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L’uomo in blu/ 1

Era stato difficile, ma ormai ce l’avevano fatta, lui e suo figlio, su quell’aereo diretto a Roma. Un ultimo sacrificio e quei pochi risparmi di tutta una vita di lavoro sarebbero serviti ad aprire la porta d’un futuro migliore. Almeno per quell’unico figlio.

Erano seduti l’uno accanto all’altro. Il figlio con gli occhi oltre il finestrino da oltre dieci minuti non vedeva che rioni e rioni dell’immensa capitale federale. Buenos Aires si estendeva fin oltre l’orizzonte, un’estesa metropoli decadente.

Stavano scappando da una realtà fattasi difficile, quasi insostenibile. Il padre aveva fatto contatto via internet con un antico compagno di scuola, che aveva trovato quasi per caso in una mailing list del calcio. L’amico era un dirigente delle giovanili dell’Inter. Biondo e grasso com’era da ragazzino non aveva mai dato un calcio al pallone, eppure - guardalo lì!.. - era all’Inter. L’uomo in blu lo ricordava ai bordi del campo, eternamente seduto sulla tribunetta dell’oratorio, dove lui era un astro, trottando con la sfera incollata ai piedi.

Ironia del destino, a quei tempi sognava d’indossare un giorno la magica maglietta a strisce nerazzurre, invece in nerazzurro ci s’era infilato quello lì. Biondo e grosso come una mortadella. E lui invece era finito in una fabbrica, e poi in un’altra, ed infine su un marciapiede, disoccupato. Ed era lì che aveva deciso d’imbarcarsi, e tentare di rifarsi una vita andando in America.

A Buenos Aires s’era fatto una famiglia. Aveva sposato la figlia d’un compaesano e avevano avuto un figlio. Lui faceva il barbiere, il figlio invece studiava ...e giocava al calcio. Giocava meglio di Maradona, per lui padre orgoglioso.

Il Calcio italiano lo seguiva per televisione. Sapeva di Moratti, della sua squadra piena d’argentini. L’amico gli avrebbe risolto quel sogno sbiadito. La meta era Milano, per un provino del suo figliuolo con quelli dell’Inter.

Ed eccoli tutti e due in volo verso l’Italia ...cercando di trovare l’America.

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