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blog di lunasepolta

a forma di te

a forma di te, come la seta al bozzolo
come la morbidezza ardente o asperità
al basso piano dove manca l’aria anche

lei

lei come vento aperto ai mulini
nel disfare i tratti della casa, le corolle
appese agli archi del costato

 

lei che scende dal carro nuziale
con le calze di seta
i sogni piccolissimi, non oltre
l’alpeggio, il canto del gallo
una caramella
sulla lingua dello sposo

 

Papille

di fiume in foce
chiama l’amore ad ultrasuoni
come vicissitudine di gigli
al profumo che copre un dolore
animale, minerale, vegetale

 

si fa crepa di me, papilla
simile al buio, strada a salire
un olimpo migrante
che mi dichiara
morte

 

Solchi

benedetto il seme, questo slancio
di terra imperfetta nei nastri profondi
dell’addome, la costola appesa
incerta ai muschi, alle cantine
ove morde una guerra diversa
come un tramonto secco, apribile,
a me che ti scrivo con le mani
i solchi fertili, i dialetti
ridenti sul pelo dell’acqua

regressioni di stile

Come somiglia il tuo nome, al suo
nell’imperfetto addita a questo nulla che non accetterà d’esserci
ancora tra le adunanze e i suoni a barre. Non è servito tutto il nostro tempo
il frutto che cogliesti dai miei rami per macerarlo
 
nelle interdizioni
 
rabbioso, tu nei giacimenti consci
soltanto
del trambusto delle talpe
 
ex equo, noi, non lo siamo mai stati, ma forse
comparati dagli eventi, senza un'unica casa né dintorni
tu sempre fuori, io da sola dentro ai miei comandamenti
che puntuale spazzavi via, come un finimondo
 
dov’è finito il muscolo del cuore e chissà dove il pianto trattenuto
 
forse nei magazzini della fabbrica o dentro
una chitarra sulla bara, dove agli altari mutilava il viaggio la coda
di un cordoglio in uniforme
 

Aperture

 
 
 
Finirà febbraio, noncurante
di un tempo tutto perso, d’una luna sghemba
dove a una tomba degna d’orizzonte, fu l’apertura sul costone
a rendere respiro agli anni occlusi, e fiori, e sete
e voci
diventare adulte
ed altre stanche, amate voci
silenzi amati su
per gli angoli operai
 
I fermi alle clavicole aspetteranno ancora
gli abiti succinti, la spalla che cade e quell’odore di pane
quando ce ne staremo fuori a raccontarci
 
dallo svettare d’aceri fino
a litigarsi l’alba
 
Non diserto notti a licenziare
acque su acque, croci sull’orgoglio
approdi sconvenienti d’anni ammanettati a tacche
e luci inclini del sapermi
 
verande e rosmarino
 
Tu, che m'imprimi dormiveglia ai tarli
d’immagine scomposta e misticanze
 
che pendono dai treni
 
 
 
 

Sanaa

 

 
 
 "Così stiamo sul ciglio del calendario, oltre la città dalle mura bucate"
 
Con altri uccelli ci fermeremo al vespro e troveremo sponde per nidificare
ma il cielo ha confini di blu. Dice di gessi, di ammaestramenti
Accovacciamoci,
ombre qui ad un passo
sottrazioni
di rosso da cui
inversamente, biancheggia
 
movimento
 
pale di altari come
ciprie di città siamesi
 
siamo somme
su silenzi bianco neve,
senza manuali
e tu mi chiedi conto, del rosso, del bianco: come non sapessi
 
Fuggirai con me a Sanaa?
 
 
 
 

silouette di una morte

è vitale voltarsi in dietro sulla strada che allenta
la luce e ci grazia di ghirlande
inseminazioni esatte per la stagione, approfittando
del pane che dorme e i cachi
inconsiderati fra la neve, mostrano
i miracoli che fa il Natale

girarsi attorno dall’ostinazione
di una casa, come ladra di quartiere
porte che parlano alle porte
sminuzzarsi, concatenando traslazioni

silouette
dipinta sulla vetrina del barbiere

fummo soliti leggere foglie e disordini
stagnature sugli orli del tempo
sconnesso, un andirivieni come il comporsi
di fiordi nell'apnea delle nuvole

*
venne il giorno per il perenne amore
che fu tutto un chiudersi fuori, un vagare
per togliersi di mezzo

monologo reciproco, imbiancare d’ombra
lo scheletro di una mano, sul muro, gli zigomi
a bruciare le intercapedini di ogni riminiscenza

*
abbiamo scelto la strada della fornace
i fossi erano larghi come spicchi di fanghiglia

trovammo la sua bicicletta rossa
lei, poco più in là, pallida come il sale
arrugginita di melma
che lievitava maniche fuor d’acqua
sculture pronte a cuocere

aveva chiesto la cremazione sulle coltri di giaccio
nei luoghi chiusi non voleva tornare
preferiva mettere al macero le carte, la gente
le vecchie cose, forse il Natale, che considerava
cometa minore, sgomento chiuso a chiave

si era sempre resa conto delle sue mediocrità
ma invadeva il bianco della neve
con la naturalezza del sangue 
senza compleanni, senza cimiteri

scrosciando

 
 
 
 
Cosa saremo noi che abbiamo
dentro ringhiere, dissomiglianze
come ustioni, quella innocenza
appesa a una lanterna
 
 
sfrattati dall’ultima panchina
o quinte di un mercato, orfane
castigate d'ingratitudini e occhi
assaporano sudori
                            il giorno più nero
 
questa pioggia che non consegna ali
 
 
Resto d’insieme noi, e aggregazioni
intercalare di solitudini
 
 
Dateci un bosco, dateci le lenzuola
un motivo per aspettare
se ci saranno ancora carreggiate
il fuoco sulle dita, scrosciando

 

 

 

sgomenti

*
dunque la stagione si stringe tra decimi
di indifferenza (funesta) e il giorno
genuflesso come gomitolo minore
senza riaprire sorgenti a braccia larghe
- diventa mollica sperduta, come traccia
nei selciati dove nulla è al riparo - tutto
inghiottite il bello di quel doppio amare
gli anni dieci a dieci, prossimi di follia
li lascerò pendere dai miei occhi

*
guarda quanto imbiancano i miei occhi
al camminare di circonferenze
su architravi che raddrizzano persino
le anse di un fiume, ché la piena
non trova foce, né storia, né nome
per farsi amare - come somigliasse
ad una fata di leggenda - e sette fiumi
dove il corso di nudi messi a torre
ritorna dal mare come un pensiero fisso
che non muore tra gli equivoci
e la voglia di trovare, non ritrovare

*
ci sarà storia per uscire dallo stallo
passando tra le gambe a penzoloni, come
se nulla dovesse quadrare, quasi a togliere
tormenti alla ragione, lucidità perfetta
i piccoli paesi sulle rive, le vene intorno
di quel muro che mi sorge - sgomento

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