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Viaggio di piacere

 La nave, la sala da pranzo, sembrava un sogno. Il posto a tavola, certo, non l'avevo scelto e non era il massimo, pazienza. Frugai convulsamente nella borsetta, dov'è, dov'è, il carnet degli assegni? un'ansia continua e non riesco a staccarmene. Mi rassicuro.
II mio lui era seduto di fronte, bellissimo in smoking classico, sorrideva a destra e a manca, elegantemente, come uno vissuto d'alto bordo, che le crociere le fa come interludio tra un viaggio di affari a New York e una battuta di caccia nel Mato Grosso. Ero fierissima, anche eccitata e, la serata - nonostante la vicinanza di posto con una famiglia rompiscatole, prometteva benissimo. Stavo per dire felice ma, prudentemente, non me lo dissi. Era la mia prima crociera ed ero spaventatissima, all'idea di andar per mare, per divertirsi.
La tardona lo intratteneva e lui, amabilmente, da gentiluomo, accondiscendeva alle di lei facezie, che non afferravo tutte ma, almeno mi parve, non dovevano essere cose interessantissime: la guardava e non pareva ascoltarla, tuttavia le sorrideva. Il "fiore" della coppia gay, quello che fa il maschio insomma, continuava a parlarmi di mari tropicali: doveva averli visti tutti, e della particolare luce che hanno i tramonti nell'emisfero boreale. Il suo compagno/a, elegantissimo in smoking ecru con cravattino fucsia, teneva le posate in modo sublime. Aveva mani curatissime dalle dita affusolate. Un pianista, mi diceva il suo lui, musica classica: un norvegese. Non parlava molto sebbene conoscesse la nostra lingua, benissimo a sentirlo, guardava spesso verso il mio compagno più che verso il suo: pregiudizio, ma, ora, lo trovavo normale. Marco è proprio figo, specialmente quella sera.
Gli antipastini caldi di pesce, furono eccellenti, il vino spumante, delicato leggero, accarezzava il palato.
Riky, il compagno/a di Alex, in completo lillà su una camicia di seta candida, a blusa scollata, che lasciava vedere e immaginare tutta la sua perfetta abbronzatura UVA, mi chiedeva adesso di noi: da quanto tempo, cosa facevamo, ecc. Confidenze di coppia, pareva e mi faceva sorridere il constatare tutta la sua naturalezza nel conversare, mi piaceva perfino questo sua modo di porsi, sai se ne dicono tante?
Il raviolo sulla mousse di alghe, poggiato al centro del piatto celestino a zigrinature bianche, pareva un mini atollo da cartolina turistica e fu delizioso il sapore di mare del ripieno.
Il bambino più grandicello lo infilò con l'indice, faceva il buffo protagonista ma, subito in un lampo, il cameriere tolse il piatto e ne portò un altro.
Lo sguardo mi cadde sulla tardona e mi accorsi che era in conversazione, stretta, con Marco e Alex. Aveva ripulito il piatto con lo spigolo della forchetta, era come l'avesse lappato e pensai stessero parlando di quanto gustoso fosse il manicaretto appena consumato ma, d'improvviso, notai che faceva ben nascosti motteggi con la bocca, con la lingua, che estrofletteva e ritira, appena appena. I due uomini, ridacchiavano, complici e Marco mi lanciò un'occhiata di benevolenza, sorridendo melensamente. La tardona era nel pieno della personalissima esibizione, gratificata da cotanto attenti commensali.
Risottino in rosa di gamberi, con pensieri di fragole di bosco. Una favola.
Assaporavo e ascoltavo distrattamente, per via della degustazione, Riki che mi stava raccontando dei problemi affrontati per l'arredamento della loro casa, in centro, a Milano. Infervorato, Marco stava dicendo qualcosa di sportivo, lui giocava amatorialmente a calcetto, e la tardona pendeva dalle sue labbra; lo vidi prendere la mano di Alex, come si fa quando si vuole impedire a qualcuno di interrompere quello che si sta dicendo. Alex lo fissava e dalla espressione del viso non credo ascoltasse alcunché di quanto veniva detto, sorrideva elegantemente e guardava la mano soprammessa alla propria. Non volevo ascoltare quello che mi stava salendo alla testa, no! non poteva essere. Invece prestai orecchio alla musica lieve, soul, che faceva da sottofondo, appena percettibile per il brusio della sala da pranzo.
Scampi al vapore e vellutata di asparagi, appena una cucchiaiata: un intingolo, quasi.
Non avevo più voglia di mangiare anche se il profumo del piatto era, assolutamente, invitante. Chiesi permesso e mi alzai. Infilzai Marco con uno sguardo e mi avviai all'uscita della sala, verso il ponte passeggiata. Lui, dopo un attimo, mi seguì e si affiancò al parapetto dove mi ero appoggiata; mi porse il portasigarette d'argento aperto, dicendomi:
