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VENE seconda almen, o della Vecchia Carampana

 
Il 4 settembre appariva, sui tipi della Stampa sezione Tutto Libri, un articolo di G. Luigi Beccaria dallo strano, avvincente titolo: "Che carampana quella venexiana", con un evidente riferimento a Ca’ Rampani, calle necessitata di raduno dalle prostitute dell’epoca  in cui la denominazione fu coniata.
Ma il succo stava nel sopratitolo: Parole in corso, e nella legenda: Nei nomi delle strade, splendori e turpitudini della città lagunare.
Splendori e Turpitudini [della città lagunare] : il nuovo corso dell'epoca definita Moderna.
Vi si tratta dell’ottava riedizione di Curiosità veneziane, ovverosia Origini delle denominazioni stradali di Venezia.
Qui verrebbe da prendere il volo come fanno i cucàli, dialettalmente i gabbiani che per istinto di sopravvivenza e vizio, ( io credo) investiti accarezzano le correnti ascensionali e discensionali del vento delle loro prossimità, sicché le digressioni assumono forme plananti tese alle concentrazioni, e queste tornano, puntuali, alle necessarie leggerezze delle preparazioni.
Insomma, la Vecchia Carampana m’ha riesumato da una qualche sottomemoria sensitiva la Vecchia del Giorgione.
Cosa ci avete visto voi in quel dipinto? Me lo chiedo giusto per non perdere di vista il punto a) del primo pezzo: novità nella pittura del Giorgione.
Così dirò quel che ci vedo io dopo aver letto l’articolo, che ieri, forse, mi sarei soffermato su altri aspetti e tratto invece altre conclusioni.
Il pittore osserva da destra la propria opera, osserva lo sguardo della donna che è diretto a lui che, severo ed imparziale, dovrà giudicarla.
Lo sguardo è obliquo, in attesa di una risposta sull’incartapecorimento delle rughe incombenti, su di una bocca ansimante prossima a sdentarsi, un collo avvizzito, un naso protuberoso che ha perso l’avvenenza della giovinezza, un Cristo sulla croce a cui qualcuno ha apposto nella mano destra il dileggio, la già preventiva condanna: col tempo, vi è scritto nel papiro.
La Vecchia, nonostante tutto ciò, oppone, da tutta l’espressione insita nella rappresentazione, l’inconsapevolezza del trascorso del tempo, il senso del destino.
Ella sorride.
Il sorriso della donna rimane lì sospeso quale l’attesa di una grazia, un segno umanamente impossibile, è una crepa che si apre, s’affaccia nell'umano, è l’aggrapparsi all’improbabile con tutte le forze che rimangono, in dispregio alle regole fisiche, biologiche, è la contraddizione all’esperienza, alla logica.
Nonostante quanto appare alla nostra evidenza visiva: (il sorriso), vi è dipinta su quel viso una ribellione interna perché l'altrimenti non può essere; l’ultima speranza di sfuggirvi lei l' ha riposta, e riposa, (senso della conoscenza) al proprio interno.
La ribellione quindi non è più alla superficie, riposa nel Profondo.
Il Pittore, imparziale, osserva, vede, giudica tutto quanto avviene sotto i suoi occhi.
A mio parere è il suggello del Giorgione all’era della Modernità, al dramma di una vita che degenera, che deve, necessariamente, degenerare. Il dramma è lì, ma chi lo patisce non lo vuol vedere.
La Vecchia ci offre questo in pasto, questa sofferenza, tanto ingenuamente quanto spietatamente coperta e scoperta.
Si giunge alla contraddizione in termini: al dramma nel dramma.
A soffrirne è il giudice, colui che doveva limitarsi a riprodurre il fatto sulla tela, colui che non appare.
E’ questi a prendere per mano la consapevolezza, la conoscenza, a vedere i guasti su quel viso prodotti dalla vecchiaia.
Sono interpretazioni personali, certo, soggettive, condizionate, probabilmente  errate. Ma voi vorrete aiutarmi proponendo nuove proposizioni, affinché partendo da proposizioni finalmente vere il sillogismo torni a dare temporaneamente, da verificare sempre e ancora perché solo così può essere, risultato vero.
Ma quel che importa non è tanto questo, quanto che qui si torna a parlare di “conoscenza”: l'ombelico famelico, il buco nero da cui è partito, a cui sempre torna  l'uomo.
L'uomo?
C’è stato un passaggio epocale, nel frattempo; al  confine ultimo del Rinascimento, dopo Michelangelo, Leonardo, nella scultura e nella pittura si è presa un strada che verrà poi percorsa dal Tiziano , di seguito dal Tintoretto, poi il Caravaggio, i Rubens, i Van Dick, i Rembrandt.
E’ stata intrapresa la strada della conoscenza nel Profondo dell’Uomo.
L’Arte si era resa conto di un conflitto permanente, non sconfiggibile: con il creato, la natura che finora era stata rappresentata come tendente all’armonia, alla Bellezza. O alla beatitudine attraverso la trascendenza di platonica memoria.
Poiché devo essere necessariamente breve, dirò solo che l’Apocalisse scoppierà alla fine del secolo, primi del Seicento, quando sulla scena apparirà un certo William Shakespeare, con i suoi Otello, Macbeth, Re Lear, drammi della Passione.
Questa (il Seicento) non solo sarà l’epoca della nascita del Teatro Moderno, ma del Caravaggio e, quindi, della Modernità cui si avvierà la Pittura.
Quali percorsi comuni mentali ed artistici hanno permesso che ciò accadesse? Ci si deve inoltre chiedere: cos’era successo, e cosa succedeva nel frattempo in Filosofia?
E che significato può avere la parola Profondità? Deve essere limitata ad un contesto?
Per ora termino con queste domande, riservandomi di proseguire il discorso sulla dislocazione del senso della conoscenza su fino ai giorni nostri, cioè dove si stia dislocando oggi la conoscenza, e ragionare con voi, se l'argomento è di vostro interesse, sul futuro di cui già si vedono i segnali, nonché sul gesto di Sgarbi e sul senso del pudore.
Grazie per l'attenzione
 
 

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