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Il Violino Parte Quattro

 PARTE QUATTRO
 
Markos smise di narrare. La sua stanchezza era evidente. Riempì nuovamente il calice e bevve a piccoli sorsi. Lo vedevo soprappensiero mentre inconsciamente passava gentilmente i polpastrelli delle dita sopra l’orlo del calice. Da quel lieve tocco scaturì una nota di un alto timbro sonoro. Ripete` quel gentile strofinio, mentre muoveva la posizione sull’orlo del calice, e in quel modo produsse differenti variazioni dalla nota. Osservai l’interesse con cui il mio musicista studiava la differenza del timbro sonoro. Bevve nuovamente un piccolo sorso di vino, mentre ripeteva la carezza sull’orlo del calice producendo altre note più acute.
“Capisce cosa intendo per suoni musicali? Per ottenere la perfezione del suono bisogna provare e riprovare fintanto che si è capaci di creare la nota più pura, quella più completa nella gamma sonora. Suppongo che anche lei avrà lo stesso dilemma nel costruire i suoi violini. Forse il problema consiste nel saper dare la giusta curvatura e la giusta ampiezza della cassa sonora, capace a produrre le vibrazioni piu’ melodiose.”
Inaspettatamente ritornò alla narrazione della sua vita.
“Avevo dieci anni, quando padre Tito, il prete del paese, mi chiese di suonare “L’Ave Maria” di Schubert, durante la messa domenicale. Ricordo la prima volta che suonai il modo in cui udii l’eco della mia musica ritornare a me dalle alte navate della chiesa.
“Padre Tito presto divenne il mio benefattore. Alcuni mesi più tardi venne a casa mia e parlò a lungo con i miei genitori. Disse loro che con l’aiuto della diocesi avessi buone possibilità di entrare in un conservatorio musicale vicino a Milano. Ottenni così una borsa di studio in quel conservatorio che si trovava sul Lago di Iseo, in una pittoresca area campestre, che fronteggiava le calme acque del lago.
“Vissi in quel luogo per i prossimi sei anni della mia vita, dove imparai le tecniche del suono e praticavo sul vilino in lunghe estenuanti ore, giorno dopo giorno, sino all’esaurimento delle mie forze. 
  “Nel luogo del conservatorio musicale sull’isoletta di Montisola, nei secoli passati, esisteva un convento di frati. Ora gli studenti avevano l’uso delle stesse minuscole celle francescane, prive di conforto e dove i nostri tutori ci costringevano alla stessa disciplina claustrale con brevi contatti con gli altri studenti. Le visite dei famigliari erano limitate a poche ore mensili e così pure le nostre uscite dalle vecchie mura del convento erano rare. Questa rigida disciplina influiva sui nuovi venuti che nel breve giro di alcuni mesi terminavano i loro studi e ritornavano alle loro case.
 “Sicché nel vecchio convento, rimasero unicamente quei pochi con talento e ben determinati di raggiungere la matricolazione negli studi musicali.
“Durante l’ultimo anno di conservatorio divenni amico con un altro ragazzo che aveva talento. La sua cella era all’estremità di un lungo corridoio nell’opposta direzione della mia. Nel tempo allocato per i nostri esercizi musicali, io e Franz, suonavamo la stessa melodia competendo tra noi, e alternandoci il ruolo di primo violino.
“Al termine dei nostri studi, dovemmo esibirci di fronte ad un competente gruppo di musicisti i quali avrebbero giudicato le nostre capacità. Tanto il pubblico quanto gli esaminatori erano persone  rinomate nel campo musicale. Dalla nostra esibizione dipendeva il nostro futuro come musicisti. In quella sera per la mia amicizia a Franz lasciai a lui il privilegio di concertare come primo violino.
 “Solamente coloro che si sarebbero aggiudicati come i migliori sarebbe data a loro la possibilità di partecipare alla stagione lirica annuale nei migliori teatri lirici Europei.
