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Ho terminato l'inchiostro della mia stilografica

E' una giornata di primavera
calda e leggera
che spegne molte candele
dopo la messa
della domenica delle palme.

Ho risentito Faber
il poeta
quello segnalato dal dolore
di una rivoluzione
sotto lo zerbino.

Così capita che
qualcosa non gira
non va
le tue poesie
galleggiano in questa aria
come il polline
come i giorni di nebbia
che non ho dimenticato.

Scrivo con un stilografica rossa
con il pennino rovinato
questa poesia
che parla di me
e delle vie che non ho percorso
ma l'inchiostro è finito
come la mia rabbia
come la mia forza
qui
in un giorno di marzo
accompagno la vita
dentro un bicchiere
trasparente
come una canzone di De Andrè.

Una storia

Ogni tanto mi viene voglia di raccontarvi semplici ricordi e vi racconto storie scritte da me in vecchi quaderni o vecchi foglietti accumulati nella vita:
Ho sempre avuto la mania di scrivere storie e lo facevo già a sei sette anni, però mi vergognavo di dirlo e firmavo  con uno pseudonimo: Miriam Mira.
 Una delle prime storie che volevo scrivere mi era stata ispirata in una estate del primo dopoguerra. Ero in ferie al mare, invitata dalla mia madrina di cresima che era poi la mia insegnante di latino e quella che mi aveva preparata per gli esami di ammissione alle medie.
   Eravamo a Vasto marina e oltre che andare in spiaggia, spesso nel pomeriggio ci si recava da una sua amica, che viveva sola in un grande palazzo in mezzo ad un giardino ed era sempre triste, a prendere il the.   Le due amiche  si sedevano sul balcone a farsi le confidenze e mio malgrado, oltre a guardare il mare, ascoltavo il loro conversare.  Non ricordo tutto quello che si dicevano ma quando parlavano del nipote tendevo l'udito perchè la cosa
mi intrigava.

Verdiana

Verdiana la santina
portava le pellicce
a prova di proiettile
sopra una vita da first-lady
e la polvere da sparo per cipria.
Un contrabbandiere del frodo
le vendeva antifurti
per proteggersi dagli altri.
 
Non festeggiava il Giorno del Ringraziamento
per non riflettere sulle cose
a cui si deve essere riconoscenti.
E quando vinceva,
per esempio in un “concorso”,
ringraziava quelli che avevano perso
con molto charme e poco fair play.
 
Voleva sposarmi
pur detestando il matrimonio
solo perché L’ORDINE
le piaceva tanto.
L’ordine. L’ordine nuziale.
Non le REGOLE. Solo per l’ordine.
 

Mettere all'anima

 
da tempo
attrezzo un angolo
nascosto soltanto mio
dove senza premura
potrò ascoltare tutte le allegrie
che innocenti spandono per via
fremiti convulsi dei ragazzi
in amorosi amplessi
celati nei bui complici delle frasche
o spigoli di muro
finanche un pianto commosso
sincero nostalgico d'una
che ha perso l'amore o la passione
perché sebbene poche cose
abbia amato al mondo vorrei
portarle meco quando vado
a non sentirmi solo.
 

Lei cercava

Lei cercava l’amore
ogni notte con affanno
ma nei sogni il suo volto
mai non vedeva.
Lei cercava di giorno l’amore
sulle facce stanche della gente
che frettolosa di lì passava
ma ciò che trovava era solo indifferenza.                                                    
Lei cercava l’amore
tra le rose profumate del giardino
e ciò che invece trovava
erano spine e foglie secche.
Lei cercava l’amore
in cima alla montagna
più alta del mondo
e da lassù il suo nome invocava
ma il vento dell’ovest, per dispetto,
le parole dalla bocca le rubava
e tutto muto rendeva.
Con mulinelli di polvere
gli occhi le feriva.
Lei cercava l’amore
tra le onde del mare in burrasca
e ciò che invece sulla riva trovava
era solo tanta desolazione.
Lei cercava l’amore
negli angoli più remoti del mondo
e ciò che invece trovava
era illusione e tristezza.
Lei cercava l’amore
sulla pallida luna ma solo
solitudine e silenzio trovava.
Lei cercava l’amore…
Lei cercava…
Ma nel suo cuore mai contemplava,
niente di ciò che vicino aveva
lei vedeva.
La dolce voce della mamma
non udiva.
La tenera carezza del padre
non sentiva.

in quel silenzio

onde
nell'immersione prima
il mondo era immenso
 
è sapido
il sentire d'oggi,
 un respiro costante
che mi conduce ai versi
 
 apnea  rimpiango
 
quel placido passo e
il ritmo  del nostro battito. 

