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Il fiocco rosso sullo specchio

Sono in cucina con la mia mamma, finalmente oggi può stare un po’ con me. Abbiamo fatto insieme l’albero di Natale: tante palline colorate e nastri di tutti i colori. A me lascia sempre mettere l’angioletto e la campanella azzurra. Ho intenzione di godermi questo regalo, la sua presenza: non mi interessa quasi nulla del dono che mi ha fatto Babbo Natale perché, per me, è più importante che lei sia al mio fianco.
Giochiamo insieme e lei è così bella quando sorride: sono convinta che la mia mamma sia la più bella del mondo. Ha i capelli biondi e degli occhi meravigliosi e quando mi guarda sembra riesca a leggermi dentro. Solo a lei permetto di farlo.
Mi sento così felice, mi insegna un sacco di cose, ridiamo e scherziamo, e mi rendo conto di essere una bambina fortunata: io ho lei, la mamma più buona del mondo. La guardo e le sorrido. Lei ricambia a sua volta ed io le chiedo scusa per avere fatto i capricci e per averla fatta arrabbiare qualche giorno prima. Mi dà un bacio sulla fronte e mi accarezza i capelli: non è più arrabbiata.
Alla sera mi faccio il bagno ed è uno dei momenti che preferisco perché lei impiega ore ad asciugarmi i capelli. Adora farmi i boccoli con le mani e mi mette sempre un fiocco rosso: dice che mi dona molto e anche a me piace. Guardo nello specchio il mio volto vicino al suo e trovo che siamo bellissime, anche se la mia mamma sembra essere tanto stanca. Spero che non sia per colpa mia, forse la faccio lavorare troppo.
Mi mette a letto nella mia cameretta e lei va nella sua con papà. Il mio papà sembra un orso, ma anche lui gioca molto con me, mi stringe forte e mi riempie di baci, e quando ci ritagliamo il nostro momento è bellissimo, rotoliamo nel lettone ed io mi sento tanto amata.
La mattina seguente mi sveglio prima di lei: è quasi Natale e decido di farle una sorpresa, voglio svegliarla io con tanti bacini e magari prepararle la colazione. Apro lentamente la porta della camera, con amara delusione mi accorgo che è già sveglia, ed è triste. Si guarda allo specchio e piange. Il mio piccolo cuoricino si spezza in due in quell’istante: la vedo mettersi una parrucca e sistemarsi un seno finto, la sento pregare e piangere. Che cos’ha la mia mamma? Mi sento il mondo crollare addosso. Corro in camera mia e mi stringo al petto il mio orsetto: Tetty. La sento aprire la porta della mia cameretta ed io fingo di dormire: non si è accorta delle mie lacrime, grazie al cielo me le ha asciugate Tetty e lei ora mi sta sorridendo. Decido di non chiederle spiegazioni su ciò che ho visto, scendo dal letto e insieme a lei vado a fare colazione in cucina.

 

Caro Babbo Natale,
ti scrivo perchè ho cambiato idea sul regalo. So che hai già mandato alla mamma la cucina elettrica delle Barbie. Non dovrei saperlo, ma ho visto che la impacchettava. Posso restituirtelo e chiederti in cambio che mi lasci la mia mamma? A Natale aprirò il pacchetto fingendo sorpresa, poi lo rimetterò sotto l’albero, così tu potrai passare e darlo ad un bambino che ne ha più bisogno e nessuno se ne accorgerà.
Io ti chiedo per favore di non far soffrire la mia mamma. Ho provato a chiedere a Dio (lo fa anche lei tutti i giorni), ma vedo che non funziona. I miei compagni di scuola dicono che loro chiedono a te tutto quello che vogliono e tu li accontenti sempre, posso farlo anch’io quest’anno?
Grazie mille Babbo Natale.
 