 “Fu in quella serata conclusiva che Franz mi invitò a trascorrere l’estate assieme a lui e alla sua famiglia. Disse, “Nel passato nella nostra famiglia vi furono violinisti di talento. L’essere assieme ci darà l’opportunità di esibirci di fronte ad un gruppo di conoscitori della buona musica, la mia famiglia assieme ai loro amici. Sono ceto che la mia famiglia sarà lieta di ospitarti e di conoscerti.”
~*~
         Vidi che a quel punto Markos era stremato e al limite delle sue forze. Quel ricercare entro il suo passato era l’evidente causa di pena, ma capii che ugualmente era determinato di giungere alla fine di quel racconto e liberare una volta per sempre il suo animo dagli incubi che lo tormentavano da lunghi anni. Cercai di incoraggiarlo, scuotendo il suo torpore e lo invitai, “Prenda tempo Markos. Se beve un po` di vino e si sentirà meglio, le rigenera` nuovo calore ed energia.”
Markos sorseggiò il suo vino e soprappensiero, mosse nuovamente i polpastrelli delle sue dita sull’orlo del calice, creando nuovi toni musicali. Compresi come il suo ego fosse teso come le corde del suo violino, e quel cercare di produrre nuove sfumature di suoni, era null’altro che il suo modo di fare per calmare se stesso ed essere capace di riordinare il suo pensiero sul passato. Dopo diversi minuti, stancamente, ricomincio` a parlare.
“Fu al principio di quell’estate che mi comunicarono che avrei partecipato a un concerto come solista in Budapest con l’esecuzione dall’Orchestra Sinfonica del Teatro dell’Opera di quella citta`. Avrei pure avuto una seconda esibizione accompagnando con il mio violino una grande virtuosa pianista di quei giorni, la celebre Maria Wallaschek. Quelle furono per me piacevoli esperienze. Purtroppo furono le uniche nelle quali concertai come violinista in un teatro Europeo.
“Dopo di quel giorno vi fu null’altro che un susseguirsi di cose spiacevoli che mai piu` mi permisero di presentarmi alle ribalte dei teatri...”
Udii da lui a quel punto un lieve gemito, ma si riprese prontamente, “Meglio che ritorni ora al racconto...Fu durante quel settembre che spedii un telegramma a Franz dicendogli che lo avrei visitato a Kranj, dove la sua famiglia dimorava.
“Kranj è una localita che si trova nella Slovenia ed è relativamente vicino a Gorizia. Viaggiai per ferrovia fino a Tolmino e da lì con una corriera attraversai una stretta valle che ai lati era ricoperta da magnifici abeti. Franz, come promessomi, mi attendeva al terminale dei bus e viaggiammo da lì con la sua Fiat per una buona ora, percorendo una lunga valle prima di raggiungere la sua dimora.”
Ora Markos parlava somessamente, prendendo tempo, e cercando di rivivere i particolari di quel giorno, che compresi erano d’importanza vitale nei fatti che mi stava raccontando.
“Mentre si viaggiava Franz mi disse per la prima volta, che proveniva da una famiglia benestante. Il padre era il Conte dl Monterosa, e vivevano nel loro castello ducale, sin dai tempi in cui il capostipite, discendere da una vecchia famiglia Veneziana, era venuto in quella valle per combattere l’invasione Turcomanna nel sedicesimo secolo.
Durante le prime due settimane che trascorsi al Castello dei Monterosa furono i miglior giorni della mia vita. Sentivo di essere ritornato nella mia vera casa e che tutto quanto vedevo all’intorno mi appartenesse. Forse quanto mia madre aveva profetizzato si stava ora avverando. Forse era dovuto al fatto che sono sempre stato super sensitivo e capace di leggere nel passato ed intuire il futuro.
“Nei mattini io e Franz andavamo a caccia, mentre nei pomeriggi ci si esercitava a suonare con i nostri violini.
Fu durante uno di quegl’ultimi pomeriggi che inaspettatamente Franz mi offrì una cifra favolosa per comperare il mio violino. Naturalmente rifiutai categoricamente e lessi il suo risentimento nel mio  rifiuto. Gli dissi allora, “Scusami Franz, sappi che questo violino è l’unica cosa che mi leghi sentimentalmente a mio padre.”
