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i morti chiedono giustizia

Soggetto per lungometraggio
Daniele ravaioli e Mirko tondi
 

introduzione

Premessa: la prima parte del film trae ispirazione da fatti realmente accaduti a Siano, in Calabria. Nomi e cognomi non sono stati volutamente citati, anzi sono stati attribuiti nomi fittizi. Tuttavia, le faccende sono documentate dagli atti delle forze dell’ordine. Molti siti e blog si sono occupati di questa vicenda, offrendo un resoconto dei fatti.
La seconda parte, quella che si sviluppa a partire dai giorni nostri, invece, è storia di pura fantasia, che utilizza gli eventi come spunto per un intreccio cinematografico.

Soggetto

1936. Borgata di Siano, Catanzaro. Nel paese si svolgono scene quotidiane, tra gente che passeggia per le strade, lavoratori, anziani seduti su delle sedie accanto alle loro abitazioni. Nella zona rurale si vedono contadini al lavoro mentre arano i campi e coltivano le terre. Poi, spostandoci progressivamente dall’alto e seguendo i lunghi pilastri di un ponte, notiamo qualcosa a terra. Avvicinandoci, si vede con chiarezza il cadavere di un giovane.
I mezzi di soccorso accorrono a rimuovere il corpo senza vita. Si scopre presto che si tratta di Francesco Giussano, un ragazzo benvoluto da tutti. La polizia intanto compie le sue normali rilevazioni.
La voce si diffonde in paese e lo sconcerto generale appare evidente. Scene di amaro stupore si susseguono ad altre di dolore profondo. Tutti conoscevano il ragazzo all’interno della borgata.

Qualche giorno dopo. Sin dai primi accertamenti, la polizia pensa a un suicidio del ragazzo. Emerge evidente, dai dialoghi di coloro che sono impegnati nel caso, che tutti sono concordi nel non avere dubbi sull’ipotesi del suicidio.

Mesi dopo. Il fatto viene archiviato come suicidio, senza procedere ulteriormente nelle indagini. Rimangono ignoti per i familiari del ragazzo i motivi di un tale gesto, ma dalle loro parole non si può che scorgere una quieta rassegnazione per quanto accaduto.

