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Dalla biografia di nonno Letterio - Il primo lavoro di nonno Letterio

Camminavo pensando a tante cose, quando un signore, con il giornale tra le mani, si fermò proprio dinnanzi a me: “Liuzzo, proprio stamane ti pensavo...”
“Signore,” dissi, “ci deve essere un errore; tutto mi sembra nuovo... e le assicuro che non ci siamo mai incontrati.” “Ti ho visto tante volte al genio civile...”
“Infatti, ero diretto, proprio là, ma per la prima volta. È per registrare la mia invalidità; sapeste, ho perso la memoria... Ma gradualmente, essa ritorna a sprazzi, specie se il tempo è bello.” Rispose: “Mi faresti un favore?” Annuivo. “Non pensarci. Da oggi la tua vita può cambiare... Basta che tu vada dai fratelli Gemellaro e compri un manuale su come conciare la pelle e sull'arte di lavorarla.”
“Signore,” dissi “quale è il vostro nome?”
“Chiamami solo Ettore; il cognome Petrosino, non mi piace.”
“Signore,” replicai, “lavorare la pelle, mi impressiona; sono un animalista.”
“Anch'io” rispose “diamoci la mano; ma devi sapere che la pelle che arriva è quella sequestrata ai venditori di pellicce.”
“A chi mi devo rivolgere,” dissi sentendomi quasi inebetito. Rispose: “Ti presenterò a mia comare; è lei che conosce i fratelli Giacalone, titolari dell'impresa.” “Vi ringrazio... E pensare che non ci conoscevamo...” “Sono il vostro prossimo,” rispose, “aspettate... non sia mai... Vi voglio accompagnare.” E, così, Ettore, mi prendeva a braccio ed io cominciavo a sentire gratitudine verso quell'uomo del quale potevo appurare l'onestà del pensiero. Egli mi sembrò come un libro aperto, che se lo sfogli, t'avvolge. Fu così che entrammo in una villa, dove una bella signora, stava potando le rose. “Accomodatevi” disse, vedendoci, “vengo subito.” Ci accomodammo in un bel salotto, tutto fioriere. Ettore ci presentava e nel presentarci, le diceva: “Signora, è quel signore, che incontro sempre in transfert al Genio Civile. Gli parli dei suoi inquilini, quelli che pur essendo onesti, non riescono a pagarle l'affitto, per la scarsità di mano d'opera.” La signora sobbalzò: “Oddio, non voglio che vengano a sapere che noi vogliamo lor far la carità. Ma dovete sapere che,” disse rivolta a me, “essi non pagano più l'affitto. Io non gliene voglio, perché so che non c'è la fanno. A questo punto, ho pensato di cercare per loro un socio, una persona che possa aiutarli nella manifattura.” Mi accomiatavo dai miei benefattori, dicendo che avrei dato loro, una risposta, quando da una Wolkswagen, vidi scendere un uomo e una donna. Ci salutammo con deferenza e seppi che erano i proprietari della pelletteria.

Mi avvicinavo con sicurezza, e rivolgendomi all'uomo: “Ho saputo che avete cinture di cuoio. Potrei averne una per oggi stesso?”
Rispose: “Signore, potete avere una cintura rifinita, ma in giornata è difficile. Faremo il possibile, per fargliela avere domani.”
A questo punto, poiché i due, fratello e sorella, mi ispirarono fiducia, mi persuasi a dire la verità.
“Signori, io non sono del mestiere, ma cercherei un lavoro. Se mi accogliete, farò il possibile per rimediare al vostro problema che la mancanza di mano d'opera.”
Mi rispose il più giovane: “Sapeste quante volte, abbiamo messo degli annunci sui giornali... Ma nessuno rispondeva, presupponendo che il lavoro, implicasse il sacrificio di un animale. Noi, invece, possiamo assicurare che il materiale viene direttamente dalle finanze. Esaurito il pellame, ci adatteremo a far cinture e borse di finto cuoio. A questo punto, vi diciamo che abbiam capito che la cintura rifinita era una scusa. Vi aspettiamo domani.”
Sorridemmo, scambiandoci, una stretta di mano. Il primo passo era stato fatto; ora occorreva un manuale che desse sufficienti chiarimenti.
Mi recavo nel pomeriggio, nella cartolibreria dei fratelli Gemellaro per cercare il manuale di cui Ettore mi aveva parlato. In men che non si dica, il libricino era nelle mie mani ed era intitolato: Il manuale del conciatore di pelle. Lo aprii e vidi che la spiegazione era semplicissima: occorreva far asciugare la pelle al sole; poi la si tinteggiava e, infine, si cesellava.
Restai senza parole, quando, il giorno dopo, il signor Giacalone, mi disse: “La pelle, lasciata incustodita, l'han rubata, ma la assumiamo lo stesso per i lavori in linoflex, ossia di finta pelle.”
Respirai di sollievo perché, lavorare con la pelle degli animali, mi avrebbe procurato molti sensi di colpa. L'occupazione durò in tutto dieci settimane, durante le quali ebbi il tempo di pensare ad un lavoro definitivo. Con i due fratelli, nasceva una sincera amicizia.
“Lio,” disse la signora, “quando ve ne andrete, ricordateci sempre. Io sono la Suora dalla mano bianca, che voi vedevate nei transfert adolescenziali. Non sapevo nulla di come vivessero le monache di clausura e per l'errore di ignorare, mi relegavo ad una vita di solitudine e di sofferenza. Mi ammalavo; sembravo in punto di morte; poi, addirittura deceduta. Ma quando venne mio fratello, perché gli fu chiesto di constatare il decesso, io mi risvegliavo. Mi lasciai andare tra le sue braccia e gli dicevo: non lasciarmi mai più; ti seguirò, ovunque tu vada e ti sarò devota.
La mano destra che voi vedete, ma che solitamente, porto coperta da un guanto, si era sbiancata per reazione ad alcune gocce di veleno che avevo ingerito e... non si riabilitò più. Molti pensarono però che fosse stato mio fratello, il colpevole, fautore di quello sbiancamento. Poverina... Si cominciò a pensare deve sottostare al fratello che la costringe a lavare il pellame con la candeggina. Da allora, nessuno rispondeva ai nostri annunci... Sì, anche, noi, sull'orlo del fallimento, conoscemmo la fame e la disperazione. Le nostre condizioni migliorarono, quando un industria ben organizzata, ci offriva uno stipendio fisso, per la lavorazione di prodotti in similpelle.
Se vi racconto questa storia, è per dirvi che abbiamo fatto una prova: fingere d'esser poveri e desolati, per vedere se qualcuno si accorgeva di noi.
Lio, mi disse ancora, «la suora dalla mano bianca», promettete che quando ve ne andrete,verrete spesso a trovarci,come se fossimo parenti.”
Rispondevo: “Verrò certamente a trovarvi e per me, Voi siete senza alcun dubbio, i miei parenti.”

* Continua *

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