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Marco Saya

 

l'intervista di Loredana Semantica a Marco Saya in esclusiva per Rosso Venexiano

Maria Rilke dice nelle sue "lettere ad un giovane poeta" di chiedersi prima di iniziare: morirei se mi fosse negato di scrivere? Si dice che la scrittura abbia origine in una fonte sotterranea alla quale lo scrittore attinge, nella quale torna ad immergersi per ritrovare intatta e viva la frattura da cui sgorga la scrittura. Anche per te è stato così? Ci puoi parlare delle origini della tua scrittura?

 

Nel mio caso la scrittura è sempre stata intimamente correlata con la musica. A dodici anni ho iniziato a studiare chitarra e negli anni successivi a scrivere testi. Ho sempre pensato, poi, che leggere una partitura musicale sia molto simile a scrivere una poesia dove la misura o la battuta corrisponde al singolo verso e all’interno del medesimo rigo scegliamo, dunque, la nostra libertà di espressione. E poi sono nati i siti di scrittura, un grande aiuto per tutti coloro che avevano anni ed anni di manoscritti chiusi nei propri cassetti. Per quello che attiene le fonti sotterranee ho sempre ritenuto che le parole così come le note debbano sgorgare in modo spontaneo, diretto e l’immersione avviene quando è la scrittura che ci chiama dall’inconscio di quella fonte e non viceversa. Oggi c’è una tendenza a produrre quantità industriali di versi quasi come se fosse necessario scrivere 365 liriche all’anno e questo sta a significare, sine ullo dubio, che le fonti sono spesso delle impalcature/sovrastrutture della nostra mente. Pensiamo a grandissimi autori/autrici che sono passati alla storia con una produzione “importante” di un massimo di 40-50 liriche!

Dal bisogno al sogno. C’è un momento nel quale lo scrittore si rende conto che oltre l’ispirazione scrivere può essere la strada, una via da percorrere, una scelta di vita. Quando hai acquisito questa consapevolezza? Consideri in questo senso la scrittura una sorta di vocazione?

La scrittura è sempre stata al pari della musica una scelta di vita “naturale”, un modo di essere e di comunicare, di vivere in modo spontaneo una professione che necessita di studio e preparazione. Tengo sempre la musica come riferimento; quando si inizia a suonare è importante, in parallelo, ascoltare di tutto e di più. Solo così con l’”ear training” ci si fa l’orecchio e si facilita l’apprendimento dello strumento. Così vale, forse, anche per le parole dove la lettura è fondamentale. Più si legge e più si acquisiscono tutti gli elementi per poter acquisire una sintesi dalla quale poter iniziare a sperimentare con le “proprie lettere”. Dunque non parlerei, nel mio caso, di vocazione ma di un graduale apprendimento e conoscenza della storia della letteratura così come della musica, in particolare del jazz, disciplina che si ripercuote spesso e volentieri nei ritmi frantumati e sincopati dei miei versi.

Quali sono le figure di riferimento della tua opera? Non solo tra i grandi, ma anche persone che sono state per te guide, punti d’appoggio o modelli. Ti viene in mente un nome al di sopra di tutti?

Le mie letture sono state le più variegate. All’inizio i testi cantautoriali mi hanno sicuramente “condizionato”, primo tra tutti Gaber e poi Leonard Cohen. Come trascurare poi tutta la Beat Generation da Kerouac a Gregory Corso a Ferlingheti? E poi venne la stagione e la lezione del grande Pasolini, fonte inesauribile di spunti e riflessioni, grande anticipatore del suo tempo (leggasi le sue Lettere Luterane). Le città e i segni di Calvino, un capolavoro di sintesi prosopoetica. Un nome su tutti? Eugenio Montale per quel suo quid,per quelle eterne domande che spesso si avvicinavano tremendamente alle soluzioni da sempre ricercate.

