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blog di Vittorio Fioravanti

L’Uomo in blu / 3

Prima di rientrare nello scompartimento - seguendo istruzioni - tolse la suoneria, cambiandola con un impulso elettronico, nascose il cellulare nella tasca interna della giacca, e da un’altra ne tirò fuori un secondo, che accese. Penetrò quindi nello scompartimento facendo finta di concludere una presunta conversazione con una persona. Appena dentro però l’uomo in grigio incontrò il sorriso sfacciato dell’uomo in blu, quello del signor Garibaldi.

- Perdoni la mia sfacciataggine, signor Rossi. Sarebbe così gentile da permettermi di fare una breve telefonata a quelli dell’Inter, per chiarire i dettagli del nostro arrivo alla stazione centrale di Milano, dove dovremmo incontrarci? ...sono naturalmente disposto a cancellare l’importo, sa? ...nada de gratis! ...niente gratis, per favore!

Dovette cedere. Per non creare incertezze. Del resto tutto questo sarebbe servito a nascondere la presenza nelle sue tasche della connessione segreta.

- Non so come ringraziarla, sa?
...confessò con una nota melodrammatica nella voce l’uomo in blu, prendendo il cellulare che l’altro gli offriva già riacceso. E in mano aveva già pronto il foglietto col numero da comporre.

- Hallo? ...mi passa per favore il direttore, il signor Olzi? ...grazie!

Durò più d’un paio di minuti l’attesa in linea. Sbuffò, lanciò sorrisetti in cerca di commiserazione, scambiò qualche frase in castigliano col figlio e finalmente riuscì a comunicarsi con l’amico. Pendevano tutti dalle sue parole: l’uomo in grigio, quello in nero e naturalmente suo figlio, che aveva ancora in mano la rivista con le pagine aperte sulle fotografie di Moratti, Mancini, Materazzi, Martins, Mihajlovic... Leggi tutto »

La coda

Racconto di Vittorio Fioravanti

Il Paese stava affondando in una crisi inarrestabile. Si trattava d'una crisi economica diventata politica. O era politica, ed ora s'era fatta dannatamente economica. Era ad una svolta, a un crocevia della sua lunga storia. Simone non lo capiva bene; sapeva soltanto d'esserne vittima. Era disperato: aveva perso il lavoro, era stato sfrattato, aveva dovuto vendere la macchina. La moglie e i figli, era stato costretto a mandarli a vivere dai suoi suoceri in una fattoria dell'interno; lui era invece restato nella capitale, in casa d'un compagno d'ufficio, cercando lavoro. Ma per motivi che non volle mai rivelare, dopo poche notti da quell'amico non c'era più tornato.

Tutto era cominciato tre o quattro anni addietro. Era andato a votare quasi di malavoglia, senza una ferma opinione. I governi corrotti gli avevano tolto l'entusiasmo negli ideali democratici appresi a scuola. C'era andato per scrupolo di coscienza, per compiere un dovere. Era abituato alla conformità delle regole imposte: in ufficio era l'ultimo a uscire e il primo a riprendere posto. In vent'anni non aveva fatto che un paio d'assenze. In quei due giorni che gli erano nati i figli, a lui e a sua moglie, una delle segretarie della ditta dov'era impiegato.

Era andato a votare nella sua utilitaria, in una coda di macchine ai crocevia, nel traffico causato da quelli che se n'andavano a passare la domenica al mare. Fregandosene della politica e dei semafori. Lui no. Lui aveva deciso d'andare a votare, così come l'aveva fatto ogni volta. Magari pentendosi poi del voto che aveva apparentemente sempre sprecato, dandolo a qualcuno che non l'avrebbe poi meritato. Questa volta non sarebbe successo; ma era incerto, confuso. Quasi di malavoglia, per l'appunto. Leggi tutto »

L’uomo in grigio / 3

Il suono riempì d’improvviso lo scompartimento. Un telefono cellulare rivelava la sua particolare presenza. Tutti volsero la loro attenzione all’uomo, che stava tastando la tasca interna della sua giacca grigia.

- Pronto! ...eccomi quì, maggiore ...attenda un momento.
...disse, alzandosi per uscire nel corridoio.
Fuori non c’era nessuno. Chiuse dietro di sé lo sportello e si spostò verso il piccolo locale sanitario rinchiudendosi dentro.

- Ascolti bene, signor Esposito.
...fu l’esordio del maggiore dei carabinieri Labruna, in linea con lui.
- Dica pure, maggiore.
- Si è appartato come gli è stato indicato?..
- L’ho subito fatto, maggiore.
- Bene, ascolti con attenzione.

1) La situazione era allarmante. I servizi segreti del Ministero di Giustizia avevano intercettato più d’un messaggio relazionato al suo caso, e avevano ormai chiara più d’un’ipotesi delittiva.

