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Il partigiano Bill

(post segnalato dalla redazione)
 
 
 a Bill
 
 La sera.

 

Quante stelle vi erano in cielo quella notte! Bill, sdraiato su un terrapieno osservava il cielo. Con la nausea in corpo malediceva Kovavick e i suoi compagni. Pensava: “Diavoli di russi, berrebbero qualsiasi cosa che vagamente assomiglia all’alcool”. Avevano scovato nelle cantine del castello diverse casse di liquore, le avevano versate dentro ad una grossa bacinella distribuendone ricchi mestoli a tutto il gruppo; e guai a non bere alla loro salute! … ”Altro che il barbera a cui siamo abituati noi; accidenti a loro che nausea”, mormorava Bill a denti stretti stringendosi la pancia.

Tutto gli vorticava attorno, il cielo stellato e il buio della notte; sentiva le voci dei compagni che parlavano tra loro, e a tratti gli giungeva alle narici l’odore del fumo delle loro sigarette.

Erano una formazione di ventisei partigiani, giunta lì, sul colle del Lys, per presidiare quella postazione. Nella notte, non si udivano rumori inconsueti, tutto era tranquillo, gli uomini si avvicendavano nei turni di guardia.

Bill pensava: “Non riesco nemmeno a liberare lo stomaco, tutto mi vortica attorno, faccio fatica a tenermi in piedi, figuriamoci poi il dover sparare. Forse riuscirò, tra un turno di guardia e l’altro, a riposare qualche ora.”

 

 

Il mattino.

 

L’umidità della notte si era trasformata in leggero vapore che avvolgeva il colle. Gli uomini, alzandosi, stiravano le braccia, scuotendosi di dosso gli ultimi tratti di sonno. Bill alzandosi si sentì decisamente meglio. Poche ore di sonno, e la scarsa alimentazione, erano riuscite a dissipare gli umori di quella sbornia.

Lentamente iniziò a salire per un piccolo sentiero raggiungendo, su una altura, la sua postazione di guardia. Seduto a terra, appoggiò l’arma su un pozzetto dell’acquedotto, e, sfilandosi la tabacchiera di tasca, iniziò ad arrotolarsi una cartina.

Vide i compagni sul piazzale, sparsi in piccoli gruppi che fumavano, scherzando tra di loro. Sul sentiero, saliva l’altro partigiano destinato anche lui a quella postazione. La consegna, in caso di pericolo, era di sparare tre colpi distanziati tra loro, per allertare il comando, ubicato nel castello di Monpellato.

Bill guardò la valle, la foschia si stava diradando, iniziò a scorgere i rilievi del bosco, ora anche la pineta di fronte a lui appariva nitida. Guardò oltre la pineta la cima del monte che si stagliava scura contro il cielo, sospirando, pensò a quando sarebbe potuto salire in montagna per raccogliere funghi e narcisi, come faceva da ragazzo.

Un rumore interruppe il corso dei suoi pensieri. Era una motocicletta che dalla valle laterale saliva verso il colle. Vide la staffetta giungere sul piazzale. Lo conosceva quel ragazzo, era di un paese vicino al suo, aveva la passione per le motociclette. L’anno prima avevano giocato in coppia ad un gara di bocce. Era venuto ad avvertire che c’erano dei movimenti di truppe che stavano risalendo la valle ed erano dirette verso il colle.

All’improvviso scoppiò l’inferno. I nemici aprirono il fuoco. Bill sparò due colpi in aria, non fece in tempo a sparare il terzo, perché il rumore degli spari sul colle sovrastò quello della sua arma. Una raffica investì in pieno la staffetta; l’uomo venne sbalzato dalla moto e cadde a terra morto.

Il fuoco, proveniente da più parti, si concentrò sul colle. Sparavano dalla strada e dalla pineta di fronte al piazzale, sparavano da ogni lato. I gruppi dei partigiani sul colle, disorientati, si dispersero in cerca di un riparo. Bill, cercando di coprirli, fece partire una raffica contro la pineta, e, al suo fianco sparò anche il suo compagno. Non riuscirono ad individuare il nemico che era ben mimetizzato, spararono quindi alla cieca, in direzione del loro fuoco.