La ricchezza dei contenuti delle poesie di Emily Dickinson ha indotto a definire la sua opera una sorta di cosmogonia, gli scritti di Kafka sono pervasi da un senso di colpa incombente ed invincibile e tanto si è parlato del pessimismo cosmico leopardiano. Quale ritieni sia la nota distintiva o il tema ricorrente del tuo scrivere?

Penso che oggi la scrittura debba essere vicina al tempo che si vive, a questo nuovo millennio che, tra una tecnologia esasperata e i nostri passi che faticosamente arrancano, aspetta di essere rappresentato in tutta la sua complessità emotiva, nevrotica e aggiungo piuttosto confusa. Mi piace osservare, descrivere, quasi come un cronista armato di ironia ma anche di tanta amarezza , il caos del nostro tempo, partendo dalle piccole cose, dai singoli oggetti, feticci divenuti una nostra seconda pelle, dal nostro essere in questo mondo senza una vera identità, una sorta di cloni che attraversano questa vita senza rendersene conto. Che sia una totale assenza di valori? Molto probabile. C’è molta rassegnazione, a mio avviso, e quando descrivo la metropoli in cui vivo, Milano, mi soffermo spesso su questi sguardi fissi come delle biglie di acciaio che sembrano fisse nella loro vacuità, su questi pedoni , quasi degli automi, che consumano la loro fretta non godendosi il tempo della pazienza e che camminano con le teste reclinate come se cercassero la soluzione nella punta delle proprie scarpe, unico riferimento nel proprio nascondersi, insomma una blade runner del terzo millennio.

Si dice che scrivere, specie poesie, sia un’attività essenzialmente inutile, proprio per la sua peculiare incapacità di produrre beni materiali, per la sua natura afinalistica, eppure ad essa si dedicano ore ed ore al giorno. E’ così anche per te? Quali sono state le soddisfazioni che ti sono giunte per mezzo della scrittura? E cosa speri possa darti nel futuro?

Non bisogna illudersi troppo, specialmente per chi opera nel campo della poesia. Sostengo sempre che sarà il tempo, forse, a rendere soddisfazione a chi avrà parlato con un linguaggio universale e condiviso ma non omologato perché quest’ultimo è il rischio della poesia contemporanea.    Ci sono ancora troppo pochi lettori-lettori, la maggior parte sono autori-lettori che leggono solo se stessi, un grande circo di operatori che agisce nella propria solitudine. La rete amplifica questo fenomeno perché ci sono tre milioni di aspiranti scrittori per un potenziale pubblico di soli 5000 lettori e questi dati ci devono fare riflettere. Oggi scrivere non è solo comunicare ma è, a mio avviso, per molti un modo di esserci, di apparire a “tutti i costi”; forse la poesia dovrebbe riprendere più che mai lo spazio del proprio silenzio e ri-scriversi per ritrovare la propria identità. Ritornando alla domanda postami di soddisfazioni ne ho avute: a parte le pubblicazioni, quella di entrare in un circuito che mi offre la possibilità di spiegare “il mio modo di vedere le cose”. Mi aspetto solo che ci sia più unità di intenti nello scenario della poesia attuale, un gruppo di lavoro che condivida un “idem sentire” che sia il sentire dei più. La poesia non è affatto un’attività essenzialmente inutile, ritorniamo a Pasolini e alla sua poetica dell’impegno e ci renderemo conto come le parole possano essere essenziali e vitali per un ritorno alla democrazia delle parole e non solo.

Siamo quasi alla fine dell’intervista e questo punto ti chiedo: quale domanda ti sarebbe piaciuto ti fosse rivolta?