Oggi quando arriva il Natale, sono inquieta. Mi guardo intorno, ma quello che vedo non mi piace: hanno cambiato il significato del periodo più bello dell’anno, fingendo che non fosse così. Le persone corrono frenetiche, ancora più veloci di quanto non fanno durante la loro restante vita. Donne comprano giocattoli costosi a bambini perfettamente istruiti per scegliere l’ultimo modello che la pubblicità gli propina, salvo lasciarlo in un angolo della cameretta un mese dopo già dimentichi del dono.
<<Amore della mamma, ti ricordi che quello te l’ho preso per Natale?>> <<No, mamma, avevi preso il modello 1.0. Adesso c’è il modello 1.1, con la cromatura verde, vedi? L’altro è brutto a confronto.>>
Io ricordo perfettamente i regali di Natale che mi sono stati fatti perché il regalo era importante e andava scelto con cura: non sarebbe arrivato il modello successivo e diventava il mio nuovo compagno per tutto l’inverno.
Come ogni tradizione che si rispetti, anche stamattina mi sono alzata, pettinata e ho indossato il mio fiocco rosso tra i capelli: guardandomi allo specchio non so chi sto guardando, se me stessa o una delle tante maschere che indosso. Non ricordo chi c’è dietro, non ricordo il mio sorriso più sincero e mi sono dimenticata anche come si porta. Ma ad un occhio critico, potrei risultare perfetta: la perfetta compagna, silenziosa e premurosa; la perfetta amica, che ascolta ed elargisce consigli che dovrebbe dare a se stessa; la perfetta anima quieta che non dà più alcun disturbo.
Lo specchio poco alla volta si incrina: una piccola scheggia, una crepa minuscola, nell’angolo in basso a destra. Non si nota tanto, è giusto la luce del sole che si riflette a creare uno strano gioco di ombre. Poi la crepa diventa più lunga, un giorno dopo l’altro. Se fisso lo specchio ogni giorno non me ne accorgo, ma c’è. Anno dopo anno, diventa sempre più evidente. Alla fine, mi chiedo come lo specchio possa restare ancora insieme: i frammenti e le crepe sono così tante che temo possa crollare da un momento all’altro. Sto cercando in ogni modo di tenerlo insieme, senza che il mio fiocco rosso si rovini.
E’ stato in quel preciso istante che i miei occhi hanno incontrato quelli di lei per la prima volta. Si è infilata tra una crepa e l’altra e con il suo sorriso ne ha rimesso insieme qualche scheggia. E’ stato così semplice da spiazzarmi. Per questo anche se oggi è Natale, non sono così preoccupata: lo specchio è diventato un bellissimo mosaico che racconta la mia storia, il mio lavoro è diventato il modo per arricchire ogni crepa della mia vita. Lei, la mia paziente, la mia luce, la mia salvezza: grazie al suo esempio, ho trovato un pò di forza in più.
 
Caro Babbo Natale,
Le famiglie delle persone che conosco amano il Natale: addobbare l'albero, decorare la casa, guardare quei film che ormai sono diventati un classico della tradizione e mangiare dolci senza sentirsi in colpa. La mia famiglia no, non più. Era la mamma quella che faceva Natale. Lei era il calore di un caminetto acceso, la stella luminosa che brillava. Anno dopo anno, dalla sua assenza ci siamo divisi sempre di più, finché il suo cancro è diventato il nostro e le sue luci, spegnendosi, sono diventate le nostre ombre.
Non ti ho mai scritto una lettera, perché l'unico regalo che volevo era lei, senza fiocco o pacchetto. Sognavo di averla per Natale anche solo qualche minuto: fantasia di una bambina che aveva perso la madre troppo presto e che continuava a sperare che tu, caro Babbo Natale, fossi una versione di Dio. Col tempo ho distrutto ad uno ad uno i miei sogni e ti ho visto per quello che sei. Sono stata arrabbiata per tanto tempo: arrabbiata con te perché non mi portavi il regalo che volevo, arrabbiata con il mondo che aveva strappato via l’amore più sincero della mia vita, arrabbiata con me stessa per averla lasciata andare senza fare niente. Ora sono qui a scriverti perché spero nel frattempo tu abbia imparato a fare miracoli.
Sono diventata un Operatore Socio Sanitario, per riempire la mia vita di tutti quei valori che sentivo mancare, e grazie a questo ho conosciuto una persona meravigliosa. La chiamavo “il mio angelo in terra senza le ali”. Il letto in cui si trovava costretta mi auguravo avesse la stessa consistenza delle nuvole, soffice per non rovinarle la pelle, così maledettamente fragile e delicata. I suoi sorrisi, quelli che dedicava solo a me, erano la gioia nei momenti di buio, anche quando, giorno dopo giorno mi prendevo cura di lei e delle sue sofferenze che continuavano ad aumentare. Avere un cromosoma in più dovrebbe essere un privilegio, non un limite. I suoi occhi non erano come quelli degli altri: erano più belli, perché guardavano sempre e unicamente con amore. Lei non parlava più, ma non era necessario che mi dicesse quanto mi amava perché lo dimostrava con quelle piccole e adorabili manine: quando mi accarezzava il volto o quando cercava di abbracciarmi anche se non aveva la forza di farlo.
Sai, è impossibile dimenticare le risate che mi ha fatto fare, sono state veramente moltissime: in tre anni ho riso assieme a lei come con nessun altro in tutta la vita. L'ho vista lottare: contro la malattia e il relativo dolore, contro l’allettamento e contro il pregiudizio delle persone. Un po’ alla volta lei e sua sorella sono diventate il mio mondo, la mia seconda famiglia, alla quale ho dato amore senza limiti, ricevendo però molto, molto di più.
Caro Babbo Natale, se ti stai domandando cosa voglio da te, vorrei risponderti “Niente di materiale”: sarei felice se ogni persona normodotata potesse confrontarsi con chi non lo è, con chi affronta la disabilità a testa alta, senza arrendersi mai, fino alla fine.
Anche se ora il mio cuore non si quieta perché non c'è più, mi ritengo fortunata: ho imparato ad ingoiare le lacrime e a sorridere perché questo meritava ma soprattutto ho imparato a dare ancora più valore ai piccoli gesti. Non ti chiedo di riportarla in vita, non potevi un tempo con la mamma, non puoi ora e non può nemmeno Dio. Ecco, Babbo Natale. Per questo Natale non ti chiedo altro perché il dono più bello in assoluto è donare alle persone quello che non si può comprare.
 
Grazie e buon Natale.
Francesca Lenzi Verbasi

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