Romancing the Maya (versione italiana) Parte uno | RV International | Carlo Gabbi | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Romancing the Maya (versione italiana) Parte uno

Romancing the Mayas

(AVVENTURA TRA I MAYA)

(Italian version)

Part one

NOTA: Sebbene luoghi, fatti, e alcuni dei personaggi nella narrazione siano reali, questa storia è stata concepita in una forma romanzata, poiché molte cose narrate sono frutto della fantasia per accrescere la suspense necessaria e renderla più scorrevole nella lettura.

~*~ 

 

La più grande passione della mia vita è sempre stata l’archeologia. Questa passione incominciò casualmente quando ancora frequentavo le scuole medie e da allora mai più mi lasciò.

Fu a causa di questo hobby, che anni or sono, decisi di recarmi in Messico. Nel mio continuo peregrinare un giorno mi ritrovai su un altopiano, in una regione remota e vulcanica e seclusa attraverso sentieri montani dal resto della civilizzazione.

Ebbi la fortuna di trovare in quel luogo frammenti di valore archeologico, che a parer mio  erano parte di una passata civilizzazione. Infatti, era una cosa possibile poiché la valle sottostante, in millenni passati, questo fu il luogo dove si sviluppò  il vasto impero Maya. 

Sin dagli inizi fui ricompensato con il ritrovamento di sparsi relitti, dispersi sopra un vasto territorio.

Quelli erano i giorni della mia prima avventura in Messico. Ero ancora giovane e spensierato nei verdi anni della mia vita. La mia passione era più che mai forte, sebbene mancassi di esperienze reali. Avevo poche rudimentali cognizioni archeologiche che avevo assimilato bazzicando in polverose biblioteche e tra le mura di musei. Non per questo ero completamente all’oscuro della materia. Aiutandomi con l’aiuto della mia mente fervida e piena d’immaginazioni, riconobbi che quelle poche cose trovate erano raffinate nella forma e potevano far parte di una grande metropoli Maya, eretta in quel luogo da un popolo audace, durante un lungo periodo di gloria.

Tutt’oggi, quell’altopiano all’apparenza è brullo e offre poco al comune viandante che ha visitato a valle, città lussureggianti con i classici templi e piramidi che testimoniano la gloria passata.

Pochi sono i visitatori che si avventurano su quest’altopiano vulcanico e sono attratti  unicamente dell’incomparabile bellezza del luogo selvaggio, piuttosto che l’interesse storico-archeologico della tramontata era Maya.

Il mio arrivare lassù avvenne accidentale. Avevo scelto il luogo per rigenerare le mie energie, godendo pace e solitudine, offerta lassù, lontano dai chiassosi posti turistici.

Camminando nella solitudine del luogo, fui sorpreso della stranezza dei contorni terrieri. Apparivano in un susseguirsi di ben tracciate forme geometriche e che si potevano notare unicamente guardando contro la luce del sole. Apparivano come grezzi tracciati di fondazioni pronte per lo scavo, snodandosi e uniti tra loro, come lo sono gli anelli di una catena immensa, giungendo sin dove l’occhio umano poteva giungere verso l’orizzonte.

Poi apparvero, seminascosti tra una rinsecchita polvere centenaria, alcuni blocchi di pietra,   erano ben tagliati e squadrati con precisione da un capace artigiano con l’uso dello scalpello. Apparivano anneriti dal fuoco e contrastavano in colore sopra la brulla e arida località. Curiosità stimolò il mio istinto, indicando chiaramente che sul luogo nel passato esistevano costruzioni di un certo impegno architettonico, che potevano ben essere di origine Maya.    

Le mie peregrinazioni durante i giorni seguenti sull’altopiano si moltiplicarono, assetato dal desiderio di trovare successive prove attestanti la loro origine archeologica.

Fu durante quei primi giorni e in quel luogo che ebbi modo di incontrare Maria, una giovane donna del luogo e che era intenta alla ricerca di minuscoli relitti. Parlai con lei e mi confermò la sua passione nel collezionare quei piccoli avanzi archeologici. Non ci volle molto per comprendere il vantaggio comune se si avesse lavorato assieme e d’impulso le proposi di unire le nostre forze nell’esplorazione del luogo. Ben presto ne fui gratificato trovandola una capace assistente.

