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Il reparto

  

“Terapiaaa!”. E gli ospiti caracollano come zombie incontro al carrello, cuccagna biochimica di protocollo. Giorni lisci, demotivati, un respirare senza costi e senza rischi. Ore e ore di sigaretta guardando il pavimento, aspettando che arrivi sera. Sera. L’ora magica, quando le incertezze si dissolvono, l’angoscia si liquefa in una carezza di abbandono liquido alle benzodiazepine, come un massaggio thailandese. I più rompicazzo sono i maniacali, ti stremano, parlano a voce alta, metallici, senza sosta, aggressivi, ancora peggio se disforici. Tanti alcolisti. Fanno impressione i cocainomani in down; bulbi oculari vitrei, fissi: con le carte in mano non distinguono più un due di picche da un re di cuori. Gli eroinomani hanno un certezza: 70 ore di lavaggio vene e tecnicamente la dipendenza se ne è andata. L’alcool è più insidioso: il tipo scavalcherebbe il muro di notte per farsi un goccio al bar più vicino; il richiamo non finisce mai. Un’ ansia sorda, un’inquietudine inarrestabile. Con lo schizofrenico hai una conversazione d’èlite, per così dire: sono i più strutturati, i più ricchi di argomenti, sensibili, attenti, sotto il contenimento del farmaco.
Con lo psicotico in allucinazione è un po’ dura a volte. Improvvisamente ti riveste di due tette e un fica, nella sua mente, magari mentre stai mangiando, e ti guarda in modo assassino, come volessi possederlo, tipo l’Esorcista. “E’ solo nella tua mente, è solo nella tua mente. Ti vuoi calmare? Passami il sale per favore. Massì, fanculo, cambia pure di tavolo”. Alessandro non ci vuole pensare, si chiude le orecchie e distoglie l’attenzione: Ritorna nel suo cristallo fatto di piombo. Si tasta per accertarsi che l’accendino e le sigarette siano lì in tasca. Come il caricatore nell’equipaggiamento di un delta force: irrinunciabile. Si alza per farsi il sesto caffè della giornata. Dentro un cristallo fatto di piombo…, ma sì, una campanazza di vetro, alla Sylvia Plath: tanto per darsi qualche quarto di nobiltà. Depressione maggiore. Episodio basso del disturbo bipolare: un mese prima era in paradiso, parole, associazioni rutilanti in mente, intuizioni, seduzioni, inizio di imprese, debiti. Poi il baratro, in ventiquattr’ore. Totale inibizione del comportamento. Devi pianificare anche l’impresa di andare al cesso, tanta è la concentrazione di energie che ti occorre. “Caffè doppio”. Sorride languido e dolce all’infermiera, Alessandro. Senso materno, senso materno, paracularsi nel territorio di sopravvivenza. Con le italiane, almeno. Perché con le infermiere romene è impossibile, non le corrompi, sono dei militari, ti sgamano subito.
Ah, il reparto! Luogo dell’anima. Metafora degli inferi senza discesa. In faccia a una luce anemica, slavata, senza più la libidine delle domande, del mistero. Senza più bisogno di risposte. Senza più desiderio.

 

 

 

 

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