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Camillo Sbarbaro

 

Camillo Sbarbaro nacque a Santa Margherita Ligure il 12 gennaio 1888. Pubblicò nel 1911 il primo libretto di versi e collaborò in seguito, ma con poca frequenza, a riviste e periodici letterari e fugacemente alla terza pagina di alcuni quotidiani. Fu impiegato alla Siderurgica di Savona poi all'Ilva di Genova, città in cui si stabilì e visse insegnando il greco e collezionando muschi e licheni (suoi erbari si trovano in università e musei americani). Vinse premi letterari nel 1949, nel 1956 e nel 1962. Dal 1951 abitò a Spotorno fino alla morte, avvenuta a Savona il 31 ottobre 1967. Ricevette l'apprezzamento sia per i versi che per la prosa da Boine, Carlo Bo e Montale che giudicò il suo stile poetico "di timbro inimitabile che si fa intendere anche attraverso il coro di cento altre voci". Sbarbaro fu autore di poche raccolte di versi e di frammenti in prosa. Come poeta, resta sostanzialmente l’autore di Pianissimo, una silloge poetica che fu oggetto di ben tre edizioni: la prima, nel 1914, fu pubblicata a Firenze dalle Edizioni La Voce, la seconda edizione, riveduta in più parti, fu pubblicata nel 1954 a Venezia dalla casa editrice Neri Pozza, e infine quella definitiva, ulteriormente rivisitata, fu pubblicata nel 1961 a Milano dall'editore Scheiwiller. È da precisare che una decina di poesie presenti nella prima edizione del 1914 mancano nelle edizioni successive e che le varie versioni di certune poesie sono decisamente dissomiglianti tra loro rispetto alla stesura definitiva del 1961.

 
Padre che muori tutti i giorni un poco
Padre che muori tutti i giorni un poco,
e ti scema la mente e più non vedi
con allargati occhi che i tuoi figli
e di te non t'accorgi e non rimpiangi,
se penso la fortezza con la quale
hai vissuto, il disprezzo c'hai portato
a tutto ciò che è piccolo e meschino,
sotto la rude scorza
l'istintiva poesia della tua anima,
il bene c'hai voluto alla tua madre
alla sorella ingrata, a nostra madre
morta,
tutta la vita tua sacrificata,
e poi ti guardo così come sei,
io mi torco in silenzio le mie mani.

Contro l'indifferenza della vita
vedo inutile anch'essa la virtù,
e provo forte come non ho mai
il senso della nostra solitudine.

Io voglio confessarmi a tutti, padre,
che ridi se mi vedi e tremi quando
d'una qualche attenzion ti faccio segno,
di quanto fui vigliacco verso te.

Benché il ricordo mi si alleggerisca,
che più giusto sarebbe mi pesasse
inconfessato sempre sopra il cuore.
E vivremo così in compagnia
dei maggiori fratelli, i fiumi e i boschi,
pacificati con la nostra sorte.

Perché ciò sia, sorella, io faccio patto
che il mio dolore duri quanto me,
anzi di giorno in giorno mi s'accresca.

Questo il sogno che faccio ad occhi aperti.

I miei occhi implacabili che sono
I miei occhi implacabili che sono
sempre limpidi pure quando piangono
Amicizia non vale ad ingannare.
Quando parliamo troppo forte o quando
d'improvviso taciamo tutti e due,
vedono essi il male che ci rode.
Col rumor della voce noi vogliamo
creare fra noi quel che non è;
quando taciamo non sappiam che dirci
ed apre degli abissi quel silenzio.
Allacciarci non giova con le braccia
se distinti restiamo ai nostri occhi.

A ingannarli non vali neppur tu,
Dolore. Quando allenti la tua stretta,
il mio padre e le mia sorella anch'esse
s'allontanano paurosamente.

Certe volte vedendo una bestiola
che lecca una bestiola e gioca seco,
mi morde il cuore una crudele invidia.