1939. Ponte di Siano. Un'anziana signora e la nipote, Adelina Barbanti, una ragazza di diciassette anni, stanno camminando sul ponte. La ragazza rimane indietro rispetto alla nonna, fermandosi poi, come in trance, sul bordo a fissare in basso. La ragazza non risponde ai numerosi richiami della nonna, che ha ormai percorso l’intero ponte. A un tratto la nipote accusa uno svenimento. L’anziana signora si appresta a soccorrerla.
Una volta a casa, nel proprio letto, la ragazza comincia a chiamare la madre. Non ha la solita voce di sempre, però. Anzi, ha un timbro decisamente maschile. Inoltre, appena giunge la madre, lei non la riconosce. Sostiene che quella sia una sconosciuta e che sua madre si chiami Carmela Giussano, cognome che in realtà corrisponde a quello di Francesco Giussano, il ragazzo ritrovato tre anni prima ai piedi del ponte. La madre e la nonna della ragazza cercano di farla ritornare in sé, parlandone e tentando di convincerla che lei sia in verità Adelina Barbanti. Ma la ragazza continua a cercare insistentemente Carmela Giussano. Si fa dare dunque il necessario per scriverle un biglietto, chiedendo che le venga consegnato al più presto. Ciò che risulta di seguito è ancora più sconvolgente: la calligrafia della ragazza è totalmente diversa dal solito, tanto che la madre a fatica riesce a leggere ciò che è scritto sul biglietto: “Madre cara, sono stato assassinato”.
Alcune ore dopo, la voce si è già sparsa nel circondario. Giunti presso la casa dei Barbanti, molti abitanti del luogo mostrano la loro curiosità per l'accaduto, presentandosi l'uno dopo l'altro alla porta. Tra la folla, si fa largo una donna. Dai mormorii che la circondano, si intuisce che si tratti di Carmela Giussano, arrivata fin lì dopo la richiesta esplicita della madre di Adelina. La donna viene fatta entrare e viene condotta in camera della ragazza, dove viene subito riconosciuta come madre e abbracciata con calore. Adelina parla a Carmela Giussano, esprimendo tutta la sua gioia. La voce della ragazza è ancora maschile, assolutamente lontana dal suo timbro originale. Carmela Giussano, da parte sua, è in pratica allibita da quanto le sta succedendo; non esita infatti a riconoscere la voce di suo figlio in quella emessa dalla ragazza. Peraltro, poco dopo, le viene mostrato il biglietto e, anche in questo caso, la donna si meraviglia notevolmente: la calligrafia è senza dubbio quella di suo figlio, Francesco Giussano, e il contenuto del messaggio è disarmante. La donna scoppia in lacrime e abbraccia Adelina. A questo punto, la ragazza sussurra qualcosa nell'orecchio di Carmela. La donna la guarda negl'occhi e annuisce, dopodiché va alla porta, la apre e dà un'occhiata fuori all'indirizzo dei curiosi. Tra questi chiama quattro ragazzi, chiedendo la cortesia di entrare. I ragazzi sono accorsi lì per il tumulto, ma non hanno bene idea di cosa stia per succedere. Quando i quattro ragazzi arrivano in camera da letto di Adelina, quest'ultima parla loro ancora con la voce di Francesco. I quattro, amici del defunto Francesco Giussano, impallidiscono letteralmente. Adelina ora fa ai ragazzi una richiesta esplicita: gli chiede di fare una partita a carte, a briscola, come ai vecchi tempi. I quattro si mostrano titubanti, ma poi accettano.
Le immagini ci portano a poco dopo, nella cucina dell'abitazione. Lì Adelina e i quattro ragazzi sono seduti a un tavolino. Intorno i parenti di Adelina e la signora Giussano. Vediamo Adelina bere vino e fumare con disinvoltura, mentre sua madre mostra il suo stupore e commenta di non averla mai vista né bere né fumare. La partita viene intrapresa, e Adelina si mostra scaltra anche nel gioco. Poi, durante una pausa, invita uno dei ragazzi a riempirle il bicchiere vuoto, domandando se non vogliano farla bere fino a ubriacarla. Ecco che i quattro ragazzi hanno un comune sussulto. Adelina, infatti, parlando come il ragazzo defunto, rivela particolari della vicenda che nessuno, a parte Francesco, potrebbe conoscere. Dice che furono proprio gli amici a farlo ubriacare, percuoterlo fino alla morte e poi a trascinarlo sotto il ponte. Qui le immagini si interrompono, sul volto colpevole dei quattro ragazzi e le facce sconvolte dei parenti di Adelina e Francesco.
Il giorno seguente, assistiamo a dei sopralluoghi da parte dei carabinieri. Ci troviamo alle pendici del ponte, dove Adelina, sempre con voce maschile, spiega come si sono svolti i fatti: Francesco, ormai ubriaco, sarebbe stato colpito con una pietra in strada e avrebbe perso i sensi; i quattro avrebbero infierito sul suo corpo fino a ucciderlo e infine l'avrebbero trascinato sotto il ponte per inscenare un suicidio. Avrebbero fatto tutto questo perché gelosi di Francesco, della sua bellezza, delle sue conquiste con le ragazze.
La madre di Giussano ascolta impietrita. Una volta raccontato il fatto, Adelina si toglie il cappotto e lo dispone sul suolo allo stesso modo e nel punto esatto in cui era stato ritrovato quello di Giussano. I carabinieri assistono alla scena. Infine Adelina, ormai esausta, perde i sensi e sviene.
Quando la ragazza si riprende, tra le braccia della madre, sembra a dir poco spaesata. Adesso però parla di nuovo con la sua voce. È dunque ritornata in sé. Tuttavia, non ha alcun ricordo di quanto le è accaduto.