“Franz zitti` sul momento, sebbene fosse in lui il morboso desiderio di avere il mio violino.
“Alla sera, io e Franz intrattenemmo i presenti con la nostra musica, suonando pezzi noti di Corelli, Mozart, Tchaikosky e altri famosi compositori. Fu in quella esecuzione serale, che notai il modo in cui il Conte di Monterosa scrutava il mio violino. Lo vidi muovere morbosamente il suo sguardo dal violino a me e viceversa, studiandomi profondamente mentre forse cercava una plausibile connessione tra me e il mio violino. Fu nel mattino seguente che il maggiordomo mi invitò  di seguirlo nell’ufficio del Conte.
Nell’entrare nel suo ufficio lo riverii con, “Buongiorno Signor Conte.”
“Vieni, vieni pure Markos… accomodati. Ho notato che tra te e il mio unico figlio esiste una buona amicizia. Ho quindi desiderio di conoscerti meglio.”
“La ringrazio Sig. Conte per la sua ospitalità.”
“Caro Markos, colgo pure l’opportunità di congratularmi per la tua bravura.  La tua interpretazione concertistica di ieri sera fu eccellente. Noto che hai  talento. Ho pure ammirato il tuo violino!  Devo dire che dalle tue mani scaturiva una musica sublime. Non è forse un Guarneri?
“Si, Sig. Conte, è un Guarneri.”
“Nel passato possedevo pure io un simile violino. Allora ero un buon musicista, finche` quel violino andò perso. Ero allora un giovane ufficiale di cavalleria, ed il nostro reggimento era soggetto a continui spostamenti. Il mio attendente era il responsabile dei miei averi e un giorno disse che il violino era stato rubato. Ho sempre avuto i miei dubbi sulla storia raccontatami da lui.”
Quanto il Conte mi stava dicendo mi lasciò perplesso. Non compresi dove veramente volesse giungere e cosa insinuasse. Un sudore freddo incominciò  a scendermi lungo la schiena. Certo aveva ben capito chi ero ma era evidente di rinnegarmi come figlio, il suo primogenito. Mi lasciava definitivamente in limbo, facendomi comprendere che fossi null’altro che un non meglio indentificato bastardo. Ma quello non fu tutto, e il Conte continuò la sua finzione chiedendomi, “Dimmi Markos, dove vive La tua famiglia?”
“Sono nato a Crakova, Signor Conte. E`un piccolo villaggio che si trova lungo la costa Dalmata.”
“Conosco quei luoghi. Fui là con il mio reggimento per un periodo abbastanza lungo. Quale coincidenza! Ho buone memorie di quei tempi.”
“Il Conte continuò a studiarmi con un certo interesse. Forse cercava il modo di risolvere quella situazione imbarazzante per entrambi. Fu un attimo fugace, e ben presto riacquistò la sua padronanza. Aveva finito col rinnegarmi. Innalzava ora una barriera tra noi, escludendomi dalla sua vita. Capii che aveva così concluso il fatto di chi veramente fossi, e mise fine al più presto al nostro colloquio, “Mi auguro tu abbi gradito la permanenza al castello, ed ho piacere di sapere della tua amicizia con mio figlio.”
                                                    *   *   *        
“Da allora la mia vita peggiorò al castello. Franz continuò a evitarmi, senza una scusa plausibile, sebbene si vivesse nello stesso luogo, non ci incontravamo per lunghi giorni.
“Un mattino chiesi al maggiordomo dove fosse Franz. Rispose, “Il giovane Conte è sofferente di amnesia. Ha ora una crisi e ci vorrà tempo al giovane Conte Franz per ristabilirsi. Penso che sia meglio per lei di ritornare a casa.”
“Sono spiacente per il giovane Conte. Desidero poterlo ringraziare per la sua ospitalità prima di partire. Puo` arrangiare un appuntamento al più presto con il giovane Conte Franz?”