Mi sembra che abbiamo toccato tutti gli aspetti precipui, aggiungo e ritorno sulla funzione della rete. La rete è stata fondamentale per la mia diffusione poetica. Ho iniziato più di 15 anni fa a intasare i primissimi siti di scrittura che , allora, contribuivano a diffondere i miei scritti. C’è un fatto che penso di poter riscontrare e che si riallaccia poi con l’ultima domanda dell’intervista ovvero di una dicotomia sempre crescente tra un certo tipo di poesia, così come la conoscevamo e legata anche alla scolarità della lingua italiana, e la “bit-generation” poetica di questi ultimi anni dove nuovi linguaggi legati a una ricerca e sperimentazione della parola stanno emergendo prepotentemente (forse stiamo ritornando a una sorta di neo-futurismo sonoro-onomatopeico). Stiamo attenti agli ibridi, ovvero a quella poesia del copia-incolla di emozioni già copiate-incollate dal ‘300 in avanti che non giovano affatto alla poesia ma, al contrario, ne danno un’immagine distorta, confusa e anche di poca pulizia scrittorica. 

E per finire ci vuoi parlare di cos’è secondo te la poesia oggi?

La poesia sta sicuramente vivendo un dramma esistenziale e di propria riconoscibilità sino dagli anni 60-70. Molti affermano che la poesia è morta con Montale e Pasolini. Penso che la poesia debba essere identificabile da un proprio gusto e stile così come per la musica. Quando sento un disco blues di B.B. King dopo due note ne riconosco l’autore. L’originalità sta in questo, individuarne la paternità. Possiamo dire oggi, nel panorama della poesia attuale, che esista o esistano delle univocità di scrittura? Di quanti poeti possiamo dire, oggi, che dopo la lettura di pochi versi ne riconosciamo la fonte? La poesia oggi è, a mio avviso, in cerca di un proprio personaggio che corrisponda a quell’autore. Ma il personaggio deve ancora capire quale sia il proprio ruolo, il proprio impegno, l’essere dei soggetti sociali che incidono nel tessuto e non siano solo meramente passivi o totalmente indifferenti allo scorrere degli eventi. Ecco, oggi la poesia è ancora anonima, troppo nichilista, facciamo tutti in modo, per la sua stessa credibilità e sopravvivenza, di renderla veramente viva e partecipe.

 

Qualcosa su Marco Saya

Musicista jazz e poeta. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Bambole di Cera (2001) edito da Antitesi - Laura Vichi Publisher con il quale si è classificato secondo al concorso nazionale di poesia “La Cittadella” e al concorso internazionale “Victor Hugo”; Raccontarsi (2002) raccolta di poesie edita dall’Istituto Italiano di Cultura di Napoli, 4-poets, silloge poetica edita dalle Edizioni Il Filo (2003) e Noi, atomi alla ricerca di un nucleo (2005) sempre con le Edizioni Il Filo. È presente poi in diverse antologie tra cui segnaliamo: L’albero degli aforismi (2004), Il segreto delle fragole (2005) e L’antologia delle stagioni (2006) editi da Lietocolle; Swing in versi (2004) edito da Lampi di Stampa e Vicino alle nubi sulla montagna crollata (2007) edito da Campanotto. Ha collaborato poi con il mensile letterario Il Filo e ha condotto una rubrica musicale sul sito della Rizzoli Speaker’s Corner. Presenzia ad alcuni concorsi di narrativa e poesia in qualità di membro di giuria. È presente su tutti i più importanti siti di poesia, tra i quali Nazione Indiana e La poesia e lo Spirito, di cui è uno dei redattori; alcune sue poesie sono apparse ripetutamente sulla rubrica Lo Specchio curata da Cucchi. Raccoglie, poi, importanti risultati nei vari concorsi proposti (poesie segnalate nelle ultime due edizioni del premio “Lorenzo Montano”) È socio, infine, di Milanocosa. Disponibile l'ultima raccolta poetica dal titolo Situazione Temporanea edita da Puntoacapo editrice (dicembre 2008)

 

il suo blog: qui

 

 

-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Intervistato: Marco Saya [poesiaoggi]
-Intervista di: Loredana Semantica
-Redazione
-Editing e grafica: Manuela Verbasi
-Supervisione  grafica: Emy Coratti

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