2011. All'interno di una stazione di polizia, un instancabile viavai di agenti, mentre altri invece sono seduti a una scrivania e impegnati al computer. Tra quest'ultimi, il commissario Maresca: uomo sulla cinquantina, dall'aspetto vissuto, non esattamente in piena forma fisica. Maresca consulta dei dati al computer, quando viene interrotto dall'arrivo di un agente. Giunge dunque la notizia che sia stato ritrovato un ragazzo ai piedi del ponte di Siano. Il commissario mobilita la sua squadra e nel giro di pochi istanti tutto è pronto per recarsi sul luogo indicato.
Sotto il ponte, gli agenti lavorano alacremente per le consuete rilevazioni. Il commissario Maresca, invece, osserva mentre il corpo della vittima, Gaetano Lavieri, un giovane abitante del luogo, viene coperto e successivamente portato via. Il commissario poi guarda in alto, verso la vetta del ponte. Un suo agente gli si avvicina e gli dice che quel ponte, negl'ultimi 75 anni, ha visto il verificarsi di molti suicidi. Tuttavia, aggiunge l'agente, erano diversi anni che qualcuno non si gettava da lì. Il commissario, che è stato trasferito in quel luogo da poco e non conosce le storie legate al ponte di Siano, intrattiene una conversazione con l'agente, dalla quale si evincono le leggende che circolano attorno ad alcuni casi in particolare. Maresca si mostra interessato al racconto.
Tornati ora al commissariato, vediamo Maresca documentarsi sulle vicende del ponte di Siano, che ormai tutti definiscono “il ponte maledetto”. Raccolto del materiale, vediamo tra le mani del commissario vecchi articoli di giornale, trafiletti vari, racconti stampati dai blog e dai siti internet. Il commissario pare sempre più incuriosito dalle storie collegate al ponte. Si concentra in particolare su una di quelle storie, che poi scopriamo essere quella di Francesco Giussano e Adelina Barbanti. Il commissario si concentra anche su documenti che si riferiscono agli atti processuali; in questi viene descritto come, nonostante il processo fosse stato riaperto in seguito alla vicenda della Barbanti, i presunti assassini di Giussano non poterono essere condannati. Quanto raccontato dalla ragazza, infatti, anche se in preda a una ipotetica possessione dello spirito della vittima,  non poteva costituire atto di prova dell'omicidio. Il caso Giussano, tuttavia, venne archiviato per omicidio e non più per suicidio.
E proprio nel momento in cui la scrivania di Maresca è sommersa dal materiale sulle vicende e lui è assorto nelle letture dei casi, un agente arriva a comunicargli che una signora ha chiesto insistentemente di vederlo. La signora in questione sostiene di avere notizie in merito al caso del ragazzo trovato ai piedi del ponte, il giovane Gaetano Lavieri. Il commissario si mostra favorevole ad accoglierla, e poco dopo avviene il loro incontro. La donna, Maria Luisa Artusi, che ha superato la sessantina e appare decisamente trasandata, con dei vestiti stropicciati, una vecchia spilla a forma di coccinella sul petto, i capelli scombinati e il trucco sbavato, si presenta agitata e sconvolta. Afferma subito di conoscere la verità sul caso di Lavieri, sostenendo che il ragazzo non si sia buttato dal ponte. Il commissario cerca di farla calmare, dicendo alla donna che anche lui trova interessanti le storie che circolano attorno a quel luogo, ma che non bisogna lasciarsi impressionare dalle leggende. La incoraggia dunque ad abbandonare il suo ufficio, rassicurandola che la polizia svolgerà i regolari accertamenti e che le indagini porteranno senz'altro a una spiegazione di come si sono svolti i fatti. È qui che la donna trasale, rispondendo in malo modo al commissario. Lo taccia di superficialità, suggerendogli di ascoltarla poiché lei sa come si sono svolti realmente i fatti.  Il commissario, convinto di essere di fronte a uno dei tanti mitomani, dice alla donna di non fargli perdere tempo, quindi di andarsene. La Artusi invece continua con la sua invettiva, fino a rivelare di essere una medium; afferma di comunicare con i morti, e che in questo caso lo spirito di Gaetano Lavieri l'ha contattata per confessargli di essere stato ucciso. Ora il commissario appare più conciliante. Chiede alla donna di raccontargli tutto, anche se afferma di non credere di solito a storie di spiriti e fantasmi. La donna a questo punto racconta che lo spirito di Lavieri la stia perseguitando. Espone poi un resoconto della scena delittuosa: sarebbe stato il padre di Gaetano a ucciderlo, in seguito all'ennesima lite avvenuta tra loro. Il commissario congeda ora la donna, ringraziandola per quanto riferito e promettendo di coinvolgerla se ci saranno le basi per ritenere che i fatti da lei esposti possano servire in ambito di indagini. Maria Luisa Artusi lascia l'ufficio di Maresca con questo ammonimento: «Commissario, si ricordi che i morti chiedono giustizia». Vediamo dunque Maresca riflettere sulla frase della donna.
Nella scena seguente, il commissario si trova in una sala d'attesa mentre sfoglia una rivista. Dalla copertina capiamo di che genere di rivista si tratti; il titolo infatti è “Metapsichica”. Un attimo dopo Maresca viene introdotto da una segretaria presso uno studio. Lì lo aspetta un uomo dall'aspetto distinto, elegante. Dal colloquio che segue, si capisce che egli sia il presidente dell'associazione di Metapsichica italiana. I due entrano subito nel vivo della faccenda, parlando dei casi legati al ponte di Siano. Si parla, in particolare, sia dell'omicidio di Giussano del 1936, sia di quello di Lavieri, avvenuto recentemente. Il commissario chiede se sia possibile parlare di possessione da parte di spiriti. Il presidente è ovviamente favorevole a questa ipotesi, adducendo anche la teoria dell'impregnazione psichica. Secondo questa teoria specifica, nel momento in cui si verifica un trapasso, specie se di natura violenta e improvvisa, la vittima può emettere onde cerebrali molto intense, onde che finiscono per impregnare il luogo della morte e danno origine a fenomeni a tutti gli effetti paranormali. Maresca è affascinato da questa ipotesi, ma da parte sua, essendosi ben documentato, aggiunge l'eventualità che una personalità come quella della Barbanti, debole e impressionabile, potrebbe essere stata suggestionata a tal punto da incarnare le caratteristiche reali del defunto. Certo ciò comunque non spiegherebbe il fatto di essere a conoscenza di dettagli di cui solo la vittima avrebbe potuto essere al corrente. Il colloquio tra i due si conclude. Maresca ringrazia per la consulenza e il suo interlocutore gli augura un in bocca al lupo per le indagini.
