poggiatesta imbottiti e tendine ai finestrini. Mi chiedo come sarà la prima classe.Qui qualcuno parla sottovoce, sussurra ricordi di  vita vissuta, parla di gente conosciuta. A me vengono subito in mente fiori che non ho colto e baci che non ho dato. Come per incanto riaffiora dai meandri del passato il volto di una ragazzina della quale, da fanciullo, ero perdutamente innamorato di un amore tanto platonico da non averla mai sfiorata neanche con un dito. La poverina, affetta da leucemia, morì ben presto lasciando nella mia mente la sua soave immagine. Ricordo ora il sorriso di mia madre e mio padre, rivedo, infine, i volti dei nonni che ho tanto amato. Fuori, tra lo sferragliare del treno, fugge sempre il deserto. Ora è attraversato da un fiume di fuoco dal quale si levano fiamme che lambiscono le rive.

Il treno si ferma. Tutti i passeggeri di terza classe ne  discendono.  Sui loro volti ora compare una smorfia di terrore. Li  guardo  esterrefatto e ne ho pietà.  Dabbasso ci sono degli aguzzini che, armati di frusta  e forcone,  li attendono e  poi li spingono  tra  i flutti del fiume di fuoco dal quale si levano urla tanto strazianti da far accapponare la pelle.

Finalmente  il  treno riparte e  fugge attraverso quel deserto nel quale ora si intravedono sempre più frequenti oasi ricche di vegetazione.
Esse sono sempre più numerose fino ad assemblarsi in un enorme fiorente giardino ai piedi  di un monte bellissimo nei suoi colori bianco, azzurro e rosa. E’ il Paradiso,e qui in basso il Purgatorio. Il treno si ferma.
- Lei è arrivato…- Mi dice il controllore.
- I miei genitori, i miei nonni sono lì sul monte?-
- Si…-
- Li rivedrò? –
- Li rivedrà…-
- Anche il mio cane? –
- Anche il suo cane…-
Scendo dal treno che rinchiude le porte e si allontana inerpicandosi su per il monte. Sono in un giardino meraviglioso dove, accanto alle viole crescono le gardenie e vicino ai tulipani nascono le rose.
E’ pieno di alberi da frutta: dal melo al pero, dal pesco all’arancio e tutti sono rigogliosi e belli. Ma ecco un’immagine miracolosamente bella! A raccogliere un fascio di fiori vedo quella ragazzina della quale mi innamorai tanti anni fa. Essa mi si avvicina e mi dice:
- Sono scesaa salutarti. Ti aspetto lassù…- indica il Paradiso.
Poi mi porge un fiore e dice:
- Ecco quel fiore che non hai colto.-
Mi bacia ed aggiunge:- Ecco qual bacio che non hai dato…-

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