Con gli occhi vedo che mi sei negata,
gioia di voler bene a quelcheduno.

 
 
Stracci di nebbia lenti
Stracci di nebbia lenti
e ceneri d'ulivi.
Quasi a credere stenti
che vivi.

È la pioggia una ninna-
nanna di triste fanciulla;
al corpo che giace
la terra, una culla.

 
Magra dagli occhi lustri, dai pomelli
Magra dagli occhi lustri, dai pomelli
accesi,
la mia anima torbida che cerca
chi le somigli
trova te che sull'uscio aspetti gli uomini.

Tu sei la mia sorella di quest'ora.
Accompagnarti in qualche trattoria
di bassoporto
e guardarti mangiare avidamente!
E coricarmi senza desiderio
nel tuo letto!
Cadavere vicino ad un cadavere
bere dalla tua vista l'amarezza
come spugna secca beve l'acqua!
Toccare le tue mani i tuoi capelli
che pure a te qualcuno avrà raccolto
in un piccolo ciuffo sulla testa!
E sentirmi guardato dai tuoi occhi
ostili, poveretta, e tormentarti
domandandoti il nome di tua madre...

Nessuna gioia vale questo amaro:
poterti fare piangere, potere
pianger con te.

Talora nell'arsura della via
Talora nell'arsura della via
un canto di cicale mi sorprende.
E subito ecco m'empie la visione
di campagne prostrate nella luce...
E stupisco che ancora al mondo sian
gli alberi e le acque,
tutte le cose buone della terra
che bastavano un giorno a smemorarmi...

Con questo stupor sciocco l'ubriaco
riceve in viso l'aria della notte.

Ma poi che sento l'anima aderire
ad ogni pietra della città sorda
com'albero con tutte le radici,
sorrido a me indicibilmente e come
per uno sforzo d'ali i gomiti alzo... 

 

 
Svegliandomi il mattino, a volte provo
Svegliandomi il mattino, a volte provo
sì acuta ripugnanza a ritornare
in vita, che di cuore farei patto
in quell'istante stesso di morire.

Il risveglio m'è allora un alto nascere;
ché la mente lavata dall'oblio
e ritornata vergine nel sonno
s'affaccia all'esistenza curiosa.
Ma tosto a lei l'esperienza emerge
come terra scemando la marea.
E così chiara allora le si scopre
l'irragionevolezza della vita,
che si rifiuta a vivere, vorrebbe
ributtarsi nel limbo dal quale esce.

Io sono in quel momento come chi
si risvegli sull'orlo d'un burrone,
e con le mani disperatamente
d'arretrare si forzi ma non possa.

Come il burrone m'empie di terrore
la disperata luce del mattino.

Adesso che placata è la lussuria
Adesso che placata è la lussuria
sono rimasto con i sensi vuoti,
neppur desideroso di morire.
Ignoro se ci sia nel mondo ancora
chi pensi a me e se mio padre viva.
Evito di pensarci solamente.
Ché ogni pensiero di dolore adesso
mi sembrerebbe suscitato ad arte.
Sento d'esser passato oltre quel limite
nel qual si è tanto umani per soffrire,
e che quel bene non m'è più dovuto,
perché soffrire della colpa è un bene.

Mi lascio accarezzare dalla brezza,
illuminare dai fanali, spingere
dalla gente che passa, incurioso
come nave senz'ancora né vela
che abbandona la sua carcassa all'onda.
Ed aspetto così, senza pensiero
e senza desiderio, che di nuovo
per la vicenda eterna delle cose
la volontà di vivere ritorni.

 
Padre, se anche tu non fossi il mio
Padre, se anche tu non fossi il mio
padre,
per te stesso egualmente t'amerei.
Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno
che la prima viola sull'opposto
muro scopristi dalla tua finestra
e ce ne desti la novella allegro.
Poi la scala di legno tolta in spalla
di casa uscisti e l'appoggiasti al muro.
Noi piccoli stavamo alla finestra.