2) Da ribadire c’era il fatto che la sua testarda volontà d’accorrere a dare l’ultimo saluto alla madre morta, era stata accettata con severa riserva dai giudici istruttori. Di vitale importanza essendo la sua presenza in qualità di testimone-chiave alla ripresa del maxi-processo.

3) La residenza segreta della signora era stata scoperta recentemente, attraverso un reperto medico maldestramente sollecitato ad una clinica di Palermo. L’organizzazione aveva preferito attendere che fosse il pentito a tradirsi, poco importando una vendetta sulla donna. L’occasione era il decesso avvenuto ieri. Leggi tutto »

Uno sguardo e ho capito

Lirica di Vittorio Fioravanti

In quest'ora nascosta
posso stracciarti nell'aria
fendere le tue membra aperte
bruciarti a pezzi
posso
appendere un cerchio in cielo
scompigliarti di luce i capelli
e adorarti a strati
la brezza
è un sussurro d'amante
soffre la curva nuda
giù
del tuo corpo striato
d'ombre e sospiri
amica
m'afferrasti negli occhi
andavo chino fermo incupito
sprofondandomi lento
nella pelle di certe illusioni

uno sguardo e ho capito

c'è un giorno o quest'ora
in qualunque momento
della vita di uno

ora sono qui a spiarti
la gioventù levigata e tersa
appena offerta
morsa col vigore riaffiorato
e la sete subito spenta
a spiarti mentre me ne vado
con una voglia antica di frutta
fra le fronde tra i rami
e l'orizzonte verde che chiude
con una linea di polvere
il cammino di sempre
d'una strada di terra battuta
giá bianca di sole

20 novembre 1986

Nella spirale di una conchiglia

Lirica di Vittorio Fioravanti

Stasera m'insinuo
nella spirale d'un suono remoto
nel meandro abbandonato
d'una consunta conchiglia
vulva slabbrata che penetro
nel sapore salmastro
d'un riecheggiare inesausto
d'infranti marosi

Navigo
così ad occhi chiusi
violando ristretti orizzonti
verso altri lidi e altri mari
di chiglia in chiglia
lungo scie di vascelli
pregni di venti violenti
le vele gonfie d'orgasmo

Seguo il flusso sommerso
d'ignare e calde correnti
come un sinuoso delfino
lungo folti fondali
tra impercettibili movimenti
di fili d'alghe e tentacoli
chele ritratte in attesa
l'argenteo guizzare
di mille aguglie

Fino ad emergere
in vortici di spuma e sale
relitto vinto sugli asperi scogli
d'un'isola d'alberi verde
per restarvi a braccia aperte
gli occhi immersi nel cielo
tra voli lenti di rauchi gabbiani
naufrago finalmente libero
nella mia libera mente

Ottobre 2003

Razza mediterranea

Lirica di Vittorio Fioravanti

Siamo il seme disperso
frammenti d'una diaspora estesa
Siamo gli scampati oltre il muro
dell'orto franatoci intorno

Razza bastarda
fuggiamo da sempre
lungo i sentieri più incerti
delle patrie scelte soffrendo
sui biglietti d'un viaggio
ormai senza ritorno

Sopravviviamo
forti del dolce coraggio
d'una donna incontrata
quasi per caso
appena all'angolo di un'ora
della nostra vita
Sopravviviamo
forti anche dei figli
del nostro esilio

Razza testarda
ci cerchiamo con gli occhi
l'alito d'aglio
le stanche mani sporche
ripulite ogni sera
e quelle poche parole restate

Siamo un'Italia antica
copia sbiadita d'una fotografia
l'ombra del campanile
che attraversa a tentoni la piazza
lungo le stesse pietre
le foglie frementi sull'albero
di una strada di periferia
l'acqua rossa dell'unico fosso
Siamo in quel grido allo stadio
la stessa gente

Siamo un'Italia remota
l'eco di quel violento '45
Siamo i reduci dei due fronti
la rivincita d'una guerra persa
Qui siamo l'emigrazione
le rimesse e i risparmi
l'eco di quel grido allo stadio
un'immagine fatta e disfatta
d'arduo lavoro e di sacrifici
di scontri e nemici
Siamo un volto rassegnato
uno sguardo rivolto al buio
dell'integrazione

C'è una voglia in noi
crescente come la spuma
d'una calda mareggiata
morbida come il volo lento
d'un gabbiano steso nel vento
le ali aperte
sul fragore della risacca
C'è in noi violento
il rimpianto di quelle scogliere Leggi tutto »

I tre uomini in treno / 2

- Permettete? ...sono Romano Garibaldi! ...e questi è mio figlio José, che fa il calciatore di professione, e andiamo a Milano per un provino.

E diede la mano a tutti, anche a suo figlio. L’uomo in grigio, dapprima esitò, poi alla stretta di mano disse soltanto "Rossi", inventandolo sul momento. Il giovane s’era invece preparato ad ogni evenienza e aggiunse - come prescritto - "...piacere, Lombardo", tradendo l’accento siciliano nella sillaba finale.

