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Venus

 
Ci avevano fatto sapere che sarebbero arrivati. Avevano  intuito il nostro  codice  binario  ABEDO, termine   che si riferisce alla capacità  dei pianeti di riflettere la luce solare. C’era stata molta discussione tra noi  astrofisici:  non tutti erano d’accordo che potesse funzionare , ma fatto è che, contro ogni dubbio, esso aveva funzionato; da Venere ci risposero, dopo circa trent’anni dal lancio della sonda-vettore del messaggio codificato.
Risposero  con lo stesso codice:  ci  avevano  individuati a partire dal secolo che per noi è il millesettecento. Inizialmente la Terra  non era d’interesse per loro- troppo ossigeno nella bassa atmosfera-  ma con l’andar  del tempo erano rimasti impressionati dallo sviluppo delle  esplosioni atomiche sulla  Terra, verificatesi nel millenovecento, e  finalmente avevano captato un cambiamento considerevole della nostra atmosfera, con presenze gassose  loro favorevoli, considerato che essi vivono in un contesto  di effetto-serra  gravido di biossido di carbonio.
In altre parole l’irreversibile inquinamento atmosferico cui avevamo dato stoltamente  inizio nel ‘900  e che ci aveva costretto , per i successivi due secoli ,a vivere come  topi entro strutture  simili a  serre, aveva creato un  bioclima accettabile per i Venusiani.
Rispondemmo  loro che eravamo  pronti a riceverli. Si consideri che la temperatura di quel pianeta  è di oltre i 400  gradi centigradi. Sulla  Terra oramai , si varia  dai 100  ai 150  gradi, a seconda delle zone. Il poli non esistono  più e dopo le immani inondazioni, gli Oceani s’erano  ritirati   a piccoli  mari salatissimi e privi di vita.
Ci comunicarono   che si sarebbero manifestati  in una forma per  noi “accettabile” e che avrebbero espresso  una preferenza, ai fini di un ambasciatore nostro.    Ci interrogammo a lungo  sul  significato  di questa risposta, ma senza intuirne il senso.
 
Il raggio di fotoni orientati scese come un lama all’interno della grande cavità  rocciosa che avevamo predisposto in un deserto del New Mexico.  Avevamo costruito   uno stretto corridoio  con pareti trasparenti capaci di  sopportare la fortissima  temperatura che si sarebbe generata all’interno di esso. Il Venusiano che si  fosse introdotto nel corridoio  sarebbe  stato accolto  da  un calore pari a quello di una  fornace e quindi avrebbe potuto sopravvivere. Noi del centro astrofisico,  vestiti di  una tuta  fortemente isolante, ci mantenevamo oltre le pareti di cristallo temperato.
Notammo come all’interno del raggio fotonico  si materializzò un’ ogiva splendente di tutti i colori dell’iride. La quale planò verticale a se stessa, all’ingresso del corridoio.La capsula era alta all’incirca due metri, di un materiale opalescente .Il computer della  base non segnalò alcuna radioattività, ma nel contempo  diede notizia di materiale sconosciuto circa le componenti dell’ogiva.
Osservammo  come  lungo la  capsula  si aprisse  un fessura dalla quale lentamente uscì  un essere.  Le luci attorno si abbassarono e tutto il corridoio risultò illuminato nel suo  interno da una luce gialla  sfocata.
Ci trovammo di fronte ad un forma femminile, ossia a noi parve una femmina , una donna. Compresi  di colpo   che cosa a suo tempo  Essi avessero inteso con la locuzione  “ forma accettabile” . S’erano dati una forma  materiale che noi umani fossimo in  grado di riconoscere come gradevole, al fine di essere pronti al dialogo. La donna era puro  fuoco che si muoveva costantemente  dentro il corpo tutto, pur mantenendosi in contorni   ben definiti.
Il volto mostrava occhi grandi  e delineati,mentre  su di una guancia  luccicavano  disposti   piccoli  cristalli  multiformi. Restammo ipnotizzati, perché  vedevamo una  forma di autentica bellezza  sebbene a noi sconosciuta e lontana da un qualsiasi canone noto. La donna  ci guardò uno ad uno, scuotendo capelli simili a lingue di fuoco e ci sorrise. Straordinario come potessi intuire il  disegno delle labbra. Il  corpo era ben proporzionato: spalle, braccia, seni, tronco,glutei e  gambe. Segno che “loro” ci avevano  osservato bene , “  da lassù”.  Lei si  muoveva  fluttuando, non sembrava avesse peso – e di certo non ne aveva -  tutt’attorno a sè perdeva  minuscole  scintille,  lapilli e  pagliuzze di  brace. La  femmina procedette nel lungo corridoio fino  alla mia altezza .La spessa parete  di cristallo  temperato ci  divideva. Mi fissò negli occhi e , sollevato  con delicatezza un braccio, appoggiò  il palmo della  mano contro ciò che ci  divideva. La  sua mano rivelò la trasparenza  del palmo, in un reticolo di piccoli  vasi rossi, all’interno del quale  correva un  liquido  giallo, credo  a base sulfurea.
Non c’era traccia di ossa o di nervi. La mano dardeggiava fuoco come il corpo. La donna si fermò qualche istante,  sembrava  chiedermi di leggere nel suo sguardo  ed anzi, per evitare che mi  accecassi,  spense la  brace che  conteneva le pupille. La  guardai , sentendomi inondato  dalla luce rossastra  che tutta essa emanava.Gli occhi si  dilatarono in una profondità che prima non avevo colto. Era come osservare un planetario  tridimensionale e, attraverso lo sguardo della donna, entrai nel  nero universo e mi perdetti  tra stelle e costellazioni. Ma non provavo la  sensazione d’essere privo di direzione, capii  infatti che attraverso quelle orbite, la donna mi indicava la strada  verso  Venere.Appoggiai anch’io la mano guantata contro  il cristallo  temperato e i nostri due palmi aderirono. La donna battè per un attimo le palpebre e le orbite degli occhi si riaccesero. Quindi  girò su se stessa e con stessa eterea andatura  ritornò all’ogiva. Prima di  rientrare ,lei  rialzò il capo fiammeggiante  verso di  me e dal suo corpo partì una specie di voluta avvitata di  gas e lapilli, una saetta corposa che  venne a battere  di colpo  contro il  cristallo , dietro al quale io ero rimasto ad osservare. So così per certo che la  donna  venusiana mi  aveva scelto.
 
 

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