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Lingua italiana

In ricordo di Primo Levi, a 25 anni dalla morte

Chautauqua dello spazio e profondità nell’uso del grandangolo

 
            Ho visto il sole venire alle mani con la luce.

a volte

 
 
passarsi con gusto la lama
di un tempo trapassato sulle labbra
risveglia il presente in modo indicativo
 
 
 

" Come dire "...

asini.jpg
Solite storie
banali
elucubrazioni mentali
spasmi cerebrali
convulsioni del pensiero
stanche parole
illogici cruciverba
incauti sillogismi
tremebonde sinapsi
singulti dello spirito
occlusione delle immagini

C'è etichetta e... etichetta

L’etichetta intesa come “cartellino apposto su bottiglie, vasetti ecc. per indicarne il contenuto” oppure la “marca di fabbricazione” ecc. e l’etichetta nell’accezione di "cerimoniale" hanno la medesima “matrice” iberica pur avendo, per l’appunto, due significati distinti? La risposta è: sì e no. Ma vediamo di spiegarci. La maggior parte degli iberismi sono entrati nel nostro idioma attorno al Seicento. Proprio in quel periodo uno squisito scrittore – anche se non molto conosciuto – si recò in Spagna per studio e per diporto. Essendo un “uomo di mondo” ebbe modo di frequentare i salotti più raffinati e alla moda di quel Paese apprendendo, così, usi e costumi che “spedì” in Italia attraverso lettere indirizzate a parenti e amici.

Dovrebbe, il giorno

Non c’è altro
che uno spazio,
non c’è, non c’è

oltre l’atmosfera
che polvere miscelata
impastata diversamente coi gas, e freddo

è freddo
nella carne
la sera

dovrebbe, il giorno, scappellarsi
dal ridere

Allitterazioni

A mano bassa

a mano

giovinezza

dita a fumo,

aperte, chiuse

a libro a inanellare sogni

 

e sogni

su dei cieli

 

 

 

7/3/12 (diario)

 
 
Inattuabile allestirne una pira
quindi separo cose per la via del macero e cose
per una bara di cartone
 
il pegno è attraversarle tutte
 
Sulla scena del matrimonio
mi guardo le dita nascondere due volti

Corruttori e corrotti

 
Mai, come in questi ultimi anni, un vocabolo della nostra lingua è stato piú adoperato dai massinforma (stampa e radiotelevisioni) per mettere in evidenza il malcostume che ha imperversato (imperversa?) nel mondo politico: la corruttela, con corrotti e corruttori, naturalmente. Ma non è di questo fenomeno che intendiamo parlare, non è questa la sede adatta e non è nostro costume invadere il campo di sociologi ed esperti vari. Vogliamo parlare della “nascita” del corrotto sotto il profilo linguistico. Se apriamo un qualunque vocabolario alla voce in oggetto, leggiamo: scostumato, viziato, infetto, impuro. La persona corrotta, quindi, è moralmente “infetta”, vale a dire che il suo animo è stato guastato, infettato, disfatto - naturalmente in senso figurato - perché “corrotto” non è altro che il participio passato latino del verbo “cum-rumpere” (‘corruptus’, corrotto) e vale “disfare”, “guastare”.

Il gergo e il dialetto

 
Molte persone confondono il gergo con il dialetto, nel senso che li ritengono l’uno sinonimo dell’altro. Non è cosí, anche se i due termini possono essere considerati una lingua. Facciamo chiarezza, dunque, cominciando con l’esaminare il primo vocabolo: gergo. Sotto il profilo etimologico la voce, intanto, non è schiettamente italiana (o latina) ma francese, per la precisione il francese antico “jergon” o “jargon” (‘linguaggio degli uccelli’, quindi linguaggio ‘incomprensibile’). Il gergo, infatti, come lo definiscono i vocabolari, è “una lingua speciale usata dai membri di un gruppo che non vuole essere capito dal resto della comunità”, oppure “linguaggio convenzionale limitato a una ristretta categoria sociale” e per estensione “ogni linguaggio artificiosamente diverso dal linguaggio comune”.

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