Di nuovo nel suo ufficio, il commissario è ora insieme al padre di Gaetano, Ferdinando Lavieri. Ciò che segue è un interrogatorio per capire il reale coinvolgimento dell'uomo nel presunto omicidio del ragazzo. Maresca pone di fronte a Lavieri i dati di cui è già a conoscenza. Sa, per esempio, che viveva insieme al figlio, mentre la moglie è scomparsa qualche anno prima per una malattia. Sa anche che padre e figlio gestivano un panificio, ed era Ferdinando, di solito, a recarsi di notte presso il negozio per preparare il pane e poi stare lì le prime ore del mattino. Dalla tarda mattinata in poi era Gaetano a dargli il cambio e a gestire la normale clientela. Sa, inoltre, che i due litigavano spesso, cosa che è stata anche confermata dai loro vicini, dati i toni alti delle loro voci. Ma il commissario Maresca, indagando sul passato dell'uomo, è venuto soprattutto a sapere che c'è stato un periodo che egli ha trascorso in carcere. Lavieri, poi risultato innocente, era stato inizialmente condannato per aver investito e ucciso un uomo. Tuttavia, da ulteriori indagini, era risultato che Ferdinando Lavieri non avrebbe potuto evitare l'impatto con la vittima dell'incidente, spuntato all'improvviso mentre correva in strada. Dunque Lavieri era stato assolto e scarcerato.
Lavieri ovviamente ammette quanto riferito da Maresca e ribadisce la sua innocenza, parlando di una vera e propria fatalità. Procedendo oltre con l'interrogatorio, poi, si passa a parlare della notte in cui il figlio è scomparso. Lavieri ammette senza problemi che la sera aveva avuto l'ennesima discussione col figlio, adducendo un'incompatibilità caratteriale con lui. Sostiene inoltre che quella notte, in maniera del tutto eccezionale, era stato proprio il figlio a essere incaricato di aprire il negozio al posto suo; Ferdinando Lavieri assicura di non essersi sentito bene, quella notte, e di aver accusato dei sintomi influenzali. Dunque Gaetano lo avrebbe sostituito per aprire il panificio. Dopodiché Lavieri riferisce un fatto che potrebbe essere utile in qualche modo alle indagini. Dice che poco dopo l'uscita del figlio, che avrebbe raggiunto a piedi il panificio di lì poco distante, ha sentito un'auto mettersi in moto e ha visto accendersi i fanali. Lavieri conosce le abitudini dei vicini di casa, e sa che a quell'ora della notte nessuno di loro esce mai. Perciò Lavieri prospetta a Maresca l'ipotesi che suo figlio sia stato seguito e forse ucciso da qualcuno. Il commissario pare riflettere su questo nuovo dettaglio, quindi congeda Lavieri.
Nelle scene successive Maresca parla con alcuni amici di Gaetano Lavieri, chiedendo se siano a conoscenza di screzi da segnalare, qualcosa che potrebbe essere considerato il movente per un omicidio. Uno di loro afferma che Danilo Coppoletta, un ragazzo della compagnia, avrebbe avuto un forte scontro con Lavieri qualche giorno prima che quest'ultimo fosse trovato morto. Il motivo del litigio sembra sia stato una donna contesa tra i due. Il commissario Maresca ringrazia il gruppo di ragazzi e li avvisa che farà ulteriori accertamenti su quanto hanno detto.
Maresca va ora in cerca di Coppoletta; gli hanno riferito che può trovarlo presso una sala biliardo, ma lì non lo rintraccia. Qualcuno allora gli dice che il ragazzo doveva andare dal carrozziere per far riparare la sua auto. Una volta indicatogli l'indirizzo del carrozziere, Maresca abbandona la sala da biliardo. Presso il carrozziere, il commissario incontra finalmente Danilo Coppoletta. Il ragazzo è lì per far sistemare la sua auto; sostiene che qualche notte prima abbia urtato all'improvviso un grosso cinghiale. L'auto di Coppoletta, in effetti, presenta la parte anteriore, compreso il fanale destro distrutto, praticamente accartocciata. Maresca invita comunque il ragazzo a uscire dalla carrozzeria, con l'annuncio di dovergli rivolgere alcune domande circa i suoi rapporti con Gaetano Lavieri. Il ragazzo accetta senza problemi e insieme al commissario esce dalla carrozzeria. Lì Maresca chiede conferma riguardo all'episodio dello scontro con Lavieri, e Coppoletta conferma. Aggiunge però che lui e Gaetano si sono chiariti il giorno seguente, perché si è trattato solo di un equivoco legato a una ragazza che Coppoletta stesso frequenta. Maresca anche in questo caso ringrazia e congeda il ragazzo.
Maresca fa ora sosta a casa della Artusi. Suona al campanello ma inizialmente non viene nessuno ad aprire. Il commissario si sposta al garage adiacente, attratto dai disegni di alcune coccinelle sulla saracinesca. Adesso la Artusi apre la porta e si accorge della sua presenza. Lo invita a entrare. Maresca è lì per un motivo preciso, ovvero per avere chiarimenti sul modo in cui Gaetano Lavieri, secondo lei, sarebbe stato ucciso dal padre. La Artusi ribadisce che ogni cosa da lei raccontata gli è stata riferita dallo spirito di Gaetano, entrato in contatto con lei perché si conoscesse la verità circa la sua morte. Maresca sembra darle più credito rispetto a quando si sono visti la prima volta nel suo ufficio. La donna parla di un aspro litigio avvenuto tra  padre e figlio, perché Gaetano è venuto a conoscenza di un'ingente cifra di denaro sborsata periodicamente da suo padre per pagare il pizzo a una cosca di malavitosi. In seguito a questo litigio, dunque alla minaccia di Gaetano di denunciare il fatto alla polizia e al conseguente rifiuto da parte del padre, ci sarebbe stata una colluttazione tra i due. Ferdinando Lavieri, con un gesto inconsulto, avrebbe colpito alla testa il figlio mediante un oggetto contundente, ne avrebbe trasportato il corpo con l'auto fino al ponte, poi lo avrebbe gettato di sotto per inscenare il suicidio.