“Vidi Franz quello stesso pomeriggio. Mi trovai di fronte ad un ben differente Franz da quello che avevo conosciuto prima. In lui notai un muto rancore verso di me. Era pallido con gli occhi cerchiati di nero e il suo sguardo assente. Era certamente ammalato.
“M indirizzò insolentemente, “Il maggiordomo dice che te ne vai. Certo Markos. VAI PURE ALL’INFERNO, e al più presto! Sei un misero ladro, e sai bene il perché. Quel violino è mio per diritto, non puoi negare l’evidenza. Quella è stata la ragione per cui t’invitai al castello, sicché te ne rendesti conto. Hai avuto prove sufficenti che noi siamo i Monterosa e che il segno araldico sul violino è il nostro e non il tuo. Quel violino appartiene alla nostra famiglia da oltre duecento anni, finche non fu rubato. Questo è pure quanto mio padre afferma. Non puoi negare questa evidenza.”
“Mi dispiace Franz. Quel violino è unicamente mio. E` l’unica cosa che mio padre mi lasciò e ha per me un grande valore sentimentale. Nessuno me lo toglierà, tu o nessun’altro. Non esiste denaro sufficente al mondo che lo può comprare.”
“Sei un ladro. Ancor più di quanto lo fosse tuo padre. Vai pure con quel violino ora, ma ricordati bene che non è tuo. Esistono documenti che comprovano la legale appartenenza a me e a me ritornerà. Ricordatelo. Sappi che questo è l’ultimo avviso. Al più presto dovrai dire addio per sempre a quel violino e finirai in galera per truffa.”
                                                        *   *   *
A queto punto Markos fu soprafatto dall’emozione, la sua faccia era infuocata e la sua voce roca dalla rabbia. Per alcuni minuti perse il comando di se stesso, e le sue mani stringevano l’immaginario collo del suo nemico. Trangugiò d’un fiato il vino rimasto nel bicchiere, poi forzò in se una calma fittizia per riprendere la sua narrazione, “Ritornai a Crakova, al mio villaggio Adriatico. Il mio spirito era oppresso pesantemente da gravi presagi. Quando mi ero sentito fiducioso di aver ritrovato mio padre e sentivo di essere prode di lui, egli m’ignorò completamente. Ero venuto a conoscere di aver un fratello ed egli ritornò odio al mio amore. E come ultima cosa, il violino che ancora possedevo e amavo era ancora si nelle mie mani ma non sapevo per quanto tempo ancora sarebbe rimasto mio. Dopo quelle ultime parole di Franz in me vi erano null’altro che cupi presagi.
“Un mese dopo il mio ritorno a Crakova, un avvocato bussò alla mia porta. Mi presentò una cartella contenete diversi documenti da esaminare. Erano prove dell’appartenenza legale del violino. Quelle carte leggitiminavano come il violino appartenesse alla famiglia Monterosa. Punto e basta. L’avvocato mi diede l’opportunità di ritornare a lui immediatamente il violino che era nelle mie mani, e in questo modo chiudere il caso amichevolmente, altrimenti il tutto sarebbe stato presentato a una Corte Giuridica. L’avvocato concluse che in questo caso i Monterosa troverebbero il modo di rovinare la mia reputazione di onestà danneggiando il conseguente futuro artistico e le mie speranze di successo nei teatri mondiali.
 Mi avrebbero incolpato di estorsione e come ladro sarei finito a marcire per anni in una prigione statale. Quell’arruffagarburgli concluse dicendomi, “La decisione            è tutta sua...”
Markos tremava fortemente, come coloro sofferenti di malaria. La sua faccia era paonazza e un sudore copioso scorreva dal suo corpo bagnandogli gli indumenti. Era ridotto a una parvenza umana dalla furia ciclopica che si era abbattuta su di lui. Era al limite della capacità umana nell’accettare altri tormenti.
 A quel punto la sua voce fu solo capace di emettere un rantolo, appena udibile sussurrandomi,
 “Devo andare ora...”
“Ma che successe poi....? Dove posso trovarla ancora?”
“Sa dove trovarmi... Venga a Crakova. Saro` la’”
                                                    *   *   *
Fine parte quttro
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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