Venni a sapere che Maria era una maestra Messicana, alla quale era stata assegnata l’unica classe del villaggio Indios. I ragazzi cui insegnava, erano i diretti discendenti del popolo Maya, quelli che millenni prima avevano fondato la Città della Luna. Gli Indios parlavano ancora tra loro il vecchio dialetto Maya e lo scorrere del tempo aveva ben poco mutato. Era un popolo semplice e metodico nel condurre la vita di poche aspirazioni. Possedevano un atavico amore della loro lontana discendenza, e avevano mantenendo immutati i costumi del passato nei loro lavori domestici e nella vita agricola. Avevano pure mantenuto inalterato il modo di costruire le loro semplici dimore, una fedele copia delle tipiche semplici costruzioni usate nell’era passata.

~*~

Con l’aiuto di Maria incominciai una ricerca metodica dei resti Maya che potevamo discernere lungo l’altopiano. Furono estenuanti e lunghe settimane di ricerche, a volte protratte dall’alba sino all’imbrunire. Alla fine quel lavoro inumano incominciò a darci speranze di risultati positivi. Con una discreta fortuna, inaspettatamente, trovammo sepolti sotto un lieve strato di terra e vegetazione, diverse suppellettili, certamente appartenenti a una famiglia patrizia, facendo supporre esistesse una vita agiata per gli aristocratici della Città della Luna. I nostri ritrovamenti evidenziavano l’opulenza raggiunta in questa città, che possibilmente era diventato il nucleo di prestigio di un notevole centro commerciale e attivo con le città limitrofe.

Purtroppo quasi nulla era rimasto a dimostrare la veracità delle nostre presupposizioni.  Possedevamo troppe poche indicazioni, ma che erano state elaborate dalla nostra fantasia dopo il ritrovamento di quei minuscoli oggetti che avevamo raccolto entro una vasta area.

Venimmo pure alla conclusione che la nostra città fu abbandonata in gran premura, e la causa distruttrice fu rapida causata dalle fiamme, probabilmente accese da assalitori.

Non si può concepire come una città che ha raggiunto l’apice della grandezza non tutelasse la sicurezza delle mura della città salvaguardandola con una capace e ben provata guarnigione per la sua difesa giornaliera. Sicché la città fu presa unicamente con l’inganno, malizia, e favorita dall’oscurità notturna, senza un possibile promovimento alle guardie di difesa e alla popolazione cittadina. Chi sopravvisse e sfuggi al notturno genocidio furono testimoni della totale distruzione delle mura cittadine e dei palazzi signorili. La fine fu certamente devastante, ma pur lasciava in me molte domande del come e dei perché. La principale incognita era dove fosse scomparso l’immenso grumo di macerie. E` ben risaputo che il fuoco non può distruggere le larghe mura in pietra di una città, e nello stesso modo dove fossero scomparsi i palazzi e i templi senza lasciare traccia alcuna. Come spiegare il mistero di come e cosa fosse veramente avvenuto alla nostra Città della Luna?       

Nonostante tutte le nostre diverse supposizioni, l’aura di mistero regnava tra quei pochi avanzi. Era la necessità di conoscere la verità dei fatti e di come fossero avvenuti che ancor più avvincesse e affascinasse.

Con il passare del tempo, al finire di ogni giorno di ricerca, si aveva scoperti nuovi frammenti, che uniti agli altri, venivano a completare il mosaico visivo delle nostre utopie, ingrandendo le possibilità di congetturare la vita passata della città scomparsa. Sì sa bene, le nostre, per la maggior parte erano null’altro che supposizioni. Forse si usava troppo la fantasia nel formulare ipotesi, ma è pure vero che senza l’esercizio di creare il passato con l’uso fantasioso della mente non ci sarebbe mai stato possibile concepire quale fosse stata la reale dinamicità della Citta della Luna in quei tempi lontani e tutto il grande viavai di numerosi mercanti venuti da lontani paesi, che accrescevano il benessere della città.

Quello era alla base di tutte le nostre formulazioni, un punto di grande interesse, che poi alla fine, con l’aiuto delle poche cose raccolte, poteva darci l’immagine più veritiera di vita, opulenza e grandezza di quel popolo.

