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L'infelice

 
 
 
 
L’Infelice aveva molte ragioni per essere infelice, tra queste: una salute cagionevole; la lontananza dalla sua terra natia; una notevole precarietà economica. Ma la cosa che gli pesava di più era il non accettarsi. La sua bruttezza lo rendeva complessato e timido. Era alto meno di un metro e sessanta, magrolino, leggermente ingobbito e con pochi capelli in testa; aveva gambe gracili ed arcuate. Sbarcava il lunario alla stazione Termini di Roma vendendo oggettini contro il malocchio. Era di origini leccesi e se n’era venuto nella capitale convinto così di poter incrementare il suo piccolo e particolare commercio, ma, pur trascorrendo in strada gran parte  della sua giornata, con la pioggia, con il vento o con il sole, non guadagnava che pochissimi soldi.
 
L’Infelice aveva vissuto un’infanzia difficile. Figlio unico, aveva perduto da ragazzino entrambi i genitori in un incidente d’auto ed era stato affidato alla tutela di una zia il cui unico scopo di vita era ubriacarsi. L’isolamento nel quale visse durante gli anni della fanciullezza gli maturarono un carattere introverso, poco socievole, apatico per qualsiasi cosa lo circondasse. Aveva un unico interesse: i films fantasy. Ne vedeva a cinema, in tv, in videocassette e su dvd. Fin da giovanissimo cominciò a vendere amuleti di ogni tipo: cornicelli, mascherine, gobbetti, nei pressi dei caselli autostradali e si trasferì a Roma, ospite di suo cugino Antonio, quando convenne che nella capitale il suo commercio avrebbe potuto avere uno sviluppo maggiore.
 
Antonio era una brava persona, onesta e disponibile, sposato con Antonella, una bella donna romana dalla quale aveva avuto un figlio. Lavorava nella segreteria del Ministero Istruzione non Statale che si trovava a pochi passi da dove abitava. Si era subito prestato a dare una mano al cugino e ad accoglierlo in casa propria. Era, insomma, quel che si suol dire una brava persona. Pur tuttavia l’Infelice, per il suo carattere chiuso, non riusciva a legare neanche con loro e quando era in casa, in genere, restava chiuso nella sua cameretta uscendone solo per l’ora di cena durante la quale scambiava solo poche accennate parole. Il suo quasi autismo, tuttavia, lo induceva in una sofferenza interiore che non trovava alcun sbocco all’esterno. Egli implodeva in un effetto che si manifestava con un  pianto improvviso ed apparentemente ingiustificato, provocato a volte da una semplice parola o da una qualsiasi immagine. Altre volte, invece, appariva completamente disinteressato a tutti quanto potesse accadergli intorno. In certi momenti era talmente impacciato che non riusciva a parlare ed Antonio, sia pure con qualche difficoltà, era l’unico che riusciva a capirlo.
 
L’Infelice non aveva vizi: niente alcool, non fumava, niente donne, non giocava, niente di niente. Amava solo guardare in televisione maghi e cartomanti che interagivano telefonicamente col pubblico. Una notte, proprio guardando la tv, si era addormentato. Improvvisamente si svegliò e vide che un tale gli sorrideva dallo schermo e gli diceva:
- Bel svegliato…-
E lui, stupito: - Grazie…-
- Allora? Cosa sognavi? -
- Nulla…-
- Bene…- disse l’uomo in tv, mescolando le carte, ed il cui volto era più simile ad un cartoon che ad un essere umano –
- Vogliamo, dunque, vedere cosa ti riserva il futuro?-
- Co-cosa mai può ri…servarmi? -
 L’uomo in tv cominciò a disporre sei file di sei carte ognuna, poi diede loro uno sguardo perplesso e disse: - Non si legge…c’è buio…-
- La mo…la morte? – chiese l’Infelice.
- Forse. C’è l’ombra di una donna.-
- L’o…L’ombra di u…na do-donna?-
L’immagine televisiva si offuscò in un formicolio bianco e nero mentre l’Infelice si riaddormentò. Fu svegliato che era giorno dal cugino che gli disse:
- Ahò, te sei addormentato c’’a tv accesa. T’ho sentito che parlavi ner sonno.-
L’Infelice non rispose e siccome era già vestito di tutto punto, si rassettò velocemente, diede uno sguardo fuori e mise l’impermeabile. Poi prese la sua merce da un ripostiglio ed uscì.
Quella mattina l’acqua dal cielo scendeva a catinelle scivolando ai lati delle strade ed ingolfando i tombini. Il cielo nero-fumo, di tanto in tanto, veniva rischiarato da guizzanti saette seguite dal rotolio  dei tuoni. Per le vie c’era poca gente che, riparandosi a malapena sotto gli ombrelli correvano sguazzando con i piedi nell’acqua. Una insistente nebbiolina nascondeva in parte la città.
L’Infelice rasentava uno ad uno i muri  degli edifici per  raggiungere la vicina stazione Termini, ma giunto che fu ad un angolo di palazzo fu fermato da una vocina che invocava:
- Fate la carità…-
Si fermò per vedere chi avesse parlato con tono tanto tenue, incerto e tremante. Era una giovanissima donna tutta rannicchiata in terra, mal vestita, bagnata, col capo coperto da una vecchia sciarpa scolorita dalla quale veniva fuori un visino dolce, bianco, segnato da una sofferenza indicibile ma dignitosa, come se avesse sopportato tutti i mali del mondo.
- Fate la carità…- ripeteva la ragazza.
L’infelice non ce la faceva a parlare, tuttavia riuscì a dire:
- Po…povera ra-ragazza, co-co…come sei ridotta!-
- Sono sola al mondo, signore, non ho nessuno…-
- Ah, che bru-brutta cosa!-
- Lei ha qualcuno? -
- Eh? Ah, si si un sa-sacco di gente…-
- Avete un bel tono di voce, signore. Incerto, ma dolce…Dovete essere un bell’uomo…-
Solo allora l’Infelice si accorse che quei magnifici occhi azzurri della ragazza erano spenti.
- Ma…ma tu non ci-ci vedi…- disse.
- No, signore. Sono cieca dalla nascita, ma sento col cuore..-
- Ah? Ah, si…ehm…giornata buia oggi…- disse l’Infelice alzando gli occhi al cielo.
- Non per tutti, signore. Ma mi dice, per favore, una cosa?-
- Cosa?-
- Com’è il sole?-
- Il sole? Ah…beh…il so-sole…è d’oro.-
- Oro? E cos’è oro? – chiese ancora la ragazza.
- L’oro? Eh…l’oro è oro…E’ una co-cosa che rende potenti.-
- E lei, signore ne ha oro? E’ potente lei?-
L’Infelice guardò i suoi gialli amuleti e rispose:
- Eh! Se  ne ho! Si, si so-sono po…potente.- Infilò le mani in tasca, diede alla ragazza tutto quello che aveva e disse:
- Comprati qualcosa da mangiare. Se…sei be-bellissima, ma in uno sta…to terribile.-
Andò via guardando nella cassettina che aveva a tracollo, come per scorgervi quell’oro di cui aveva detto alla ragazza.
 