La sparatoria si fece più fitta; i nemici prontamente li individuarono concentrando il fuoco su di loro. Una salva di colpi sbriciolò le rocce a fianco della loro postazione.

Sul piazzale del colle, gruppi di nemici in borghese chiamarono con il nome di battaglia i partigiani in cerca di riparo, e quando questi, convinti che fossero amici, si avvicinarono a loro, vennero falciati da raffiche di mitra. Ora erano tutti a terra, alcuni morti, altri feriti. Il nemico concentrò il fuoco verso la postazione di Bill.

- Scendiamo a valle, cerchiamo di raggiungere l’altro gruppo. - Urlò Bill al suo compagno. - poi battendogli una mano sulla spalla gli disse: - Il comando è già in allarme; vai, inizia a scendere che ti copro.

Un sentiero, che scendeva a valle attraverso i pascoli, si apriva al loro fianco. Dopo aver sparato alcune raffiche, Bill, correndo, si affrettò a raggiungere il suo compagno. Infilarono il sentiero di corsa inseguiti dalle pallottole sparate contro loro. Corsero… sul prato, Bill vide davanti a sè il suo compagno cadere e rialzarsi; pensò - lo hanno colpito. - Scivolò anche lui sull’erba umida del prato facendo partire una raffica che si perse alta nel cielo. Si rialzò e correndo, portò automaticamente la mano alla cintura, controllando di non avere perso, nella caduta, la pistola.

Attorno a loro, le zolle del terreno, colpite dai proiettili, si sollevarono come se fossero percosse con una frusta. Giunsero affannati e con il fiato corto, sul limitare del boschetto, al fondo del prato, prima della strada che porta al ponte. Le raffiche li sfiorarono, frantumando le foglie, spazzando via i rami, scuotendo i tronchi degli alberi.

Corsero lungo il ponte, ma una raffica investì in pieno il parapetto, frantumando le pietre, sollevando una miriade di schegge. Si buttarono giù dal ponte, lungo il greto del fiume. Bill si sentì bruciare la fronte, la toccò con la mano che ritirò sporca di sangue, vide che anche la manica sinistra della camicia era zuppa di sangue. “Oh mamma, mi hanno colpito!” esclamò, mentre gli si rizzavano i capelli sulla nuca. Continuarono a correre tra i ciottoli e il fango del greto del fiume, mentre l’acqua ribolliva dagli spruzzi sollevati dai proiettili.

Dovettero attraversare un tratto scoperto correndo. Bill si toccò il braccio sinistro, la pelle bruciava leggermente, ma sembrava tutto a posto, riusciva a muoverlo. Sentì, passando la mano, una piccola scheggia di pietra che si era piantata nella fronte, la sfilò gettandola a terra. Il suo compagno gli urlò:

- Tutto bene?

- Sì, sì, filiamo via, ora. - Gli rispose Bill mentre, con la coda dell’occhio, coglieva un movimento di uomini che alla sua destra, si muovevano nella macchia ombrosa; da lì, partirono alcuni colpi nella loro direzione. Bill rispose al fuoco con una raffica del suo mitra, sparando basso, a casaccio tra i noccioli.

Correndo, videro “Valecia” con il fratello e i suoi uomini che venivano loro incontro sulla mulattiera. Dal colle nel frattempo aprirono il fuoco con le mitragliatrici pesanti. Il fuoco si intensificò, arrivarono d’infilata i primi colpi. Bill e il compagno raggiunsero il gruppo di “Valecia” e si spostarono lungo la mulattiera che portava al santuario di Madonna della Bassa. Il bosco coprì la loro vista al nemico. Rallentarono la corsa camminando a passo spedito. Bill si scoprì il braccio; aveva delle ferite provocate da alcune schegge di pietra, camminando le rimosse, poi si fasciò il braccio con il fazzoletto. Iniziò a piovere, sul colle il cielo era nero. L’acqua scendeva impetuosa, accompagnata da raffiche di vento. Erano tutti zuppi.

