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Anch'io ho fatto un viaggio, più corto

- Ehi, ehi, ehi….signor…?
Lo guardai venire verso di me caracollante sui tacchi alti non meno di due pollici degli stivali a punta.
Se al posto del cappello da cow-boy color panna avesse agitato nella mia direzione un tomahawk con la testa in pietra della stessa tinta avrei pensato che quella che stavo accarezzando fosse una puledra da sottrarre al recinto e galopparci a pelo nella notte.
Invece ci ritrovammo io dalla parte del guidatore di quella anticaglia di Studebaker marron del 1963, e l’apache con le enormi dita a stringerle i bordi del finestrino dalla parte del passeggero, deciso a non farsela sottrarre.
Capelli neri fino alle spalle, occhi che finivano oltre gli zigomi terra di siena, pietra color pietra che ancora gli ciondolava sul petto completamente glabro, il guerriero indiano straripò oltre il tettuccio con quella espressione tipica del pard di Tex, il mio eroe dell’infanzia.
E, confesso, anche di oggi.
-         E’ uno schianto signore, un vero schianto.
Gli cercai gli occhi prima di aprir bocca, incontrando solo due lame assenti. Aspettandomele,  decisi.
-         Vecchi modelli, Augh, non ne vedo in giro di auto capaci di muoversi da qui a Carmel e ritorno, gli sputai addosso sapendo già che fra se e se il nativo avrebbe riso di quel pinguino tutto infagottato nel moncler sabbia sbiadita.
Stavamo calpestando la polvere della estrema periferia di Indianapolis fuori dall’aeroporto, dove appena vista quella rivendita di auto usate circondata da campi di pannocchie rosa come l’aurora, appena sceso dal predellino il petto già oppresso da un’aria bassa oltretutto pervasa dall’olezzo di  giganteschi parallelepipedi di letame bovino ai lati della strada di contea, all’improvviso avevo fatto bloccare l’autobus.
Mentre la contrattazione procedeva a stento pensai all’impressione che avrei procurato ad Evelyn, la mia compagna statunitense di corso a Roma, quando m’avesse visto parcheggiare sullo stradello davanti a casa sua, a Carmel. A quando, sbattendo la porta a zanzariera, se ne sarebbe uscita sul terrazzetto in piantito coloniale con la vecchia sedia a dondolo di cui m’aveva tanto parlato e, salutandomi con il braccio destro teso oltre il cappello di paglia, m’avesse visto aprire la portiera, e scendere, tono su tono, dalla Studebaker.
Forse fu per questo che il grande capo indiano mi concesse anche il pieno, senza starci tanto. Venerdi, sabato e domenica, noleggio a soli 399 dollari, con fotocopia del passaporto e della patente internazionale.
Tutto considerato, aveva la vista più acuta di Enrico, mio fratello il quale, per prestarmi 500,00 euro per quel viaggio, aveva preteso gli rilasciassi una cambiale di 600,00 a fine mese.
 
 
 
 
 
 
 

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