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Al seme della mia pianta.

 
Sai figlio, tu porti negli occhi un frantoio curioso:
l’innocenza delle prime volte di tutto.
Nella macina ogni cosa è farina
per il pane che verrà.
Con fatica,
ridurrai le maglie al tuo setaccio e bada
che un po’ del gusto per l’azzardo resti nello scarto.
Senza piedi in scarpe già vissute,
inconsapevole delle orme attraversate,
affronta la salita come lo scirocco fa sull’onda alta:
increspa la terra ma non produrre fossi!
Porta pure il tuo seme in quanti solchi vuoi,
ma non smettere di rinforzare la pianta che vacilla.
Tieni sempre un orecchio in terra e l’altro al cielo:
col primo sentirai il passo amico o il galoppo del nemico
e col secondo riconoscerai la tempesta che si avvicina
o il soffio consolante dell’universo divino.
Quando la sorte ti sarà amica
non negarle riconoscenza e, pur non potendo,
dalle in cambio un vitalizio di ceri accesi al Santo.
Supera ogni salto ed ogni crepaccio
con una vera furia per le novità:
non cadere, non cadere mai nel vecchio!
E se cadi, aggrappati ai tuoi sogni oltre il ciglio.
 
Da lontano voglio guardarti.
Ti osserverò dall’altra parte della vita
nella discesa che percorrerò frenato
sempre più lento, ma non potrò fermare.
Starò lontano perché da specchio curvo
riavresti la tua immagine falsata.
 
E già che ci siamo, parlarti in corsa
è solo uno scampolo di prova da non considerare:
fermiamoci al prossimo bar
per discutere dello zucchero che non ho saputo darti.

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