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Come per gli schizoaffettivi

Una prigione, il mio polifonico volere bene.
La gente ha una missione
nel creare scompigli,
è la bazzecola il senso dell’umano.
Liquami paradossali del mondo moderno,
l’orecchio teso del vicinato
agitando la vigliaccheria
come una Brufen,
il chiacchiericcio del bar,
la mole convessa delle voci
che cantano la mediocrità,
io bimbo monello.
È questa la mia prigione,
l’essere scartavetrato nella pelle
fino a stridermi un osso,
io così folle da amare
ogni particella elementare,
gridandolo a più voci
come per gli schizoaffettivi.
 
*
 
Dentro la mia ansia
io scorgo noie,
la bambola perfetta
di pezze e riposi,
catapultato
da un posto all’altro
del carnevale,
mi faccio di/vino
per placare i miei ardori.
È un cancro alla pazzia
questo tempo aion,
tutto lo spulciarsi
dell’istante silenzioso,
che lascia l’eco nello stomaco
come dentro
montagne vuote.
Tutto un impegnarsi
in faccende caprine,
mangiare la pappa,
seguirne la scia,
e la vita si fa sbrodolio.
 
*
 
Da che parte arrivano
i propedeutici silenzi della notte?
Come ‘Une saison en enfer’ di Rimbaud
mi appiattisco sul fianco peggiore,
oramai privo di dimensione,
disseccato sino al midollo spinale,
saturo alla luce del tumulto della cecità.
Sono un poeta, signori!:
malato, perverso, piccolino,
intrico di paranoie il mio sogno
s’innalza su una Gerusalemme
quieta, d’inverno…

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