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Che schifo

Ci sarà chi alle cose arriva d’acchito, voglio dire alla verità; chi la vede osservando con i propri occhi, ascoltando con le proprie orecchie, filtrando gli odori dalle narici, toccando con mano, assaporandola, lasciandola scorrere sulla propria pelle, e di lì aprirsi il varco penetrando, uno stiletto, fino al cuore.
Io no; io, ho bisogno di mediarla.
La differenza tra il diretto, o l’uppercut se vogliamo, ed il gancio nella noble art: cioè, la scorrettezza del vivere.
Parto con un grosso handicap, lo riconosco. Arrivo sulle cose permanentemente in ritardo.
<Un ritardato, sei un ritardato> mi stava dicendo la mia ex,  per la prima volta rivista dopo la separazione, pendendo in avanti le labbra garbatamente dischiuse da quelle sommesse esclamazioni cui ero stato lungamente abituato, ugualmente i seni che per dieci anni, (8+2) erano stati il secondo, in linea di discendenza verticale, avamposto delle mie gioie terrene, le vene di un celestino delicato leggermente risaltanti dal pallore perlaceo del collo.
Il naso oblungo della sua accompagnatrice, una specie di fiocco rovinato nelle estremità inferiori dalla congestione dei postumi di una recente influenza, si intromise tra me e il quarto della mia ex moglie, come uno squarcio improvviso nella vela tesa dal vento.
<Vuol dire ritardatario>.
<Quindi, cosa chiede oggi la tua amica, cosa è cambiato>.
<Di saldare regolarmente quanto stabilito>
Le caviglie sottili, nervose, della bruna, le scarpe dal tacco 15 cm., si mossero impercettibilmente divaricando la prospettiva della marmetta di graniglia all’ingresso.
<Si pagherà quando ricorreranno le condizioni>.
<Quali condizioni.>
<Le condizioni.>
<Non ci sono condizioni tranne quelle che dovete rimanere separati fino al divorzio; figli non ce ne sono; avete ognuno la propria abitazione; ognuno ha il proprio lavoro, il proprio reddito, devi solamente saldare il tuo debito; quali condizioni.>
Stavo intestardendomi. <Le condizioni.>
La mia ex prese di nuovo la parola <un ritardato.>
“Miciomicio”, lo scarabeo lucente, di un nero unico nel suo genere tonalità massimo brightness che mi teneva da alcuni giorni compagnia, approfittò di non dovere in quella occasione divaricare le zampette, abbassare il dorso, strisciare pancia a terra per entrare da sotto la porta, e fece il suo più pomposo, lento, teatrale, soddisfatto, non umiliante che si fosse mai potuto vedere ingresso centrando il bel mezzo del vano, né un millimetro di qua né un millimetro di là dell’entrata alle spalle delle due donne.
<Iuhuh sei stato grande>. Pensai. <Questione di equilibrio, di misura e tempestività; il tuo omonimo non ti fa un baffo.>
Assomigliava alquanto stranamente ad uno scarafaggio, ma questi da più sul bruno che sul nero tonalità massimo brightness, e non sa staccarsi da terra mentre Miciomicio almeno qualche tentativo postconvalescianzale tentava di farlo.
L’avevo visto entrare dalla finestra, io, ma Miciomicio, in una lunga conversazione chiarificatrice postprandiale, mi aveva sostenuto con argomentazioni  critiche della sua ragion pura, e dimostrato più e più volte empiricamente che si, era si entrato dalla finestra, ma approfittando del davanzale.
<Però non ti so dire da dove vengo> Aveva sostenuto, e c’era da credergli. Penso.
Ci si era messa di mezzo, ricordo, la donna della portineria, la signora Mafaetildeide, che in un eccesso-accesso salvifico-ambientale, mentre Miciomicio usciva con me dall’ascensore per la passeggiata delle 10,30, il martedì appena trascorso l’aveva bloccato, spingendo tutto il proprio peso (dai 75 ai 78 kg a seconda dell’andamento della borsa delle solanacee tuberose) sulla scopa.
<Cosa fa, avevo urlato accorgendomene. Cosa fa, lei è un’assassina>
Si era mai depilata la criminale. Aveva mai provato a distaccarsi cronologicamente dal ceppo antropoide.
Fatto sta che presagendo che la saggina, sotto la pressione dei tricipiti e bicipiti, e dorsali e pettorali, non avrebbe resistito ed avrebbe ceduto, ad un dato momento, a conoscenza anche della autonoma forza di gravità terrestre, nauseato letteralmente dalla violenza che esprimeva il sorriso satanico della portinaia signora Mafaetildeide sotto i suoi tremendi fake moustaches, mi ci rivolsi dicendole <signora Mafaetildeide, lei così rischia di ucciderlo. La prego, alzi la saggina, risparmi Miciomicio ed io a mia volta sarò buono con lei. Salderò il mio debito.>
Consisteva, questo, nella mancia consuetudinaria delle trascorse, recentissime Festività.
Non so come, non so perché la voce fosse corsa con la velocità della luce ed ora la mia ex fosse lì, nel mio ingresso, con l’amica bruna, ambedue gli occhi con le fessure verticali da felino. Ed io che parlavo. Convincendomi sempre più che Miciomicio l’avevo visto volare, che l’accompagnava un raggio verde di sole, uno scarabeo dorato.
Io a parlare inconsciamente, illogicamente, spudoratamente,  di condizioni.
<Ti faccio un culo così, aspetta il mio avvocato, il mio protettore, la mia compagna. Verranno a turno, ogni giorno, tutti i giorni, ritardato. Infilatele fino alle tonsille le tue condizioni.>
Glotilde scorse allora Miciomicio, inorridì. E pur inorridita ordinò alla brunetta, indicandoglielo, di calpestarlo.
<Che schifo.> Disse la brunetta che assomigliava...mentre il sangue le schizzava a destra e sinistra, sù e giù, da sotto il tacco, si, ma era lei...la brunetta di Rosso sangue...vene...ssiamo...com.
<Noi ssiam com le lucciole...viviamo nelle tenebreeee>. 
<Ladro...ladro di verginità represse, compresse, racchiuse, lì lì per esplodere, furtaiolo da cortile dei nostri frigoriferi, dei nostri ideali platonici, daltonici, peripatetici, pittagorici (Pittà, cosa c'entra povero, stavolta almeno) paragogici, socratici, armstronghiani, nietzschiano del cazzo...devi pagare>. Singhiozzò Glotilde sculettando nella sua tutina nera attillata, tangapendant, una fan di Diabolik rediviva, saltando sulla groppa della brunetta, infilandole la destra nella scollatura. <Fesso, str...bus...> e se ne, andò ridens;_;
Dagli spaghetti, intanto, della tenda della finestra a ponente dalla quale Miciomicio era malauguratamente entrato, resinavano dolorose gocce di Apfel-leben..
 
 
 
 
 
 
 
 

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