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El Gardelin

Era buio pesto quella sera e Gigi fumava la sua ennesima sigaretta appoggiato al tronco di un grosso albero ai margini del bosco, perso nei suoi cupi pensieri da non accorgersi che la Pina si stringeva con trasporto alle sue spalle sussurrandogli paroline dolci.
<< Gigi…è tardi, andiamo a dormire dai.>>
<< Gardelin?...>> <<Mmmmm…>> << Vieni dai e non farti cruccio, vedrai che domani andrà tutto bene…Gardelin?...Ma cos’hai, cosa sono tutti sti pensieri. Andiamo!>>
<< No, stasera no Pina. >> << Ma perché? >>
<< Perché non mi va, non ho voglia…>>
<< Uffa, quanto sei noioso, e allora resta lì a prenderti l’umidità in testa! >>
Brontolò la Pina e poi mettendo il muso se la filò, quella sera non era aria, meglio sparire, peggio per lui.
Gigi rimase lì, gli occhi fissi giù nella valle, sul suo paese. Riusciva a vedere solo qualche sparuta lucetta di tanto in tanto.
Quanto tempo era che non scendeva a valle? Mesi, no anni. Erano anni che si nascondeva nei boschi con i partigiani, accampato alla benemeglio sotto una misera tenda o in qualche grotta con la costante paura d’essere scovato. Aveva preso quella decisione dopo che aveva visto cosa era capace di fare il regime e dopo che i fascisti si portarono via suo zio, accusato non si era mai capito bene di quale atroce reato, lasciandolo poi morire di stenti in carcere e lui aveva promesso di vendicarlo. Così si era unito ai partigiani che adesso lo chiamavano “el Gardelin”  in onore della sua straordinaria capacità di imitare il verso degli uccelli in special modo quello del cardellino, richiamo che usava per avvisare i compagni in vista di pericoli imminenti.
Maledetto regine, non era più vita quella, maledetta guerra, quanto l’odiava e odiava anche quello che era costretto a fare, quella sera sentiva tutto il peso gravargli sulle spalle.
Intanto il pensiero correva giù per gli irti sentieri di montagna fino a quella casetta bianca dove abitava il suo amore, la sua adorata Tina. Appena poteva le scriveva sempre e le lettere gliele mandava tramite la Pina, la loro postina e messaggera, non aveva mai ricevuto nessuna risposta, perché?
Quello che lo teneva ancora in vita era il ricordo della loro ultima sera insieme, la più bella di tutta la sua misera esistenza.
 
La Tina era una ragazza di buoni principi, tutta d’un pezzo, qualche bacetto e via, niente di più, guai se si permetteva solo di sfiorarle una gamba per sbaglio, faceva il finimondo. Gli diceva sempre:
<< Non osare sai nemmeno a pensarlo, quando succederà saremo sposati e non prima!>>
Lui ci soffriva ma per amore suo resisteva anche se era fatto di carne e sangue che ribolliva ogni volta che la guardava, fino a quella memorabile sera.
Era primavera inoltra e già si sentiva quel tepore che annunciava l’estate, le notti non erano così fredde, lui e Tina avevano deciso di fare una passeggiata attraverso i campi, quella era anche l’occasione adatta per dirle che sarebbe partito.
Stesi in mezzo al campo di lavanda, avvolti dal suo intenso profumo, stettero lì muti a contemplar le stelle, e poi accadde, si ritrovarono abbracciati, lui che le accarezzava i seni, le cosce e le baciava quella bocca vogliosa, lei che strusciava i fianchi addosso a lui. E poi si amarono, e fu meraviglioso.
 
