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Philodendron (Radici e limoni) da H.Matisse

 
Uomo che urina dalle feritoie non cambia, di terrazzo intendo: terrazzo del piano superiore, movimento naturale della zip: giù su, volte al giorno. Verso il primomattino, primasera, primavera autunno, inverno di nuovo primavera. Senza curarsi degli oblò, abbagli in salita o discesa, aereoporto dalle prossimità incommensurabili; a volte l'uomo non centra la torba pressata del vasetto; i minimi ausili lo confondono.
Spera di centrarla concatenata com'è alla plastica del raccoglitoio. Concentrato, spericolato, fino a raggiungere la simbiosi temporanea e sfuggente della maionese dell'aereo agli orli del palato; allora un sorriso, soddisfatto, torbido di terra decomposta e foglie più chiare di giardini, gli allenta la mano, cinque dita e un polso: la mano del divano la chiama, simbolo di tutti i tessuti della terra prima che la casalinga disotto la ritiri: la pianta.
Pianta del Philodendron che la signora come ad uno spartito nei meandri delle fogne di una piccola, caduta città le cui porte rovinano addosso, d'argille, sorregge e dà ascolto.
Scarpetta disinibita ovvero, a cosa portino la giovane del piano le ombre verdenere. Se ad intossicarsi al tubo dei colori dei limoni a bella posta da lei sparsi sul tavolo o ad interrarne la serranda: radici che l'uomo ha piacevolmente cresciuto.
 

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