Sapevo che bisognava pazientare. Sapevo che con il passar del tempo sarei stato capace di svelare la maggior parte di quegli arcani dilemmi che ancora erano rinchiuse in luoghi segreti tra le vecchie mura. Quello era il nostro dilemma maggiore. Dove poter iniziare le ricerche. Come poterle valutare, capaci di dimostrarci la veracità delle cose, per poi alla fine, distanziare la realtà da quelli che erano sogni createsi nottetempo nella mia fervida fantasia.

Come avrei reagito se alla fine tali ipotetiche speranze si fossero realizzate?

Sapevo che quello era il sogno più ambizioso della mia vita. Esisteva una remota possibilità, ancora vacillante, ma sentivo in me la volontà di proseguire sino al limite delle mie capacità pur di raggiungere la meta. Con il passare dei giorni fu evidente che il miraggio finale era pur possibile e anticipavo un futuro successo.

Per natura sono ostinato, ed è ben risaputo che in questo lavoro non bisogna mai darsi per vinti. Mai avrei abbandonato quel luogo se non prima avessi trovato risposte alla lunga litania di misteri che si accavallavano in fronte a me.    

Questa motivazione mi pungolava. Erano quei frammenti ritrovati, sebbene miseri, tra il grumo di detriti sparsi, sepolti tra la polvere dei secoli.

La vegetazione del luogo, col passare di un millennio, era cresciuta selvaggiamente mutandone l’apparenza e rendendo difficile il lavoro di scoperta.

Inoltre Maria ed io si era incapacitati di eseguire scavi costosi considerando le mie magre risorse finanziarie e non avendo l’aiuto da parte di corporazioni finanziatrici. Si era troppo   sconosciuti nell’ambito archeologico e le nostre scoperte forse di non sufficiente valore monetario. Forse quelle sarebbero venute nel futuro e unicamente se la fortuna ci avesse sorriso nel trovare prove evidenti e capaci a portare alla luce gli avanzi di quella civiltà sepolta.

Finalmente fummo rinumerati dall’immane lavoro di ricerca. Trovammo tra la folta vegetazione nelle vicinanze di un profondo strapiombo, quello che ben poteva essere l’altare di sacrifici pagani usato dai sacerdoti Maya. E` risaputo che quei sacerdoti usassero pure sacrifici umani nella propiziazione delle loro divinità.

In archeologia si è propensi a credere che qualora si facciano ritrovamenti di un certo valore, ben presto, sullo stesso luogo, si troveranno altre prove di uguale importanza. Sorretto da questa speranza, mi spinsi entro più minuziose esplorazioni sperando di giungere al più presto in altre scoperte capaci di risolvere parte dei misteri d’interesse sulla città scomparsa.

Un pomeriggio avvennero cose sconcertanti, senza preavviso, capaci alla fine di condurre sulla giusta via di future ricerche.

Camminavo tra la fitta vegetazione nelle vicinanze dell’altare dei sacrifici, in cerca di nuovi indizi. Improvvisamente, scaturendo dal nulla apparve, poco di sotto di me, un chiassoso stormo di uccelli, che con i loro stridenti richiami assordavano l’aria. Poi, rapidamente come apparvero, furono inghiottiti dal nulla e sul luogo repentinamente cadde un inspiegabile silenzio, tanto da non poter nemmeno notare il fruscio delle foglie sbattute dal vento in una calma fittizia, che stordiva in quell’incredibile rigidità.

Mi chiesi come ciò fosse mai possibile. M’inoltrai più in profondità tra i folti cespugli nella ricerca di quell’arcano mistero. Repentinamente, come per incanto, quel loro cantarellare stridulo, ruppe nuovamente il silenzio. Ora gli stessi uccelli svolazzavano nel cielo sovrastante a me con più garrule e prepotenti sinfonie melodiose.

Avanzai ancor più tra i cespugli nella ricerca dei loro nascondigli. Seguivo il loro svelto ondeggiare nel cielo, e avanzavo tra i cespi per non perderli di vista, dimenticando il pericolo del luogo. Persi l’equilibrio quando il terreno sotto a me venne a mancare. Improvvisamente sprofondai, cadendo in un volo cieco, inabissandomi entro una profondità sconosciute… ebbi sentore di colpire qualcosa che rumorosamente si frantumava mentre mi colpiva dolorosamente… svenni con un urlo disperato di agonia e… fui preso dall’oblio più completo.

Avevo completamente perso i sensi e per un’eternità fui incosciente a quanto era avvenuto e il perché.

~*~

Fine Parte Uno                   

~*~           

 

 

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