Un insistente bussare alla porta la fece distogliere dal suo lavoro di cucito. Controvoglia si alzò per vedere chi fosse che disturbava al mattino presto.
Gigi era l’ultima persona che si aspettava di trovare davanti all’uscio di casa.
<< Oh Dio Gigi!>> esclamò portandosi una mano al cuore. <<Cosa ci fai qua?>> <<Sono venuto per vederti.>> << Bene ora che mi hai visto puoi anche tornare da dove sei venuto.>> e fece per chiudergli la pota sul grugno. <<Hei, non così in fretta.>> sbottò lui spingendo l’uscio ed entrando nella stanza. <<Io rischio ogni minuto che passa per venire a trovarti e tu mi accogli così?>>
<<Quale onore dopo tutto questo tempo.>> << Si hai ragione, dovevo farmi vivo prima.>>
<<Ecco bravo. Beh ora hai fatto la tua buona azione quotidiana quindi puoi andartene.>>
Ma lui non si muoveva e lei intanto che aspettava che decidesse di andare lo guardava di sottecchi riandando con i ricordi ai tempi spensierati della loro gioventù.
 
Gigi, Tina e Carlo abitavano a poca distanza uno dall’altro e si conoscevano fin dalle elementari.
Ogni mattina, con qualsiasi tempo, facevano cinque chilometri a piedi per andare a scuola, quando ci andavano. Spesso volentieri si fermavano a metà strada, sulle rive di un laghetto a pescare. Gigi era il più scatenato, ne combinava di marachelle e Tina lo seguiva, Carlo invece era più calmo e timoroso, aveva sempre paura di tutto e di tutti, da sua madre, le buscava di santa ragione pur di stare in loro compagnia. Più avanti aveva capito che tutti e due i ragazzi erano innamorati di lei, ma lei aveva scelto Gigi e Carlo c’era rimasto male, anzi malissimo che quasi non li salutava più quando li incontrava per strada ma poi, se ne era fatto ragione e la loro amicizia era ripresa più forte di prima. Dopo che Gigi se ne era andato senza dirle niente, e, quando si era accorta di essere incinta era stato Carlo ad aiutarla. Era stato Carlo a sostenerla, a confortarla quando la ricerca era risultata vana e sempre Carlo l’aveva convinta a sposarlo affinchè non fosse additata ed emarginata per tutta la vita.
La voce di Gigi la riportò al presente.
<<Allora come ti va, perché abiti a casa di Carlo?>> <<Perché è anche casa mia.>>
<<Come sarebbe a dire?>> <<Che ho sposato Carlo…>> <<Cosa??? Avevi così tanta fretta d’avere un marito che ti sei sposata proprio un perdente, vigliacco e fascista come Carlo?>>
<< Si! Avevo fretta, tanta fretta…>>  Gli buttò in faccia. <<Oh Dio!>> Fece lui, portandosi una mano tremante tra i capelli. << Ecco!>> << E non potevi avvisarmi prima di sposare quel, quel…>> << Ma l’ho fatto, l’ho fatto…ti ho scritto non so quante volte…>>
<<Io non ho mai ricevuto niente. A chi le hai date le lettere?>> << Ma alla Pina, la tua amante…>>
<< Cosa dici, la Pina non è…>> << Gigi, non farmi più stupida di quello che sono, guarda che so tutto di te.>> << Però, proprio con quel perdente di Carlo dovevi sposarti?>>
<< Zitto, non dire altro, Carlo sarà anche un perdente ma è l’uomo migliore del mondo, cosa che tu non sei, non sei mai stato e mai sarai…>> << Mio…figlio…dov’è?>> << Non c’è, tu non hai nessun figlio, l’ho perduto a causa del dolore.>> << Ah!  Io credevo che tu mi amassi, che mi avresti aspettato e invece… Il ricordo della notte che abbiamo passato insieme, il ricordo del tuo corpo, che mi hai donato con trasporto, è quello che mi ha tenuto in vita per tutto questo tempo…>> << In principio anche per me è stato così. Ti amavo ma ora non ti amo più. Quella notte per me è stata un grossissimo errore…solo dopo che per migliaia di volte ho cercato di contattarti ho capito di che pasta eri fatto…adesso vai, torna alla tua vita di sbandato, ai tuoi grandi ideali, alle tue donnine sempre pronte e non pensare più a me. Addio Gigi.>>
Con queste parole lo spinse fuori di casa e gli chiuse la porta sul muso.
 
 
 

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