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Orsonani

 
Ho conosciuto Raffaele nel marzo del 2004, quando sono venuto ad abitare nella casa di campagna, che la sorte ha voluto proprio di fronte alla sua.
Siamo diventati subito amici e perché quasi coetanei e perché lo spirito napoletano, che sostiene entrambi, ci ha fatto mettere da parte la diffidenza che si prova, in genere, per i vicini di casa, di cui non si sa assolutamente nulla. E' ancora un bell'uomo e riesce simpaticissimo, a prima vista, soprattutto alle donne. Ogni anno, Raffaele si reca nel suo paese natio, dal quale una decina di anni fa, dovette venir via, per incompatibilità ambientale, come usa dire. Il suo paese si trova alle falde del Vesuvio, e vi si reca per rendere omaggio ai suoi cari defunti: una sorella morta in giovane età e la madre, le uniche donne oneste, a sentir lui, di tutta la terra. Poi passa dalla nonna materna, che, sottolinea, è morta a 96 anni e, per ultimo, dal padre. Ma non ci va nei giorni di commemorazione dei defunti: non gli piace la ressa che si forma nei cimiteri in quei giorni, bensì una settimana prima, di solito il 23 o 24 ottobre. Anche quest'anno si sono ripetuti rito e richiesta di accompagnarlo. E già! Vuole che lo accompagni io, non perché non sa guidare(era autista di linea di autobus), ma da quando ha avuto un principio d'infarto, non si fida più di fare viaggi lunghi e chiama me. Di solito, già a ferragosto mi dice di non prendere impegni per il 23 o 24 ottobre, altrimenti non mi guarda più in faccia. Quest'anno, il 23 ottobre, di mattina presto, siamo partiti. Nelle due ore e mezza di viaggio abbiamo affrontato temi importanti di politica, di economia, di costume, di pettegolezzi dei vicini. Insomma, con Raffaele non ci si annoia. Dunque, occhio alla strada e orecchi attenti alla sua spicciola filosofia di vita, che non si trova in nessun libro, ma solo nell'esperienza di una vita vissuta in strada e di lavori faticosi iniziati da piccolo. Questa volta la sua attenzione è stata presa dalla grave crisi economica che sta interessando il mondo intero. “Per me – ha esordito, poco dopo che eravamo partiti - tutti questi economisti, che discutono di come uscire dalla crisi, non capiscono niente. So' tutti mariuoli. Sai cosa ci vorrebbe per rimettere le cose a posto? Ci vorrebbe un bell' orsonani su Montecitorio!” “Rafè, che è 'sto orsonani?” “Come, non lo sai? Quell'onda gigantesca che distrugge tutto: quella che viene dal mare.” “ Rafè, tsunami vuoi dire.” “ E io che ho detto?” “Ah sì? Orsonani e tsunami sono la stessa cosa secondo te?” “Ihhhhh! Comme 'a fai longa! L'importante è rendere l'idea, far capire il concetto di distruzione totale, per ricominciare tutto daccapo cu' perzone nove e leggi ad hocco.” “ Facciamo venire, allora, un bel secondo diluvio universale!” - gli dico di rimando e in segno di sfida, lanciandogli uno sguardo obliquo. “No! Il diluvio universale non va bene. Primo perché il padreterno, che non è fesso, ne ha già mandato uno e non è valso a niente. Secondo, perché tutti i ricchi si salverebbero: appena comincia a piovere insistentemente, capiscono l'antifona, corrono e corrompono Noè, mentre io e te, ca stamme disperati e senza sorde, facimmo 'a fine de' zoccole 'e fogna, affogati. Dev'essere una cosa locale, nostra: Montecitorio e basta! Ah, siente, primma che mme scordo: 'a semmana che trase, mi devi accompagnare da sciatatà” “Sciatatà? Rafè avimma 'i a Persia? Chi sarebbe 'sto sciatatà?” “Sei proprio ignorante, nun saje niente! Eppure hai studiato, vesti elegante, sai tenere bene la penna in mano. E' un negozio di divani, poltrone, te l'ho fatto vedere tante volte!” “Rafè, Chateau d'Arc!” “E io che ho detto?” “Rafè, sembrava c' avisse fatto 'nu starnuto!” “ Guagliò, tu badi troppo ai particolari. Devi essere più sciolto, più anticonformista, meno rigido.” Mi sorride e mi strappa un sorriso. “Ricordati pure che, prima di andare al cimitero, avimma passà addò scarparo, a via Gramìsc.” E' una strada nuova?” “No! Sta llà 'a quarant'anni.” “Sarà uno scienziato o un poeta straniero?” “Macché! E' italiano si chiama Antonio.” “ Oh Madonna! Rafè, Antonio Gramsci.” “E io che ho detto.” “Rafè, lo hai fatto diventare polacco.” “Quanno maje! Chill'era sì cummunista, ma sardagnuolo. Tsè! Polacco! E pulacche si chiammano Antonio? E quanno maje s'è vista 'na cosa 'e chesta? L'ho detto io: sei i-gno-ran-te! Alla prossima area di servizio fermete e m'uoffre 'o cafè, accussì te liev'o vizio 'e fa' o saputiello.” Mi guarda con i suoi occhi color del cielo e di nuovo mi sorride e mi strappa un altro sorriso.
 

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