Giunti ad un centinaio di metri dal santuario, dovettero attraversare un tratto allo scoperto. Da Rubiana, il nemico aprì il fuoco contro loro con cannoni di piccolo calibro, dovettero percorrere l’intero tratto strisciando carponi nel fango, sotto l’acqua battente, che non accennava a diminuire.

Lentamente la colonna raggiunse la Bassa, il nemico tacque. Stabiliti i turni di guardia, gli uomini si dispersero nell’edificio.

In una stanza della foresteria Bill, sfinito, si sedette a terra con la schiena appoggiata al muro; era stanco. Qualcuno accese della legna nel camino, il fumo invase la camera; venne spalancata una finestra. Dopo un po’ il camino iniziò a tirare regolarmente, diffondendo un piacevole tepore. Gli uomini, silenziosi, seduti in semicerchio davanti al fuoco, s’asciugavano.

Bill estrasse dalla sua tabacchiera un mozzicone di sigaretta, qualcuno gli porse del fuoco. Aspirò un paio di boccate profonde, con voluttà, il fumo gli scese di colpo nei polmoni, con l’intensità di un pugno allo stomaco.

Bill sentì la tensione scaricarsi su di lui, gli tremavano le gambe. Si alzò in piedi, un compagno gli porse una borraccia, bevve un sorso di vino; all’improvviso, caduta la tensione, la fame lo aggredì di colpo.

Gli offrirono una patata cotta nella brace, la pulì con la mano, poi la mangiò con tutta la buccia. Leggermente ristorato, controllò l’otturatore del fucile mitragliatore, lo disarmò asciugandolo, poi lo fece scattare a vuoto un paio di volte controllando che tutto fosse a posto. Inserì un caricatore nuovo, e riarmò l’otturature mettendo la sicura all’arma. Da una tasca estrasse delle cartucce che inserì nel caricatore vuoto.

Una mezz’ora dopo il gruppo scese verso Valdellatorre, l’ordine era di disperdersi, passare la notte nel paese, e ricostituirsi il giorno dopo alla baita della Lunella. Non sapevano nulla della sorte dei loro compagni caduti sul colle. Solamente il giorno dopo vennero a sapere che le urla dei feriti si sentivano giù sino al paese. Il parroco salito sul colle trovò i loro corpi orrendamente mutilati. Per quei ventidue ragazzi la vita si era fermata lì, consegnata per sempre alla memoria della storia.

 

 

La sera.

 

Scesero nel paese che era già buio, la strada era deserta. Bill intravide una stalla posta a fianco della montagna, leggermente discosta dalle case; era stata trasformata in fienile. Aprì con cautela la porta sgangherata e controllò che non vi fosse nessuno all’interno. Poi entrò, fermò la porta con alcuni attrezzi agricoli appoggiandoli contro, e salì sul fienile dove si sdraiò nella paglia.

Non riuscì a prendere sonno, poi rendendosi conto che il nemico entrando dalla porta lo avrebbe potuto prendere in trappola, si alzò e sfilò una losa dal tetto, creandosi così una via di fuga verso la montagna.

Sfinito si sdraiò, inserì la sicura al fucile mitragliatore, abbracciandolo, come si abbraccia un bambino. Nell’istante che precedette il sonno, vide una moltitudine di visi che gli ruotavano attorno. Erano i volti dei suoi compagni caduti sul colle; li vedeva sorridere, con lo stesso sorriso di quando, insieme, festeggiavano la fiera del paese, tra le allegre bevute all’osteria, una camicia bianca, fresca di stiro; e il discreto corteggiare le ragazze al ballo pubblico. Sospirò, pensando che un bel giorno quella sporca guerra sarebbe finita. Di colpo si addormentò.

 

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