Maresca riflette sulle parole della Artusi. Nel suo girovagare con gli occhi, vede ovunque statuette di coccinelle, riproduzioni di varia misura e soprammobili di vari materiali. Nota anche la spilla con la coccinella appuntata sul petto della Artusi, comunque una diversa rispetto al giorno in cui la donna si recò in commissariato. Alla domanda di Maresca circa questa strana passione, Maria Luisa Artusi risponde dicendo che le coccinelle siano per lei gli animali più preziosi, credendo al fatto che portino fortuna.
Chiusa la conversazione con la Artusi, Maresca è di nuovo in strada e riprende l'auto. Di ritorno verso il commissariato, comincia a pensare agli elementi raccolti finora, scuotendo la testa come in preda alla rassegnazione. Nel suo percorso, passa davanti al panificio di proprietà dei Lavieri e decide di fermarsi. Il panificio è ancora chiuso per lutto, ma a Maresca interessa più che altro esaminare la zona intorno al negozio. Compie una panoramica con lo sguardo, cercando qua e là un elemento che possa attrarre la sua attenzione. Finalmente riesce a vedere qualcosa che lo colpisce. Adiacente a un marciapiede riscontra il frammento del fanale di un'automobile. Maresca si mostra ora pienamente soddisfatto della scoperta. Subito dopo nota un signore anziano uscire dall'appartamento che affianca il panificio; si avvicina e, presentatosi come commissario di polizia, gli chiede se abbia sentito qualcosa di strano nelle notti precedenti. L'uomo allora dice che di solito è facile per lui, avendo il sonno molto leggero, udire il rumore della saracinesca del panificio che si alza, ma una notte in particolare non ha sentito quel rumore. Ha sentito invece, alla stessa ora in cui solitamente viene aperto il negozio, un botto molto forte, che non ha saputo identificare. Ciò che ha saputo identificare è il rumore della portiera di un'auto pochi istanti dopo. Una volta affacciatosi, poi, l'uomo non è riuscito a vedere niente. Maresca pare ancora più convinto di sé, adesso.
La stessa notte, il commissario sta dormendo e fa uno strano sogno: vede Gaetano Lavieri ancora vivo cadere giù dal ponte, poi sfracellarsi al suolo; poco prima di morire, il pugno del ragazzo si apre e lascia andare qualcosa, qualcosa che luccica nel buio ma che Maresca non riesce a distinguere bene. Il commissario si alza subito dopo, avvolto da una sensazione inquietante.
Il giorno seguente siamo di nuovo al commissariato. Qui Maresca interroga per la seconda volta Ferdinando Lavieri. Gli chiede della questione legata al pizzo che gli stanno estorcendo; Lavieri ammette a fatica. Dice al commissario che in effetti suo figlio voleva denunciare la situazione, mentre lui aveva paura di ritorsioni e quindi era contrario. Questo fatto ha causato molti dissapori tra loro. Maresca a questo punto chiede a Lavieri se conosca Maria Luisa Artusi. Lavieri pare pensarci, ma poi sostiene che quel nome non gli suoni familiare. Maresca allora gli comunica che si tratta di una sedicente medium. La donna avrebbe descritto nei dettagli il momento della morte del figlio, accusando proprio lui. Tuttavia, Maresca lo rassicura dicendogli che ciò non costituisce prova incriminante e soprattutto che i rilievi eseguiti a casa sua e nella sua auto non coincidono con quanto affermato dalla medium (Maresca approfondisce dicendo che a casa Lavieri non sono stati riscontrati segni di colluttazione, né è stato ritrovato un oggetto contundente con tracce di sangue. Sangue che poi non è stato trovato nemmeno nell'auto di Lavieri, ammesso che lui avesse trasportato con l'automobile il corpo del figlio fino al ponte). Maresca aggiunge che in realtà suo figlio non aveva motivi reali per suicidarsi, e che i vicini del panificio riferiscono di aver udito un rumore che potrebbe essere collegato alla morte di Gaetano. L'ipotesi dell'omicidio dunque è più che mai viva.
Maresca si reca ora di nuovo presso la carrozzeria in cui aveva incontrato Coppoletta. Lo vediamo consultarsi con il carrozziere circa il pezzo di fanale da lui ritrovato. Il carrozziere si avvicina all'auto di Coppoletta e confronta il frammento, ma poi scuote la testa in segno di riscontro negativo. La prossima tappa del commissario è dunque il luogo del ritrovamento di Gaetano Lavieri. Osserva bene tra i sassi se riesce a scorgere qualcosa. Intanto le immagini del sogno gli ritornano in mente e si fondono alla realtà. Abbassandosi, ora, i suoi occhi vengono rapiti da un oggetto che brilla in mezzo ai sassi. Lo afferra e lo impugna. Emette un piccolo sorriso.
Di nuovo di fronte all'abitazione della medium. Lavieri suona ma nessuno arriva ad aprire. Anche stavolta è attratto dal garage. Si avvicina e solleva la saracinesca. Entrato, chiude e accende la luce. Lì trova un'auto coperta. Solleva pian piano il telo che la ricopre ed ecco spuntare un'evidente ammaccatura frontale, e il fanale rotto che ha perso dei frammenti. Il tempo di accorgersi di questo dettaglio e il commissario viene stordito improvvisamente da un potente colpo alla nuca.
Quando si risveglia, si ritrova legato mani e piedi a una poltrona in casa di Maria Luisa Artusi. La donna lo osserva con disprezzo e gli punta addosso una pistola. Gli dice che ha ficcato troppo il naso e che ora dovrà necessariamente ucciderlo. Con la pistola fissa su di lui, comincia a urlargli contro, dicendo che il suo era un piano perfetto. Sta quasi premendo il grilletto, quando qualcuno sfonda la finestra e si getta addosso alla donna: è Ferdinando Lavieri. C'è una colluttazione, poi parte un colpo. Per qualche istante non si capisce chi sia stato colpito, poi si vede Lavieri rialzarsi mentre la Artusi rimane agonizzante a terra. La donna emette un ultimo respiro e muore.
Lavieri libera il commissario e gli confessa di essersi ricordato in seguito il nome: era la stessa donna alla quale aveva investito il fidanzato molti anni prima. Realizzato quello, si era recato dalla donna nel tentativo di parlare con lei, ma una volta lì aveva udito le grida della Artusi, avevo scorto dalla finestra la scena e aveva agito per salvare il commissario.

