11/09/2011 | [catpath] | Hjeronimus | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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11/09/2011

La giornalista Lucia Annunziata, donna intelligente un po’ moderata (direi da qualche motivazione a noi sconosciuta e a lei benigna…), ha detto oggi, anniversario dell’attacco a New York, qualcosa che sento oscuramente io stesso. Questa cosa che sente lei e che sento anch’io è la puzza della guerra. Oddio, guerre ce n’è sempre a iosa, basta guardarsi attorno. Ma questa puzza forte ha qualcosa di più drastico, di più totalizzante. Qualcosa di simile ai prodromi di una malattia, un tanfo lercio di scontro finale in cui tutte le idiosincrasie di tutti i bacati quarti di umanità collassano in una megagalattica frittata universale.
 

L’attacco di 10 anni fa era probabilmente l’ultimo atto della seconda guerra mondiale e, magari, il primo di qualcos’altro, che non è detto sia un altro conflitto come quello. Ma da allora, usciti dai deliri delle dittature, siamo entrati in una fase diversa ove il delirio non spaventa più nessuno.  È questo che sa di guerra, quest’oblio, questa “resurrezione” di una pazzia immacolata ed immemore come se non ci fossero mai state guerre. E i “bambini crudeli” di oggi, che la invocano, sono come sempre convinti delle proprie ragioni, delle proprie religioni e del “bene” per cui lottano e in nome del quale caleranno nuove e sanguinose tenebre sul nostro desolato orizzonte.
Fare il male per volere il bene- è tutto qui il fondamento su cui costruire un’ipotesi di apocalisse. E quante volte non si è già ripetuto, e quante volte non è già sembrato invece qualcosa di nuovo, sempre e di nuovo capace di smuovere e rimuovere le coscienze dal loro posto… così è da ciò che si ostenta come bene che possiamo aspettarci, che è possibile aspettarsi, apocalissi nuove di zecca, che di nuovo avranno soltanto, come dicono i cronisti, il “tempo reale”, il ”brivido della diretta”.  Verranno nuovi angeli del bene a infrangere del tutto questa pace incrinata e pericolante, e promettendo di nuovo il riscatto dell’umanità dal suo fallo più profondo, la getteranno in nuovi tritacarne, più efficienti e più potenti. E magari la sconfiggeranno del tutto.
Così, è dai segni del bene che affiora che dobbiamo cercare di estrapolare quelli della sventura che c’incombe sopra. Premettendo che qui noi non vorremmo che fosse così, che preferiremmo presumere di non avercelo quest’istinto, questa intuizione che ci avverte di quella puzza… che preferiremo per sempre essere cattivi profeti di sventura che invece grandi e veggenti premonitori della medesima.
In conseguenza di tali premesse ci è giocoforza muovere da quello che sembra il “migliore” dei segni offerti dal nostro tempo: la libertà che sgorga come un’insperata fiumana fra i deserti degli Arabi. Essi vivono come noi, sono uguali a noi: perché non dovrebbero rivendicare i nostri stessi diritti, la nostra stessa libera facoltà di scegliere e di plasmare il proprio destino?. Un amico mi ha detto che è tempo che la mano passi a loro, agli Arabi, così come per secoli è rimasta puro appannaggio dell’Occidente, massime anglosassone. Sento già un mare di obiezioni levarsi come onde oceaniche, obiezioni giuste o sbagliate che tuttavia non tiene conto neanche di confutare, perché sta da un’altra parte il bandolo del discorso. Cosa faranno questi uomini liberi, liberati dai loro “rais”, dai loro despoti e dai loro “Sandokan” anacronistici? Questa libertà, cosa libererà nei loro cuori ignoti, sinora zittiti dalla violenza della tirannia? Cosa troveremo dentro la libertà di chi fino adesso non possedeva neanche le parole per dirla?
Noi vorremmo, e speriamo, che all’anelito sincero di migliaia di giovani arabi che han rischiato e dato la vita per diventare uomini liberi, corrisponda un raziocinio calmo che li illumini nell’erigere il loro futuro. Sappiamo altresì che nel mare delle folle che reclamano il bene, vi sono i pescatori di frodo che pescano sempre meglio in acque agitate e torbide. Sappiamo di demiurghi demagoghi capaci di accaparrarsi tutto quest’oro e fonderlo in fango. E immaginiamo già l’esca, facile e disponibile, che vorranno gettare tra quelle folle. Si chiama: Israele. In questa scintilla c’è tutta la forza di un richiamo capace di far tremare il mondo. Che succederà se…, chi si alleerà con chi? Da che parte l’Occidente, da che parte l’Oriente? Ecco su che orli si è sporto il genere umano: basta una menoma ipotesi su una evoluzione possibile degli eventi per subodorare apocalissi eventuali e non più inverosimili, non più ripudiate e derubricate dall’agenda del mondo. 
Non abbiamo paura della libertà di chicchessia, al contrario la auspichiamo nella speranza che divenga davvero una pietra angolare del destino umano. Ma cogliamo segnali tragici, per così dire, di cui quell’anelito non è che uno specchietto per noi, allodole ottimiste che vogliono per forza credere nei “diritti dell’uomo”… mentre, nel sogno utopico e rivoluzionario di edificare il proprio diritto, ognuno inizia a calpestare quello altrui. 

 
 

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