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Felice da morire

Lei aveva un rapporto quotidiano con la sua morte. Non che la desiderasse, non più di quanto avesse desiderato la vita, d'altronde. Solo che, come dire?, sapeva che prima o poi sarebbe capitato, così come le era capitato di nascere le sarebbe capitato anche di morire. In realtà accumulava anche quelli che adesso si chiamano "fattori di rischio" come se li collezionasse - questo ce l'ho, questo mi manca. Sicché si sarebbe potuto supporre un certo gusto per l'autodistruzione, ma non c'era compiacimento in questo, solo che non la vedeva come un rischio, la morte. Piuttosto come una certezza. Trovava stucchevoli tutte quelle dichiarazioni sul fatto che fumare o essere grassi accelerassero il processo: come si può accelerare ciò il cui tempo non è previsto né prevedibile? Non è come se gli esseri umani avessero una data di scadenza, ma solo se conservati in modo corretto. Solo, ad un certo punto, almeno finora, ed estrapolando dai precedenti, e senza voler porre ipoteche sul futuro, accade che muoiano.

Interminabile corsa a vent'anni

Corsa sull’asfalto rovente
verso un mondo che non c’è
nella città dei rumori
della gente della noia
dell’indifferenza.
Un rettilineo di alberi muti
si apre davanti ai tuoi occhi
grigi di nebbia azzurri di sole
alberi come fantasmi
ondeggianti impazziti
ubriachi di nafta e di gas
ti chiamano
la vita ti chiama e l’amore
non chiudere gli occhi

Verso Est

 
giusto l'inverno
per giustiziare il fato
rinascere ora
 
raccontarsi la vita
e rinnovarla tutta

Il rischio dell'accidia

correrò di nuovo il rischio dell'accidia
in questo giorno di grigio che offende gli occhi
e di rumori attutiti e astratti
 
 
come si attarda l'attesa sul mio corpo
si annida nel vizio capitale
peccato senza remissione
 
 
m'impantano nella palude Stigia
con un semplice socchiudersi degli occhi
e il franare delle mani in grembo
 
 
e non fosse che non credo a niente
dovrei davvero temerle
le trombe del giudizio
 
 
lo squillo stentoreo che interrompa
 
                                       [il silenzio
 
 
 

Urlo

Nella piovosa
nebbia il tuo nome e
tu non rispondi

La malinconia a Montmartre

Passeggio per le vie del cimitero di Montmartre
passeggio parlando con te delle viole tremule
e di morti innocenti.

Gli angoli di Saturno

Quello che importa non sono gli anelli
ma il dito che li porta,
gli angoli ovvero, e chi li
tocca, chi li fa partire,
il prurito dell'orbita,
chiamamoli così. Allora, numeriamoli, in ordine
crescente, senza tante lune o menate,
oriente, occidente e compagnia
cantante. Primo, la forza di chi
sin dall'inizio non può averla vinta,
l'ingenuità di chi si dà la spinta
per sopravvivere, per venire alla luce.
Secondo, il giorno che l'infanzia si inabissa,
il momento esatto che una di quelle
lune troppo piccole il sole lo eclissa
solo parzialmente. Terzo, quando il pianeta
ventunenne per la prima volta
si innamora del suo satellite, questo
tramonto all'incontrario, antiorario.
E quarto, il primo giro di boa,
multiplo di sé stesso, periplo del Capo
di Buona Speranza, ancora mezzo ignaro del fatto arcigno
che ogni tappa mancata è un limone asprigno
che resta inspremuto, e che nessuno a uno
gli dà aiuto, il cielo giammai chiaramente,
figuriamoci poi se si tratta
di un percorso senza sostituto. Dopo aver
considerato tutti i punti di vista,
a questo punto si decide per un cambiamento
d'opinione a 360 gradi, appunto. Pigra di
tali decisioni, la mano tenta di mostrare
schiacciando i polpastrelli quanto sia sottile
uno su infinito, ma la forza non le basta:
ma non è sorprendente, non ci si avvicina
mai per davvero alle opzioni del nulla,
visto che per la maggior parte tutto torna
in circolo (inclusa la massa). In tal senso, l'ambizione
è meglio che voli bassa. Quinto, ogni casa
si basa sulla cantina, le fondamenta
del bisogno di mettere radici, e anche questo
è sprofondare. Sesto, se scavi sotto un continente
trovi sempre il mare, da dove veniamo.
E poi, che ci si mostri la risposta al mistero dell'universo
o no, è quarantadue. Semplicissimo. Che non è zero,
e men che meno niente, ma qui mi ripeto.
 