E di quell'altra volta mi ricordo
che la sorella bambinella ancora
per la casa inseguivi minacciando
(la caparbia avea fatto non so che).
Ma raggiuntala che strillava forte
dalla paura ti mancava il cuore:
ché avevi visto te inseguir la tua
piccola figlia, e tutta spaventata
tu vacillante l'attiravi al petto,
e con carezze dentro le tue braccia
l'avviluppavi come per scamparla
da quel cattivo ch’era il tu di prima.

Padre, se anche tu non fossi il mio
padre,
fra tutti quanti gli uomini già tanto
pel tuo cuore fanciullo t'amerei.

Taci, anima stanca di godere
Taci, anima stanca di godere
e di soffrire (all'uno e all'altro vai
rassegnata).
Nessuna voce tua odo se ascolto:
non di rimpianto per la miserabile
giovinezza, non d'ira o di speranza,
e neppure di tedio.
                                     Giaci come
il corpo, ammutolita, tutta piena
d'una rassegnazione disperata.

                    Noi non ci stupiremmo,
non è vero, mia anima, se il cuore
si fermasse, sospeso se ci fosse
il fiato...
                      Invece camminiamo.
Camminiamo io e te come sonnambuli.
E gli alberi son alberi, le case
sono case, le donne
che passano son donne, e tutto è quello
che è, soltanto quel che è.
La vicenda di gioia e di dolore
non ci tocca. Perduto ha la voce
la sirena del mondo, e il mondo è un grande
deserto.
                                     Nel deserto
io guardo con asciutti occhi me stesso.
 

 
Taci, anima mia. Son questi i tristi
Taci, anima mia. Son questi i tristi
giorni in cui senza volontà si vive,
i giorni dell'attesa disperata.

Come l'albero ignudo a mezzo inverno
che s'attrista nell'ombra della corte,
io non credo di mettere più foglie
e dubito d'averle messe mai.

Camminando solo
tra la gente che m'urta e non mi vede,
mi pare d'esser da me stesso assente.
E m'accalco ad udire dov'è ressa,
sosto dalle vetrine abbarbagliato
e mi volgo al frusciare d'ogni gonna.
Per la voce d'un cantastorie cieco
per l'improvviso lampo d'una nuca
mi sgocciolan dagli occhi sciocche lacrime
mi s'accendon negli occhi cupidigie.
Ché tutta la mia vita nei miei occhi
ogni cosa che passa la. commuove
come debole vento un'acqua morta.

Non sono che uno specchio rassegnato
che riflette ogni cosa per la via.
In me stesso non guardo perché nulla
vi troverei.

E, venuta la sera, nel mio letto
mi stendo lungo come in una bara.
 

Talor, mentre cammino solo al sole
Talor, mentre cammino solo al sole
e guardo coi miei occhi chiari il mondo
ove tutto m'appar come fraterno,
l'aria la luce il fil d'erba l'insetto,
un improvviso gelo al cor mi coglie.

Un cieco mi par d'essere, seduto
sopra la sponda d'un immenso fiume.
Scorrono sotto l'acque vorticose,
ma non le vede lui: il poco sole
ei si prende beato. E se gli giunge
talora mormorio d'acque, lo crede
ronzio d'orecchi illusi.

Perché a me par, vivendo questa mia
povera vita, un'altra rasentarne
come nel sonno, e che quel sonno sia
la mia vita presente.

Come uno smarrimento allor mi coglie,
uno sgomento pueril.
Mi seggo
tutto solo sul ciglio della strada,
guardo il misero mio angusto mondo
e carezzo con man che trema l'erba. 

 
 
- Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
- Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
- Poesie di Camillo Sbarbaro
- Testi e scelta delle poesie di Sara Cristofori e Antonio Ragone
- Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Camillo_Sbarbaro, "Camillo Sbarbaro - L'opera in versi e in prosa" a cura di G. Lagorio e V. Scheiwiller
- Editing:  Anna de Vivo
 
 

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