Qualche giorno dopo, presso il commissariato. Maresca si trova davanti a Lavieri e lo ringrazia ancora per avergli salvato la vita. I due hanno un dialogo nel quale esprimono il loro sconcerto per la vicenda. Il commissario poi apre il pugno e fa vedere l'elemento che ha condannato Maria Luisa Artusi: la spilla di una coccinella. Dice a Lavieri (parafrasando quanto gli aveva detto la Artusi) che le coccinelle portano davvero fortuna, poi aggiunge  che, per quanto si possa escludere un intervento del paranormale in tutta la faccenda, Gaetano è realmente apparso nei sui sogni ad aiutarlo per trovare una svolta nelle indagini. Quindi qualcosa di inspiegabile, di ultraterreno, in tutto l'intrigo c'è, e rimane. I due si congedano, stringendosi la mano. Poco prima che Lavieri abbandoni l'ufficio, Maresca gli dice un'ultima cosa: “I morti chiedono giustizia. E stavolta l'hanno avuta”.
Serie di Flashback esplicativi: La Artusi è giovane e vede da lontano che un'auto investe il suo fidanzato. Dall'auto esce un uomo: si tratta di Ferdinando Lavieri. Mesi dopo, Maria Luisa Artusi non è più la stessa: si lascia andare, è trasandata, sciatta, in un tunnel di paranoia e ossessione. La vediamo nel corso degl'anni programmare una dolorosa vendetta. Si mette a spiare regolarmente Lavieri, fuori dalla sua abitazione. Ascolta le grida e viene a conoscenza dei litigi tra padre e figlio, del pizzo che Ferdinando paga e dei dissidi con Gaetano in merito alla questione. Una sera è lì a spiarli. Poi si addormenta. Viene risvegliata dal rumore della porta di casa Lavieri che si chiude. Decide che quella è la notte buona per agire. Dopo poco accende l'auto e segue quello che lei crede Ferdinando. Ma in realtà si tratta di Gaetano. Fa freddo e il ragazzo indossa un cappello, una sciarpa fino al naso e un grosso giubbotto; lei non lo può riconoscere. Quando Gaetano attraversa la strada per andare al panificio, lei lo investe violentemente con l'auto. Esce per vedere morire l'uomo che ha investito il suo fidanzato, ma si accorge che si tratta di Gaetano. Per un attimo non sa cosa fare, ma ha subito un'illuminazione: lo trasporterà al ponte, lo getterà di sotto e inscenerà così il finto suicidio. Il giorno seguente vediamo la donna in preda alla disperazione, la sua vendetta non è stata completata. Sente dalla finestra un gran frastuono. La voce si è già sparsa, il cadavere di Gaetano Lavieri è stato rinvenuto. Alcune vecchiette parlano dell'ennesimo suicidio avvenuto al ponte e della maledizione che perseguita il luogo. Sostengono che gli spiriti siano tornati e che abbiano portato con loro un'altra persona. La Artusi ha una nuova illuminazione: attraverso la storia della medium, farà ricadere la colpa su Ferdinando Lavieri. Ma qualcosa va storto anche in questo caso. Mentre lei stava tentando di catapultare il ragazzo giù dal ponte, infatti, Gaetano aveva aperto gli occhi: era ancora vivo. Le aveva strappato dal petto la spilletta con la coccinella, e lei non se ne era accorta. L'ultima immagine è per il corpo di Gaetano, dopo essersi schiantato alla base del ponte. Vediamo il suo braccio che si stende sul suolo e lascia andare la spilletta. Questa finisce in mezzo ai sassi, dove poi Maresca la troverà.
FINE

