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Anche i verbi si «alterano»

Come avviene per i sostantivi e gli aggettivi, anche il verbo, cioè la “parola principe”, può subire modificazioni piú o meno profonde che giungono fino ad alterarne il significato. Anche il verbo, insomma, può subire quelle alterazioni (accrescitivi, diminutivi, vezzeggiativi) cui possono essere “vittime” i nomi e gli aggettivi. Le desinenze, vale a dire le “parti finali” del verbo non consentono, però, l’utilizzo di quelle alterazioni (“ello”, “accio”, “one” ecc.) proprie dei sostantivi e degli aggettivi. Ma la nostra lingua non si “arrende” e ricorre a suffissi e prefissi atti ad attenuare o a rafforzare l’azione espressa dal verbo. I verbi cosí alterati sono detti “frequentativi” o “intensivi” perché esprimono un’azione ripetuta o compiuta a gradi di un altro da cui derivano. Sono, per tanto, formazioni alterate, mediante prefissi o suffissi, di un verbo principale. “Sbattere”, per esempio, è la forma frequentativa, cioè “alterata”, di ‘battere’ e vale “battere piú volte”. Tutti i verbi transitivi o intransitivi, inoltre, possono assumere significato frequentativo se, posti al modo gerundio presente, si fanno precedere e reggere da “venire” o “andare”: veniva cantando allegramente; andava dicendo le stesse cose. I verbi frequentativi propriamente detti, però - come si accennava all’inizio di queste noterelle - sono quelli derivati da una forma “primitiva” con l’aggiunta di prefissi o suffissi che conferiscono al verbo stesso, appunto, valore frequentativo. Vediamo, ora, la “meccanica” di tali verbi. Quelli piú comuni sono rappresentati dalle ‘preposizioni prefissali’ “a”e “sotto”; alcune di queste ‘prefissali’ - sarà bene ricordarlo - richiedono il raddoppiamento della consonante iniziale del verbo che alterano: contraddire; sopraggiungere; intrattenere. Altre, invece, subiscono esse stesse qualche leggera trasformazione: coabitare (con-abitare); immettere (in-mettere). Numerosissimi sono i prefissi di diretta provenienza latina che concorrono all’alterazione dei verbi, basti pensare, per esempio, ai prefissi “ante-”; “post-”; “ex-”; “trans-”. Detti prefissi chiariscono, il piú delle volte, il significato del verbo che alterano dando l’idea, per esempio, della ‘precedenza’ (anteporre, porre innanzi), della “antitesi” (contrapporre, porre contro), della “derivazione” (esporre), della “posizione intermedia” (frapporre), della “sottomissione” (sottoporre), della “ripetizione” (riporsi), del “trasferimento” (trasporre). Si faccia attenzione, però, perché qualche prefisso può trarre in inganno le persone sprovvedute in fatto di lingua. I prefissi “dis-” e “s-” possono alterare il verbo in modo intensivo o negativo; occorre prestare molta attenzione, quindi, per non prendere delle clamorose cantonate: “disperdere” è l’intensivo di ‘perdere’, mentre “sfiorire” è il “negativo” di ‘fiorire’.
 
Fausto Raso
 

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