Haiku

Un’eternità
racchiusa in un momento.
Questo è l’amore.

                     

Buccia d'arancia

Eravamo sempre
sulle corde spezzate
di una chitarra
e tu mi raccontavi
del tuo passato
mentre un aereo
firmava un dolore
nel cielo di Pescara.

Sarebbero venuti
i trovatori
a raccotare quella storia
ferma sul porticato
della casa di D'Annunzio.

Spille per non fare la guerra
ma l'amore
ne avevamo messe
sul sedere
per scandalizzare i benpensanti
frutti di un'economia
volta a retroguardie proletarie.

Ma sebbene
provassimo a leggere
Stato e Rivoluzione
non si superava mai la terza pagina
come nessuno ha mai
mai
finito il diario di Che Guevara.

Eppure
di quegli anni
all'alba di una rivoluzione
io serbo solo il ricordo di quel giorno
che spruzzavo ai tuoi occhi
il succo di una buccia d'arancia

E tu irritata
mi mandavi a fare in culo
perchè quell'amore era finito
tra un geranio di balcone
e una maglietta macchiata
di sudore.

Cose Così [di Sara]

Sono i cavalli della giostra a lucidare il legno scolorito, consumato sulla sella. Un cielo chewing-gum, e noi dentro i vuoti nelle nostre maschere, sotto un tendone blu di stelle e pianeti, distanti, mai rassegnati all'ultimo spettacolo. Com'è che ridiamo per finta, e ci cola il salato degli occhi sul collo? Che fine hanno fatto i patti stretti in petto, puntellati di violette? In una primavera che ha il terrore di un addio, lo stesso freddo nella spina dorsale. Raccogliamo le forze nei soprabiti leggeri e coloriamo le unghie di ogni smalto che c'è da inventare. Lasciati i nasi finti sulle tavole, una soffiata di lucciole ci prenda in pieno e ci scuota, appena prima che s'accenda il sorriso nuovo. Ancora vita, e voglia di giocare.
 
 
A Sara, ispirata alla sua poesia di oggi
Manuela

Harbingen

Una notte di stelle, compresi
Chagall e il suo vento.
Il sogno, un gioco di mani,
il suo viaggio,
la vita che lasciava alzando tele
infinite
e donne
al soffio del temporale...
Altrettanto infinito.

Guardai estasiato
una sposa, una luna caduta,
un piano... e nel vetro vi lessi
la lieve rugginosa Russia
e nel tratto iniziale, Guillaume che rideva.
Vedevo e sentivo
un pesante fardello.

Un viaggio, poi un altro e un altro ancora.
Eterno e infinito
in terre lontane
e a volte vissuto come il pianto
che scivolando scema.

Un antico castello,
carte al vento,
una semplice domanda
sussurrata
tra la mano e l'orecchio:
"Vuoi viver con me?" E Cecilia sorrise
che fino alla fine seguì
senza sosta, il maestro. 

Ma come vuole la vita,
la mano tesa, un giorno tremò.
"Digli che ancora vorrei 
dipingere il bianco". Pregò la sorte.
Ma lei non rispose
e nel vuoto, il vecchio, annuì.
L'agguato non tardò...

Ma Bella era accanto,
come il primo giorno
...accanto.
Alla fine del ponte sorrisero
tra i due orecchini, gli infiniti occhi
neri come un carbone,
o qualcosa d'uguale o acetilene a pezzi
o qual'altro intruglio che propina la vita
dopo la morte. Tendente al grigio.
Che di grigi s'ammanta.

Un mare senz'onde o l'onda che lenta
ritira
per tornare come i suoi mostri
teste animali...
il violoncello, una sposa che vola
ed il blu
e gli occhi tristi dello sposo...
Il signor del fuggire assorto
e della tristezza.

Fu così che quella volta

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