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Ospedale degli Infermi

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Dilaga l'abbandono
dell'antico convento
degradato a ospedale
ora orbita vuota del tempo.
 
Sulla parete sventrata
tra muri tappezzati di sfasciumi
è ombra l'eco del passato dolore.
 
Sfilano i fantasmi dei monaci
verso compieta nel chiostro
avvolto da macerie
ruggine e muffe.
 
Scende la notte
a ricoprire la patina di quei giorni
mentre la luna abbraccia ogni storia.
 
 
E' in quell'assurdo stato, quando il sonno tarda a venire, che l'immagine del vecchio edificio mi si riaffaccia alla mente. È un antico adagio. Ombre che scorrono, che sorpassano il vuoto dei muri, della Storia. Corro lungo pensieri assenti, ma l'immagine è lì, ferma su quell'edificio.
L'ala del corridoio centrale è assente come l'anima degli ospiti ormai scomparsi da secoli.
Guardo i muri che inneggiano brani di dolore, che colano urla spente di pazienti ormai remoti.
Scavalco le macerie e mi addentro nei corridoi. La dimensione dell'antico convento è impressa nella disposizione dei locali, nella sua architettura funzionale.
Attraverso cumuli di macerie, il chiostro. L'eco dei monaci in preghiera è scomparso, anche quello degli infermi, dismesso ormai da anni. Ora vige l'abbandono, il lento lavorio del tempo: polvere e sfasciumi subiti dalle intemperie – la paziente usura dei secoli - che disgrega, collassa la struttura.
Uno spazio triste e abissale è l'attuale ospite di questo edificio. Corridoi infiniti, il bianco claustrale dei muri avvizziti dal tempo. Echi di sussurri che bisbigliano alle mia spalle. Mi giro: vuoto assoluto.
Le voci di mia nonna e di mia madre, qui decedute, mi rincorrono rimbalzando sui muri del ricordo.
Tracce di passaggi dismessi, porte divelte, presenze remote nel nosocomio della sofferenza. Vorrei liberarmi dalle ragnatele della storia. Dai pensieri selvaggi, incolti, analoghi a un giardino di sterpaglie affossate all'ombra delle mie azioni. Scivolo lento tra i relitti del passato, nelle pieghe di storie incrociate, abbandonate alla polvere. Battiti di pensieri fugaci come ombre disperse, simili a foglie al vento. Sì, davvero, tra queste pietre “del doman non v'è certezza”, in questo restare lungo la linea mediana del ricordo. Allora esco da queste righe per rientrare nell'oblio del gesto quotidiano.
 
 
 
 

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