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Tiro con l'arco

“Busto eretto! Mi raccomando: piedi paralleli al bersaglio e spalle allineate con il braccio dell’arco. Attenti alla posizione dell’indice e del medio: divaricati! Avete capito? Di-va-ri-ca-ti! Non devono assolutamente toccare la cocca!”.

L’istruttore diede gli ultimi consigli, mentre passava lentamente in rassegna gli allievi in posizione di tiro.
“Non superate la linea di tiro! E concentratevi, per favore! Il tiro con l’arco è soprattutto concentrazione. Estraniatevi dal mondo esterno, ripetete mentalmente tutta l’azione del tiro…”
Si mise di fianco al primo della fila e diede il via. La freccia scoccò andando a colpire il bersaglio posto a diciotto metri. Ripeté lo stesso ordine per tutti gli altri allievi, uno alla volta.
Al termine dei tiri, l’istruttore commentò gli errori commessi:
“Stefano, ti sei accorto che il gomito superava l’altezza della spalla?”
“Hai di nuovo inclinato il busto in avanti, Antonio. Ogni volta lo stesso errore!”
“Va abbastanza bene, Piero. Attento, però, a controllare il movimento del capo quando lasci partire la freccia”
“Perfetto, Alfonso, semplicemente un tiro perfetto”.
Alfonso annuì e arrossì di piacere. Finito l’allenamento l’istruttore gli si avvicinò:
“Allora, hai pensato alla mia proposta di entrare a far parte della squadra agonistica dei veterani? Hai un talento naturale per questo sport. ”
“Grazie, mister, ma come le ho già detto non mi interessa. Anzi, ne approfitto per salutarla e ringraziarla per i suoi preziosi insegnamenti: da domani non verrò più...”
L’istruttore scosse la testa: in tanti anni di attività era la prima volta che gli capitava tra le mani un uomo con le carte in regola per diventare un campione ed era la prima volta che riceveva un “no, grazie” alla proposta di intraprendere lo sport a livello agonistico.
Alfonso richiuse con meticolosità la sacca in cui aveva sistemato con cura l’arco e le frecce, poi, con un cenno del capo a mo’ di saluto rivolto indistintamente a tutti i presenti, se ne andò.
Ormai si sentiva pronto.
Avrebbe agito quella stessa notte. Si vestì con un pesante giaccone scuro, in spalle uno zaino pieno di frecce e in mano il suo arco. Uscì in strada quando ormai erano tutti a dormire. Calmo e determinato, come sempre. Aveva programmato con cura il percorso da seguire: sarebbe partito dal centro e, poco alla volta, avrebbe allargato il proprio giro fino a raggiungere la periferia.
Aveva percorso poche centinaia di metri quando ne vide due aggrappati ad un balcone al primo piano di un palazzo: impugnò l’arco, posizionò la freccia, curò l’ancoraggio, prese con calma la mira e fece partire il tiro. Un sibilo, seguito da un lieve fruscio, e il primo babbo natale spirò. Un attimo dopo anche il secondo seguì la stessa sorte. Poi fu la volta di un enorme babbo natale posto davanti ad un negozio di lampadari: si divertì a centrarlo a cinquanta passi da distanza e ad occhi chiusi.
La notte fu proficua. Ritornò a casa alle prime luci dell’alba, stanco, ma soddisfatto: non una freccia era andata sprecata e la città era stata liberata dall’invasione di quegli orribili pupazzi arrampicatori.
Nel mettersi a letto pensò che a gennaio si sarebbe iscritto ad un poligono di tiro. Tra pochi mesi sarebbe stata primavera, periodo giusto per ripulire la città dai nanetti dei giardini.
 
 

 

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