Ho terminato l'inchiostro della mia stilografica
calda e leggera
che spegne molte candele
dopo la messa
della domenica delle palme.
Ho risentito Faber
il poeta
quello segnalato dal dolore
di una rivoluzione
sotto lo zerbino.
Così capita che
qualcosa non gira
non va
le tue poesie
galleggiano in questa aria
come il polline
come i giorni di nebbia
che non ho dimenticato.
Scrivo con un stilografica rossa
con il pennino rovinato
questa poesia
che parla di me
e delle vie che non ho percorso
ma l'inchiostro è finito
come la mia rabbia
come la mia forza
qui
in un giorno di marzo
accompagno la vita
dentro un bicchiere
trasparente
come una canzone di De Andrè.
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Una storia
Eravamo a Vasto marina e oltre che andare in spiaggia, spesso nel pomeriggio ci si recava da una sua amica, che viveva sola in un grande palazzo in mezzo ad un giardino ed era sempre triste, a prendere il the. Le due amiche si sedevano sul balcone a farsi le confidenze e mio malgrado, oltre a guardare il mare, ascoltavo il loro conversare. Non ricordo tutto quello che si dicevano ma quando parlavano del nipote tendevo l'udito perchè la cosa
mi intrigava.
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Verdiana
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Mettere all'anima
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Lei cercava
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in quel silenzio
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Haiku
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Buccia d'arancia
Eravamo sempre
sulle corde spezzate
di una chitarra
e tu mi raccontavi
del tuo passato
mentre un aereo
firmava un dolore
nel cielo di Pescara.
Sarebbero venuti
i trovatori
a raccotare quella storia
ferma sul porticato
della casa di D'Annunzio.
Spille per non fare la guerra
ma l'amore
ne avevamo messe
sul sedere
per scandalizzare i benpensanti
frutti di un'economia
volta a retroguardie proletarie.
Ma sebbene
provassimo a leggere
Stato e Rivoluzione
non si superava mai la terza pagina
come nessuno ha mai
mai
finito il diario di Che Guevara.
Eppure
di quegli anni
all'alba di una rivoluzione
io serbo solo il ricordo di quel giorno
che spruzzavo ai tuoi occhi
il succo di una buccia d'arancia
E tu irritata
mi mandavi a fare in culo
perchè quell'amore era finito
tra un geranio di balcone
e una maglietta macchiata
di sudore.
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Cose Così [di Sara]
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Harbingen
Chagall e il suo vento.
Il sogno, un gioco di mani,
il suo viaggio,
la vita che lasciava alzando tele
infinite
e donne
al soffio del temporale...
Altrettanto infinito.
Guardai estasiato
una sposa, una luna caduta,
un piano... e nel vetro vi lessi
la lieve rugginosa Russia
e nel tratto iniziale, Guillaume che rideva.
Vedevo e sentivo
un pesante fardello.
Un viaggio, poi un altro e un altro ancora.
Eterno e infinito
in terre lontane
e a volte vissuto come il pianto
che scivolando scema.
Un antico castello,
carte al vento,
una semplice domanda
sussurrata
tra la mano e l'orecchio:
"Vuoi viver con me?" E Cecilia sorrise
che fino alla fine seguì
senza sosta, il maestro.
Ma come vuole la vita,
la mano tesa, un giorno tremò.
"Digli che ancora vorrei
dipingere il bianco". Pregò la sorte.
Ma lei non rispose
e nel vuoto, il vecchio, annuì.
L'agguato non tardò...
Ma Bella era accanto,
come il primo giorno
...accanto.
Alla fine del ponte sorrisero
tra i due orecchini, gli infiniti occhi
neri come un carbone,
o qualcosa d'uguale o acetilene a pezzi
o qual'altro intruglio che propina la vita
dopo la morte. Tendente al grigio.
Che di grigi s'ammanta.
Un mare senz'onde o l'onda che lenta
ritira
per tornare come i suoi mostri
teste animali...
il violoncello, una sposa che vola
ed il blu
e gli occhi tristi dello sposo...
Il signor del fuggire assorto
e della tristezza.
Fu così che quella volta
- Blog di fabiomartini
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