Ecco, questi sono gli angoli di Saturno,
l'intero diario di bordo fin qui, men che mai
eterno, piuttosto riassunto energumeno,
aneddoto più che struttura, appunto
provvisorio più che creatura eterodossa.
Una fossa di piume e catrame, di lerciume e argento,
filigrane e letame. Da cui, perché no, potrebbe ancora
emergere con un fermento
il mio contributo al firmamento, o un vortice
attorno al gorgo mio individuale, come uno stronzo
giù per il cesso, non che questo
mi renda poi speciale, ma tant'è.
Detto quello che importa uno poi tace, epperché
dovrebbe essere altrimenti. Saremo contenti adesso.
 
[18042010]

Tutto ciò che ho sempre chiesto al sesso (e non mi ha mai risposto) - I

Il sesso è una situazione complessa che coinvolge tutti gli esseri viventi e li rende simili tra loro; ad esempio: un uomo al maiale, o a un toro, o a un pesce lesso; raramente le tre cose insieme e soltanto in presenza di capi di stato.
Dicesi sesso tutto ciò che si fa meglio degli altri avendo più degli altri, se non c’è un altro che lo sta facendo al posto tuo con ciò che tu avevi.
Di norma è un compimento dell’amore per i romantici, un compimento e basta per i siffrediani, un e basta per i religiosi.
Il sesso è apparso sulla terra prima dell’uomo e della donna, ma solo dopo è diventato tale, fino a quel momento era stato un atto di riproduzione meccanico; voglio dire: si usavano fotocopiatrici e fotocopiatori d’argilla.
Perché il sesso si mostri, occorre che coloro i quali ne fanno uso stiano nascosti e, meglio ancora, al buio. Questo fatto è in apparenza contraddittorio, ma in realtà molti uomini preferiscono non essere visti quando non vengono sentiti. Solo in particolari casi è accettato essere espliciti nelle vicende sessuali: se si è animali (sempre), oppure se si è appena nati (necessario!)
Il sesso lo fanno in modo giusto solo i pentiti perché sono sempre protetti. Chiunque quindi voglia fare sesso sicuro deve ammettere almeno un delitto o svelare dove compra le riviste pornografiche.
Il sesso può essere fatto liberamente in diversi modi: da solo ed è autoerotismo; con la fidanzata ed è automobile; con l’amante ed è automatico; con la moglie ed è autodemolizione.

Vorrei incontrarti fra cent'anni

Ed ora mi permetto di presentarvi un brano un pò forte ma che nasconde un grande dolore. Sempre del mio laboratorio. Sono stata pregata di firmarlo con uno pseudonimo.
 
Nevica.
Rincaso dopo una lunga e bella passeggiata, svogliatamente accendo la tv.
Stanno intervistando Ron che poi canta una canzone: “vorrei incontrarti fra cent'anni”.
Mi ritrovo sommerso da una valanga di pensieri.
Quale e quanto Amore in questa frase.
 
Mi vien voglia di scoprire la sequenza di sentimenti che ha generato un tal pensiero. 
Non riesco, non trovo il bandolo della matassa. Sono convinto che non si tratti di un'espressione buttata lì, con la complicità della fantasia. Non è una frase da “effetti speciali” per films.
C'è della sostanza, c'è un sentimento spesso. C'è vita.
 
Inevitabilmente la mente va nel suo passato.
Un deserto piatto. Qualche cespuglietto qua e là, il vento che fa rotolare grossi batufoli di sterpaglie e sbatacchia le superstiti persiane di casupole abbandonate, in un paesino fantasma, ormai abitato solo da scorpioni e serpentelli. 
Ossa di qualche animale morto chissà da quanto tempo, si consumano a sole.
 
Il confronto scatta inevitabile. I riflettori puntano contro me.
Sono nudo, al centro della scena, mentre velocissimamente rivedo tutta la mia vita.
Comincio a capire, perchè non capisco.
 
Ho iniziato la mia vita svogliatamente. Negli studi ero una frana, poi ho continuato ancora così.

Paolo Photography

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