Fu un giorno fortunato perché, incredibilmente, per la prima volta, vendette tutta la merce che aveva accumulando una discreta sommetta.
 
La mattina dopo, mentre la pioggia continuava inesorabilmente a flagellare la città, si recò in
quell’angolo di strada dove trovò di nuovo la ragazza.
- Senti…- le disse – ti ho portato dei soldi, così puoi andartene a casa e rima…manere all’asciutto.
- Io non ho una casa, signore…-
- Prendi, è tu…tutto que-quello che ho guada…gnato ieri. Puoi prendere per o-ggi una camera di al-albergo.- Le consegnò tutto quello che aveva guadagnato il giorno prima.
- Oh, grazie, signore. Si vede che lei è ricco. Come mai non ha l’automobile?-
- L’auto…mobile? Ah si! Si che ce l’ho –
- Non ho sentito il rumore della portiera quando siete sceso.-
- Ah…il ru…rumore…No è che l’autista è ma-malato così io io sto andando in farmacia a comprare una medicina, mentre lui è a letto con l’auto.-
- Con l’auto???-
- No! Ehm…volevo dire co-co-con la febbre!-
Andò via con la sua cassettina piena di merce che, come il giorno prima, vendette tutta guadagnando una somma ancora maggiore.
L’indomani, mentre la pioggia continuava a martellare Roma, si recò di nuovo dalla ragazza portandole un meraviglioso vestito:
-Ti assicuro, ba - bambina, che è bellissimo. Pe-peccato davvero che tu non po-possa vederlo!-
- Lo vedo nel tono della tua voce, signore mio e nella misura del tuo entusiasmo…Credo che tu sia pronto.-
L’Infelice non afferrò il significato di queste ultime parole, ma, pensandoci continuamente, preferì tornarsene a casa anziché lavorare. Il giorno dopo la pioggia aveva finito di frustare Roma i cui cupoloni splendevano ora sotto un magnifico sole.L’uomo si recò presso l’angolo dove si appostava la ragazza, ma questa volta non c’era nessuno. Così si mise ad aspettarla, ma aspetta ed aspetta, di lei nemmeno l’ombra. Allora pensò di andarsene alla stazione. Appena giunto cominciò a dare voce- Cornicelli! Go-gobbi! Ferri di ca-ca-vallo contro il malocchio! Comprate che il ma-malocchio esiste!-.
Mentre gridava non si avvide che una bellissima donna gli si avvicinò alle spalle e lo chiamò:
- Signore…-
Si girò e grande fu la sua meraviglia quando nei tratti bellissimi di colei scorse la piccola mendicante.
Era luminosa! Indossava il vestito che lui le aveva regalato:- Sei pronto? – disse e gli porse il braccio. L’infelice ora aveva capito! Le si accostò, le si mise sottobraccio e cominciò a camminare con lei.
- Ora hai acquistato la felicità…-disse la donna. Ed insieme salirono su un treno in partenza, un treno per un altro mondo.
 
 
 
 
 

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