Soggetto per lungometraggio

 

Premessa: la prima parte del film trae ispirazione da fatti realmente accaduti a Siano, in Calabria. Nomi e cognomi non sono stati volutamente citati, anzi sono stati attribuiti nomi fittizi. Tuttavia, le faccende sono documentate dagli atti delle forze dell’ordine. Molti siti e blog si sono occupati di questa vicenda, offrendo un resoconto dei fatti.
La seconda parte, quella che si sviluppa a partire dai giorni nostri, invece, è storia di pura fantasia, che utilizza gli eventi come spunto per un intreccio cinematografico.

Soggetto
1936. Borgata di Siano, Catanzaro. Nel paese si svolgono scene quotidiane, tra gente che passeggia per le strade, lavoratori, anziani seduti su delle sedie accanto alle loro abitazioni. Nella zona rurale si vedono contadini al lavoro mentre arano i campi e coltivano le terre. Poi, spostandoci progressivamente dall’alto e seguendo i lunghi pilastri di un ponte, notiamo qualcosa a terra. Avvicinandoci, si vede con chiarezza il cadavere di un giovane.
I mezzi di soccorso accorrono a rimuovere il corpo senza vita. Si scopre presto che si tratta di Francesco Giussano, un ragazzo benvoluto da tutti. La polizia intanto compie le sue normali rilevazioni.
La voce si diffonde in paese e lo sconcerto generale appare evidente. Scene di amaro stupore si susseguono ad altre di dolore profondo. Tutti conoscevano il ragazzo all’interno della borgata.

Qualche giorno dopo. Sin dai primi accertamenti, la polizia pensa a un suicidio del ragazzo. Emerge evidente, dai dialoghi di coloro che sono impegnati nel caso, che tutti sono concordi nel non avere dubbi sull’ipotesi del suicidio.

Mesi dopo. Il fatto viene archiviato come suicidio, senza procedere ulteriormente nelle indagini. Rimangono ignoti per i familiari del ragazzo i motivi di un tale gesto, ma dalle loro parole non si può che scorgere una quieta rassegnazione per quanto accaduto.

