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Mai una sosta

Vado a stima degli occhi.
 
Stanno poggiati allo sguardo
bussola e gesti cardinali.
 
Nell’era dei tasti, il topo è l'ago
e timone.
 
Dal mistero elettrico le finestre
provocano luogo e fragranze
nella pagina.
 
C’è pressione
in quell'essere: che abbia!

Alfonso e il verme

Si chiamava Alfonso, ma per noi della Baia Del Re era “el Funsin”, il piccolo. Alto non più di un metro e mezzo, dal fisico gracile, esile come un giunco, brutto da non guardarsi, si atteggiava a “ras” del quartiere e noi morivamo dalle risate. Nonostante il fisico non proprio statuario, faceva un mestiere che avrebbe per sua natura richiesto ben altre doti di forza e prestanza: el cervelee, ìl macellaio, traduzione per il volgo ma soprattutto per i non milanesi. Forse per questo aveva mutuato un’espressione di falsa ferocia che lo trasformava in macchietta vivente. Oh, ma ci metteva anche del suo, vestendosi come Al Capone, impomatandosi di pessima brillantina i capelli e facendosi crescere quei pochi e radi peli sotto il piccolo naso certamente aquilino che lui chiamava pomposamente baffi. Frequentava, anzi “imponeva” la sua presenza anche nel bar, dove la sera ci si ritrovava per una partita a scopa o a biliardo e spesso noi si evitava di andare al cinema o di fare roccolo per raccontarsi barzellette: bastava dargli spago ed ecco che Funsin prendeva la scena e non la mollava più, fino a notte inoltrata e fino all’ora della chiusura del bar. A questo punto credo sia necessario collocare nel tempo e nel luogo l’aneddoto che sto per raccontarvi. Era il 1969, anno tragico per Milano e l’Italia tutta, e l’episodio si “consuma” esattamente in Via De Sanctis, periferia sud di Milano nella zona anticamente conosciuta come “La Baia Del Re”, per la storica presenza nel quartiere di un noto esponente della mala milanese, chiamato giustappunto il Re. Il bar in questione era proprio all’angolo della succitata via che sfocia nell’Alzaia Naviglio Pavese, dove scorre pigramente uno dei due Navigli di Milano, quello cioè che torna a Pavia dopo aver portato le acque del Ticino a Milano, col nome di Naviglio Grande, ed essersi soffermato nella darsena di Porta Ticinese per poi ripartire. Era dunque, come si diceva, una sera notevolmente nebbiosa e noi tutti si bivaccava nel bar in attesa di decidere come ammazzare la serata: scopa o biliardo?

Natale con un Angelo

Non volevo scrivere. Fino all’ultimo c’è stato un briciolo di speranza nel mio cuore.
Piccola, piccolissima speranza ma mi do   sempre  la possibilità di avere una porticina aperta e di ricredermi. Sto ora in cucina, fra i fornelli, guardo ogni tanto i tegami, non vorrei bruciare ciò che sta cuocendo, non ho una grande abilità culinaria da cinque anni a questa parte.
Sono molto distratta, incomincio un qualcosa, lascio, passo ad altro, lascio e ricomincio da capo, spesso c’è “un fil di fumo” che si sente per casa: qualcosa si è bruciato. Perciò oggi devo stare attenta, è Natale, Natale 2009, il quinto senza mio figlio.
Se ne è “andato” in una grigia “forse grigia, forse pioveva, forse nevicava” non ricordo, ricordo soltanto mio figlio.
Dal primo istante ho pensato e capito che Francesco, il suo andare, era una cosa solo mia, di mio marito e di mia figlia. Ma c’era tanta gente attorno. Gli amici di lui che si abbracciavano tra le lacrime, impotenti nella loro disperazione e vera sincerità. I parenti, gli zii costernati e forse anche un po’ addolorati. I cugini, un paio con sincero dolore, gli altri un po’ annoiati per aver rotto il loro tram tram.  
Mi sono all’attimo sentita incredula per tale partecipazione, specialmente, e onestamente, solamente da parte dei parenti e cugini. E’ stato soltanto un attimo di dovere da parte loro, ora mentre scrivo ne ho la più fervida certezza.

