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Pensieri

“ Eleonora, siamo arrivati alla fine, cosa ne pensi?”
Un momento di  confusione, la mente pronta a tornare sui suoi passi e tutta la realtà di fronte. Un battito di ciglia ed uno schiarimento di voce per guadagnare pochi attimi perché l’ultimo dei pensieri tornasse sulla giusta carreggiata.

“Credo sia fattibile, la squadra è compatta e non sembra ci siano problematiche caratteriali. In linea di massima, posso dare un giudizio positivo. La relazione è dettagliata e pronta, manca solo la vostra conferma per procedere e potete iniziare. La mossa tocca a voi ora.”
 
Un accenno di sorriso per concludere l’esperienza di  sei mesi sul campo, ore trascorse senza tregua. Infinite file di bicchieri vuoti sulla scrivania, segnali di troppi caffè presi quasi per prassi che per aiuto. Pile di appunti su cui il sudore e lo sforzo rimaneva indelebile per gli autori ma impercettibile per chi aveva di fronte.
 
Eppure era il suo lavoro, l’aveva scelta e l’aveva rincorsa finché gli si era arresa, sconfitta verso l’inevitabile: nessuna vita privata, nessuna sbavatura, nessun legame, nessuna vita sociale. Il lavoro e solo lui, le scaldava il cuore e la riempiva d’orgoglio ma per quanto tempo era andata avanti così? Troppo, veramente troppo ed ora,  proprio mentre chiudeva l’ennesima consulenza con modo pulito e diretto, si era resa conto che non poteva andarsene. Non quella volta.
 
La sera prima c’era stato qualcosa, non l’aveva immaginato. L’aveva percepito nel modo in cui la guardava massaggiarsi il collo dopo l’ennesimo allarme del corpo verso la stanchezza che reclamava un vero letto in una vera camera e non il solito stendere i muscoli seduta in scrivania. L’aveva  scoperto a spiarle la bocca ed il collo, verso la scollatura della camicetta di seta blu. Aveva rallentato i movimenti, lieta di essere osservata e per nulla conscia di quanto difficile fosse il percorso che stava decidendo di percorrere.
 
Lui non aveva scavalcato l’ostacolo per averla, una parola oppure un gesto e si sarebbe concessa ma tutto era rimasto nella sua mente ed ora, di fronte a tutti, sentiva di non aver più il controllo su quanto aveva provato. I dubbi iniziavano ad affiorare ed i suoi occhi lo rivelavano, si aspettava qualcosa ma non c’era modo di poter rimanere seduta ad aspettare. Troppe persone la fissavano in attesa che si congedasse ed era proprio quello che doveva fare
 
“A questo punto, credo non ci sia altro. E’ stato un vero piacere lavorare con tutti voi.”
Un’alzata simultanea, rumori d sedie mosse e fruscio di abiti mentre tutti cercavano la sua mano per concederle di andarsene. Sorrisi lieti e sguardi pieni di fiducia verso il futuro, senza di lei.
Non voleva nessun sorriso, chiedeva solamente di rimanere un attimo sola con lui ma le circostanze non lo permettevano ed era più che evidente. Tutti si aspettavano la sua rapida uscita per continuare la riunione raccogliendo i suoi risultati per poter sviluppare piani di lavoro che i prossimi mesi avrebbero permesso di far risalire scompartimenti aziendali poco produttivi e non competitivi.
 
Ogni tanto le faceva male ammettere di non poter salvare tutto ma, spesso, la riuscita o meno dei progetti dipendeva più dalle persone che dalle strutture e proprio le persone potevano essere le peggiori radici per far crescere alberi sani. Un nuovo sorriso verso quest’ultimo pensiero. Papà, lui aveva fatto in modo che sentisse sulla pelle quello che era diventata ancora prima d’imparare a leggere e scrivere e proprio lui soleva ripetere la frase che aveva fatto sua.
Chissà cos’avrebbe detto se avesse saputo  i pensieri che la sua mente ed il suo cuore le stavano sussurrando ora. Probabilmente che l’errore peggiore e più comune era proprio quello di mescolare lavoro con vita privata ma tant’è. Lei vita privata non ne aveva. Aveva smesso di tornare a casa, dopo l’incidente ed il periodo di lutto, non se la sentiva di rientrare in quelle stanze vuote e piene di ricordi. Così aveva messo tutto in vendita senza neppure impegnarsi troppo ed il risultato era che non aveva la minima idea sullo stato in cui si trovava lo stabile dopo mesi di assenza.
 
Sgombrare l’ufficio che le avevano assegnato, ecco cosa doveva fare per smettere di pensare. Quale modo migliore per cancellare dalla mente le sue mani, morbide ma un po’ trascurate a causa del brutto vizio di rosicchiare le unghie. Non tanto da renderle sgradevoli alle vista ma chiare nel segnalare nervosismo ed attività celebrale non scaricata in sforzi fisici. Eppure erano così belle. Come lo era lui. Dopo notti passate in ufficio la barba abbozzava un contorno sul viso che lo rendeva più umano e vulnerabile nonostante la camicia e la cravatta sempre perfettamente abbinate ai completi sartoriali. Gli occhi scuri e profondi, pieni di attesa mentre lei esponeva i piani di lavoro ed il confronto si faceva intenso a causa di punti di vista non sempre complementari.
 
Non doveva iniziare di nuovo a pensarci, doveva smetterla di concentrarsi sul suo profumo e capacitarsi del fatto che non lo avrebbe avuto. In fondo, era solo un desiderio, rimasto nascosto nella sua mente e doveva rimanere tale. Non c’era altra possibilità.
 
“Posso entrare?”
Un momento, questo non era previsto. Come poteva entrare nell’ufficio e trasmetterle di nuovo emozioni di ansia in pochi attimi? Tutto questo voleva dire solamente una cosa, ma proprio non poteva ammetterla, neppure con se stessa.
 
“Certo, nessun problema. Solo, sono in procinto di andarmene.”
 
“Lo so, è per questo che sono qui.”
Silenzio. Attesa e stupore, questo le si leggeva in faccia come un’adolescente poco avvezza ad approcci verso il mondo del corteggiamento così chiaramente trasmesso. Doveva dire qualcosa ma sembrava che le parole non volessero uscire, nascoste in fondo alla gola.
 
“Caro sei qui, sai che le persone si agitano se ti allontani per troppo tempo. Dobbiamo finire la riunione altrimenti anche per oggi non concludiamo e ne ho veramente bisogno.”
Una mano sulla spalla ed il corpo proteso verso di lui, chiari segnali di possessione e di necessità di delimitare gli spazi. Tutto trasmetteva la cognizione del pericolo verso di lei e la stanza aveva un carico di tensione forte come un macigno.
 
“Si… sono qui. Andiamo.”
Uno sguardo, un unico sguardo per confermarle che non aveva sbagliato e che i segnali erano corretti. Tutto quello che avevano provato era reale ma non realizzabile.
 
Ora era sola, con i suoi pensieri ed il suo tremendo bisogno di non esserlo che continuava a serrarle la gola. Ma così doveva andare e non c’era motivo per creare problemi.
 
L’ultimo pensiero prima di spegnere le luci in quella stanza non sua.
 

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