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Per una nuova donna, in un caso.

Così da fare un caso delle tue scarpe vuote
mentre le passo accanto e lieviti come mi guarda
ti sposta in un ricordo
 
e me lo dici ancora il nome e ancora
non ne sai ancora di quante soglie ha già varcato
o ancora tane o letti o sulle sedie ancora
(al meno di un’attesa)
quasi che il corpo cerchi il colpo fermo e la caduta
inutile parola, prima, a quel verbo ancora
e goda gli ansimi accasciando
la conoscenza ad ora. I piedi nudi - che siano spifferi
di tuo - per la fuga che orla i muri
muti di capolino agl’angoli
frenati dal silenzio.
 
Che ti dirò
di lei che prova la mia pelle
mentre l’asciugo?
 
Ti dico che in un caso solo
vieni alla presa quasi sapendo
i passi ancora.

Non farmi male

 
Tienimi compagnia
in questa notte dove la luna
il sipario ha abbassato sulla memoria
e dove il mare
una culla nuova ordisce
per lasciarmi riposare.
 
Tienimi compagnia
in questo buio che non fa più paura
adesso che la zampata
sull’alba che gentile avanza
è sofferta eco
che lentamente s’allontana.
 
Tienimi la mano
non farmi male
ora che la vista
non è più appannata goccia sulla lastra
dove la delusione
s’è lasciata scivolare.
 
Raccontami di te
mentre raccatto e temo
frammenti di fiducia andati a male
adesso che l’acerba luce
mi ricorda il giorno frettoloso
che s’è impiccato prima che arrivasse sera.
 
Lividi
senza cerotti né dottore
sfumano sul roseo profumato della pelle
e mi rammentano
che sul bocciolo calpestato
è fiorita un’intera piantagione.
 
tiziana mignosa
giugno duemiladieci

Trasform-Azione

 Come un Arlecchino

 Che beve solo candeggina

 Per trasformarsi nel giorno dell’evento
 Scioglie i colori al suo interno
 Scorre solo sangue bianco
 E suda incertezze trasparenti
 
 
 Infine arriva il giorno sospirato
 Cala la tunica e sfila via l’arcobaleno
 Infila candide vesti immacolate
 Sorride e saluta la folla.
 

(Aprile 2010 - Illuminazione)

Pensando

                                             Pensando al mio paese natale
                                                                                dieci anni dopo
 
 
   Io ero qui, quando questa terra era ostile e regalava solo poesia.
   Troppo poco per vivere e troppo per la pace. Ora tutto è in fermento, tutto in costruzione. I volti noti non ci sono più o ne vedi pochi.
   Gli altri, i nuovi arrivati, sono tanti e li vedi padroni dei tuoi sogni defraudati a te dalla vita che lenta, inesorabile, ti fa guardare avanti ma non ti permette di dimenticare.
 
   Io amavo il mare, il suo fragore lontano nelle giornate di burrasca.
   Alla sera uscivo sull’uscio di casa e nel buio della notte mi lesciavo rapire da quel rumoreggiare affascinante che proveniva da quella massa d’acqua in movimento.
   L’Adriatico doveva agitarsi moltissimo se io a tre chilometri di distanza ne percepivo un suono cosi distinto.
   In quelle notti, il cielo non era limpido e il mare si sostituiva alle stelle per regalarmi sensazioni stupende.
   La battaglia della vita ora, è come quel mare in burrasca.
   Qui il mare è lontano, il suo rumore non giunge fino al mio udito. Io in quella casa in mezzo agli ulivi, non ci tornerò più: è stata soffocata dalle nuove costruzioni.
   Era una casa dove si era sempre in attesa di qualcuno che doveva arrivare.
   Prima mia nonna che aspettava suo figlio, poi mia madre che aspettava noi. In questo aspettare c’era tutta la speranza e il desiderio del ritrovarsi che aiutava a vivere.
 
   Spesso mi sono sentita come una emigrata in patria.
   Si è sempre emigranti quando si va via (giovanissimi) da dove abbiamo imparato a conoscere al mattino, da quale parte sorge il sole e alla sera dove tramonta.
   Si diventa senza più riferimenti.
   Lontano da quei luoghi, non ho più saputo discernere dov’era l’alba e il tramonto in mezzo ai palazzi e al cemento.
 
                                                      Maria Mastrocola Dulbecco                         
                                                                                                                              1964
 

Andata e ritorno

una pioggia tagliente di cristalli neri
riga le tue guance di rosso sangue
scende copiosa da fari ormai spenti
che illuminano notti dipinte di bianco
 
distese di rovi come tizzoni accesi
attendono famelici membra stanche
volgi supino lo sguardo ad un cielo
tinto di calce scrostata da tempo
 
Crono paziente ha fermato i cavalli
sospeso nel nulla leggero tu plani
di colpo ripiombi nel tempo che corre
la corsa è ripresa nessuno ti attende
 
la barca che scivola lenta sul fiume
ti accoglie straniero tra mille stranieri
beffardo Caronte pretende mercede
e rilascia un biglietto senza ritorno
 
acqua marrone scorre sotto la chiglia
arrivi alla sponda dell’orrida cloaca
il calore della terra asciuga la pioggia
i cristalli si infrangono al nuovo giorno
 
e stanotte?
 

Vi presentiamo la redazione di RV

 

La mia luce

Giungo dall’unione fisica e spirituale
sono verso il divenire dall’esaltazione finale
e non verso il nulla
sono la perfezione dell’universo
avendo ricevuto il dono della luce
già dal seme dei miei genitori
entrambi nella luce
e loro stessi luce nel mio cammino di ogni giorno!
 

Così lontani

Le infinite volte
che ti verrò a cercare,
nelle note cantate
dalla mia arpa stanca.
Ti farai trovare,
chino sui tuoi pensieri,
quasi a proteggerli.
Alza la testa,
guardami negli occhi,
potrebbe essere l'ultima volta.
Se lo senti,
questo contatto...
Siamo ancora così vivi.
Siamo già così
                       lontani

Vi presentiamo la redazione di RV

 

Baahh

Io mi dò, e tu?
Così d’emblée, nonso, un fa, un re
un mi a luna estrelle
 
S’io fossi foco?
Ah ‘mbe, molli
molli, tremano
gli orizzonti volano
veloci, lenti, aerei
nudi, pressappoco ah ah ahhhhhhh U, O, I, E…

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