- Cosa non va? Non lasciarti innervosire. In società ci sono tanti tipi strani, devi essere tollerante e superiore.
- Sarò una provinciale ma, certi atteggiamenti, non li sopporto. Quella là ti sta facendo una corte spietata e credo stiate anche parlando di sesso. Figuriamoci, a tavola.
- Ma, no, dai. Ha fatto delle allusioni quando hanno servito il raviolo. Per, credo volesse sfottere Alex e Riki.
- Marco, non voglio fare la guastafeste. Abbi pazienza ma, ora, stai un po' qui con me. Mi è passata la voglia di mangiare.
M'abbracciò, da dietro, ed il suo caldo contatto mi rasserenò. Mi baciò sul collo, stringendomi a se. Io reclinai la testa e ammirai il cielo stellato che pareva parlarmi di tranquillo abbandono. Finimmo la sigaretta, chiacchierando delle nostre cose, allegramente quasi, come fossimo a terra, a casa nostra. E lui ...
- Torniamo, dai. Non sta bene assentarsi, così.
- Marco, attento alla tardona, la tengo d'occhio. Dissi ridendo e rientrammo.
Era passato il tempo dell'ultimo piatto gustato. Avevano servito un sorbetto alla frutta e i due monelli erano stati allontanati, in cabina con la play station terza generazione. Meno male, almeno questo. E Alex:
- Crisi di astinenza? Bravi, bravi. Dicevo della sigaretta: ahahahahah!
Sorridemmo entrambi, per compiacenza e notai che la tardona si era liberata dello scialle, anche se leggerissimo, ed esibiva - per la verità - un bellissimo paio di spalle e un décolleté di tutto rispetto, data l'età che le attribuivo. Si accorse che la stavo osservando e se ne uscì:
- Tutto naturale, mia cara. Tutto naturale.
Ma, in realtà, chi sarà questa tipa? Ha dei modi diretti, anche troppo, quasi sfrontati. Eccessivamente confidenziali, da subito. Non mi piace, è indubbio ma, agli altri? Devo scoprirlo.
Angela, così si chiamava la tardona, stava strettamente confabulando di chissà che, con Alex. Aveva lo scialle a lustrini sul braccio e stavamo tutti, lentamente, andando verso il salotto per sorbire un caffè o altro. Si sedettero nel divano a tre, lei in mezzo, Marco e Alex ai lati. Io su una poltroncina accanto a Riki, che sebbene non l'ascoltassi ormai più, continuava a parlarmi della sua vita di coppia.
Dalla sala accanto cominciò a fluire un'ovattata musica da ballo che accompagnava una sensuale voce femminile, profonda, calda - poi vidi era una cantante di colore - invitante e suadente. Guardavo intensamente Marco, volevo mi invitasse a ballare. Si alzò Alex ad invitare Angela e Riki ad invitare me. Fulminai Marco, implorando di raggiungermi prima che dovessi accettare - per educazione - l'invito e, finalmente, mi raggiunse.
- Scusa Riki, il primo è per il mio ragazzo.
Salva!
Stava già diventando complicato vivere questa vacanza, non sono avvezza. Sono abitudinaria, legata a schemi mentali collaudati, anche inconsci, se vuoi. Mi stringevo a Marco e cercavo con la guancia di appoggiarmi alla sua. Era più alta del solito, mi pareva, come se tenesse il mento alto. Di sottecchi lo spiai, guardava lontano, oltre me e talvolta sorrideva. Seguii il suo sguardo, andava sempre nel posto dove, ridendo e scherzando, ballavano Angela e Alex. Finiti i tre canonici pezzi di seguito, ci raggruppammo per andare alle poltrone, Sentii la mano delicata di Alex poggiarsi sul mio fianco e Marco, stare a strettissimo contatto a tergo di Angela, con le due mani suoi suoi fianchi. Come fossimo una allegra brigata di ragazzi. Divertente? Mha!
- Vieni - mi disse Marco. Fumiamo un'altra sigaretta.
Andammo lentamente a poppa. C'era un terrazzino di manovra a strapiombo sull'acqua, romanticissimo. Gli porsi la borsetta, volevo salire sulla ringhiera, come quell'attrice del Titanic.
- Stai attenta! mi diceva, poggiandomi una mano sulle natiche. Giurerei che premeva, comunque ...
- Oddio, oddio, aiutooooo....
- Fermaaaaaaaa
Quella città galleggiante si allontanava e mi sentivo già, terribilmente sola. Le luci apparivano e scomparivano come io salivo e scendevo dall'onda. Mi prese uno sgomento rassegnato, come di una cosa che avevo pensato dovesse essere, predestinata. E, lui, non si era buttato. Forse era tornato dentro, a dare l'allarme. Oppure...era rientrato a ballare con Angela...
La nave si allontanava, inesorabilmente. Arrivava appena ed in dissolvenza, una musica da piano bar, quella di Paolo Conte, parlava di mare...di onde e...di me.
Mi stava prendendo freddo, pensai all'ipotermia, e tra i brividi... tirai su il lenzuolo ma, senza sollievo, era fradicio di sudore e mi sono svegliata.
 
 
 
 
 
 
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