L’uomo in grigio, che diceva di chiamarsi "Rossi", si tolse infine gli occhiali oscuri e aprì uno dei due quoridiani, offrendo ai presenti le sue pubblicazioni. Garibaldi prese una delle riviste ringraziando in anticipo, e il figlio afferrò l’altra che aveva in copertina le cosce nude d’una sconosciuta. Il giovane a destra invece neanche si mosse. Guardava fuori, ma nel riflesso del vetro del finestrino osservava l’immagine di quel tale. "Rossi", come gli era parso di udire. Leggi tutto »

I tre uomini in treno/ 1

Il tassì portò l’uomo in grigio dall’aeroporto alla stazione Termini. Scese inforcando il paio d’occhiali scuri che aveva con sé. Il treno per Firenze, Bologna e Milano sembrava che lo stesse aspettando. Obliterò il biglietto come indicato nel foglietto informativo, comprò in fretta due quotidiani e due riviste, e prese posto nell’ultimo scompartimento dell’ultimo vagone. Dentro c’era soltanto un giovane. Ci fu un saluto formale, mentre l’uomo in grigio accomodava il suo piccolo equipaggio sulle reticelle, sotto le quali poi decise di sedersi, accanto alle quattro pubblicazioni acquistate.

La stazione era un formicaio umano. Padre e figlio, scesi trafelati dal treno locale, corsero a fare i due biglietti per proseguire per Milano. Il treno che procedeva da Palermo era già in stazione, sul binario assegnato. Persero tempo per la necessaria obliterazione, un’operazione che l’uomo in blu - "...en su puta vida!" pensò - mai s’era sognato di dover fare. Che cavolo era mai un’obliterazione ...andare a farla al cesso? ...o magari in una cappella con un segno di croce? ...boh! Per fortuna, o per caso, un carabiniere senza neanche i due baffi ci aveva pensato ad eseguirlo per loro. Clic-clac! ...non c’è di ché, disse ...un dovere, nient’altro!

Giunsero finalmente sotto la fiancata del lungo treno, e senza pensarci due volte abbordarono il primo sportello trovato aperto e salirono, trascinando dietro i bagagli. Nello scompartimento a destra c’era posto per tutti, e quindi entrarono proprio lì dentro, salutando con un chiassoso...

- E’ permesso?.. Leggi tutto »

L’Uomo in nero / 2

D’improvviso sul vetro dello sportello dello scompartimento apparvero le quattro rotelline d’un automobile. Fecero una giravolta e tornarono a strisciare sul vetro con un suono raschiante. Poi apparve il volto del bimbo che stringeva la piccola vettura tra le sue dita. L’uomo in nero lo vide, e d’immediato calcolò quanto inoffensiva fosse quella presenza. Ma non tralasciò di seguire i suoi gesti. Il bimbo lo guardò attraverso il vetro, facendo il rumore della sua Ferrari. Uno sguardo innocente che si tramutò in un sorriso. L’uomo in nero non seppe corrispondergli, e allora guardò fuori, dietro le spalle del bimbo. Ma non c’era nessuno. Guardò meglio: proprio nessuno. Allora si volse verso il finestrino, e lo chiuse, mentre il bimbo spingeva l’uscio scorrevole e metteva un piede nello scompartimento.

- Si può? chiese, per niente timido.

E l’uomo gli fece un verso strano col volto. Un sì o un no, o forse un non so, o qualcosa del genere. Il bimbo lo prese per un gesto d’affermazione ed entrò per sedersi a un lato dell’uscio rimasto aperto.

- Quì c’è posto. Molti posti liberi, disse ancora il bimbo. E tornò a sorridere, e a muovere sull’altra faccia del vetro la piccola Ferrari rossa.

L’uomo con la testa lucida e gli occhi oscuri lo guardò come un intruso, ma non disse che già. Poi diede un’occhiata all’orologio che teneva stretto al suo polso e si girò a guardare il mare. Il treno correva parallelo alla costa, rompendo al suo passaggio l’aria salmastra che saliva dalle spiagge popolate di barche e di reti. Leggi tutto »

Quattrocento settanta

Lirica di Vittorio Fioravanti

Superficie incolore e silenzio
neppure un grido animale nel vento
un deserto vuoto di niente
rari arbusti affiorati per caso
rattrapito fiore notturno
nato già morto al mattino

L'orma d'un passo grave
un nudo corpo abusato
grumi caldi di sangue umano
fardello gettato via dilaniato
tra sassi e polvere grigia
d'un aspero dosso
d'oscuri rifiuti
dallo stesso assassino

Ennesima giovane figlia
d'una misera primavera
che non torna più a casa viva
negl'intricati sobborghi poveri
di Ciudad Juárez

Quattrocento settanta

donne ammazzate
un grosso numero
d'inaudito spessore
che strappa brividi
di greve furia impotente
e disperato rancore

Novembre 2007

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