il pianto di un bimbo

dove nascono i sogni?
come finisce la gioia?
dal pianto nasce 
la disperazione,
per un momento
di vita, un voto si fa...
siamo nati soli,
e soli perirono
i pensieri e le azioni nostre,
con cuori laceri 
e ingrigiti dal fato,
per ciò in cui
credevamo...
e le musiche 
di altri tempi?
le litanie di terre lontane
ne ho nostalgia,
di tempi e luoghi
che mai ho veduto..
si fermano nel tempo
e nello spazio,
come pezzi colorati di collage,
uniti a caso dalle mani
di un bimbo..
un bimbo sorridente
che fretta di crescere non ha...
giudico
i pezzi di specchi infranti,
cercando di metterli
a posto nel loro ordine
naturale, ma mostrano solo
frammenti
d'immagini sfogate...
un passato da narrare
torna poco credibile...
credo anch'io di esser
come un bimbo
che non ha coscienza
di se,
sentendo il disagio
per presenze
andate...
affogo le urla nel pianto,
portando le mani alla testa...
so di essere un uomo
che crebbe troppo in fretta,
con unico il calore di una lacrima
che scende piano piano....

Cose Così [per non precipitare]

 
Ticchettio di questo tempo tiranno
che incide il mio volto di canzoni,
fiaccole accese, viavai di discese
volo d'azzardo per non precipitare.
 
Manuela
 

Io sto bene e tu ?

cortesi convenienze d'uso antico
per rimarcare solida amicizia
si scambiano signori per la strada
don ciccio don nicola come s'usa

citare due persone assai per bene
e queste in verità quanto gentili
hanno formato più generazioni
fra prole nipotini e pronipoti

di questi eredi in buoni intendimenti
rivivo gran momento soddisfatto
da ricorrenti note di consenso
e se chiedessi nostra condizione

vivo in alone d'elevata sorte
sono felice per le note aggiunte
nel pentagramma musicale poste
in un respiro che non ha confini

e negli anfratti d'anima riposte
introspezioni come un fuoco accese
carezze per il cuore e per la mente
sono fonti di dolce ispirazione

ricordi di fanciullo e del presente
vita trascorsa insieme ai genitori
oppure con l'amata del destino
mano con mano assieme ai nostri figli

quest'è l'appunto da tenere a mente
da conservare sempre per semente

 

Copyright © Lorenzo 7.6.10

Sto bene anch'io

Tu stai bene ed io come sto?
Sto bene anch’io. Dico sempre così,
che poi, chi mi da la forza davvero non lo so
ma a chi mi chiede se sto bene, dico sempre di si.
 
E così nessuno sa del mio fardello;
è ingombrante e pesante sulle spalle.
Vorrei esplorare lidi e cieli come libero uccello
ed estasiato mi perdo nel volo di danza di farfalle.
 
Non cambia nulla; ma posso cambiare io
se quando dico che sto bene lo dico col sorriso,
perché il male peggiore non è certo quello mio
e, a chi soffre davvero, il dolore glielo leggi in viso!
 
Perciò ricominciamo. Io sto bene tu come stai?
Sto bene anch’io perché ho voglia di una risata,
perché ho teso una mano come non ho fatto mai,
perché mi voglio illudere che la mia vita sia cambiata.
 
 
 
          

quando mi baci

 
Quanto mi baci
quando mi baci
e come e dove
io
non lo so dire
ma ti dono il mio tempo liquido
e tu lo bevi
tutto d'un fiato

L come Luce

 Tracima la luce
invadendo la stanza
 
 
una lenta penetrazione
dell'essenza
 
 
finché ogni cosa
-ciascuna cosa-
non è disvelata.

Oro di asfodeli per Stella

Stanotte ho un appuntamento con Luna,
è un appuntamento speciale.
Nel chiarore della notte di pieno ferragosto,
illuminato da lampioni di stelle,
Luna mi presenterà Stella ed io l’accoglierò
tra le mie amiche notturne con un sorriso,
un inchino ed un mazzo di asfodeli giallo zafferano.
Chiederò all’unico grillo dei pressi,
provetto violinista nottambulo, di mettersi il frac,
uscire sul prato e intonarle una serenata.
E mi addormenterò così, con l’oro degli asfodeli
riflessi nell’argento del sorriso di Stella.
 
*dedicata a Elena, giovane stella che ha ripreso a brillare
 

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