1939. Ponte di Siano. Un'anziana signora e la nipote, Adelina Barbanti, una ragazza di diciassette anni, stanno camminando sul ponte. La ragazza rimane indietro rispetto alla nonna, fermandosi poi, come in trance, sul bordo a fissare in basso. La ragazza non risponde ai numerosi richiami della nonna, che ha ormai percorso l’intero ponte. A un tratto la nipote accusa uno svenimento. L’anziana signora si appresta a soccorrerla.
Una volta a casa, nel proprio letto, la ragazza comincia a chiamare la madre. Non ha la solita voce di sempre, però. Anzi, ha un timbro decisamente maschile. Inoltre, appena giunge la madre, lei non la riconosce. Sostiene che quella sia una sconosciuta e che sua madre si chiami Carmela Giussano, cognome che in realtà corrisponde a quello di Francesco Giussano, il ragazzo ritrovato tre anni prima ai piedi del ponte. La madre e la nonna della ragazza cercano di farla ritornare in sé, parlandone e tentando di convincerla che lei sia in verità Adelina Barbanti. Ma la ragazza continua a cercare insistentemente Carmela Giussano. Si fa dare dunque il necessario per scriverle un biglietto, chiedendo che le venga consegnato al più presto. Ciò che risulta di seguito è ancora più sconvolgente: la calligrafia della ragazza è totalmente diversa dal solito, tanto che la madre a fatica riesce a leggere ciò che è scritto sul biglietto: “Madre cara, sono stato assassinato”.
Alcune ore dopo, la voce si è già sparsa nel circondario. Giunti presso la casa dei Barbanti, molti abitanti del luogo mostrano la loro curiosità per l'accaduto, presentandosi l'uno dopo l'altro alla porta. Tra la folla, si fa largo una donna. Dai mormorii che la circondano, si intuisce che si tratti di Carmela Giussano, arrivata fin lì dopo la richiesta esplicita della madre di Adelina. La donna viene fatta entrare e viene condotta in camera della ragazza, dove viene subito riconosciuta come madre e abbracciata con calore. Adelina parla a Carmela Giussano, esprimendo tutta la sua gioia. La voce della ragazza è ancora maschile, assolutamente lontana dal suo timbro originale. Carmela Giussano, da parte sua, è in pratica allibita da quanto le sta succedendo; non esita infatti a riconoscere la voce di suo figlio in quella emessa dalla ragazza. Peraltro, poco dopo, le viene mostrato il biglietto e, anche in questo caso, la donna si meraviglia notevolmente: la calligrafia è senza dubbio quella di suo figlio, Francesco Giussano, e il contenuto del messaggio è disarmante. La donna scoppia in lacrime e abbraccia Adelina. A questo punto, la ragazza sussurra qualcosa nell'orecchio di Carmela. La donna la guarda negl'occhi e annuisce, dopodiché va alla porta, la apre e dà un'occhiata fuori all'indirizzo dei curiosi. Tra questi chiama quattro ragazzi, chiedendo la cortesia di entrare. I ragazzi sono accorsi lì per il tumulto, ma non hanno bene idea di cosa stia per succedere. Quando i quattro ragazzi arrivano in camera da letto di Adelina, quest'ultima parla loro ancora con la voce di Francesco. I quattro, amici del defunto Francesco Giussano, impallidiscono letteralmente. Adelina ora fa ai ragazzi una richiesta esplicita: gli chiede di fare una partita a carte, a briscola, come ai vecchi tempi. I quattro si mostrano titubanti, ma poi accettano.
Le immagini ci portano a poco dopo, nella cucina dell'abitazione. Lì Adelina e i quattro ragazzi sono seduti a un tavolino. Intorno i parenti di Adelina e la signora Giussano. Vediamo Adelina bere vino e fumare con disinvoltura, mentre sua madre mostra il suo stupore e commenta di non averla mai vista né bere né fumare. La partita viene intrapresa, e Adelina si mostra scaltra anche nel gioco. Poi, durante una pausa, invita uno dei ragazzi a riempirle il bicchiere vuoto, domandando se non vogliano farla bere fino a ubriacarla. Ecco che i quattro ragazzi hanno un comune sussulto. Adelina, infatti, parlando come il ragazzo defunto, rivela particolari della vicenda che nessuno, a parte Francesco, potrebbe conoscere. Dice che furono proprio gli amici a farlo ubriacare, percuoterlo fino alla morte e poi a trascinarlo sotto il ponte. Qui le immagini si interrompono, sul volto colpevole dei quattro ragazzi e le facce sconvolte dei parenti di Adelina e Francesco.
Il giorno seguente, assistiamo a dei sopralluoghi da parte dei carabinieri. Ci troviamo alle pendici del ponte, dove Adelina, sempre con voce maschile, spiega come si sono svolti i fatti: Francesco, ormai ubriaco, sarebbe stato colpito con una pietra in strada e avrebbe perso i sensi; i quattro avrebbero infierito sul suo corpo fino a ucciderlo e infine l'avrebbero trascinato sotto il ponte per inscenare un suicidio. Avrebbero fatto tutto questo perché gelosi di Francesco, della sua bellezza, delle sue conquiste con le ragazze.
La madre di Giussano ascolta impietrita. Una volta raccontato il fatto, Adelina si toglie il cappotto e lo dispone sul suolo allo stesso modo e nel punto esatto in cui era stato ritrovato quello di Giussano. I carabinieri assistono alla scena. Infine Adelina, ormai esausta, perde i sensi e sviene.
Quando la ragazza si riprende, tra le braccia della madre, sembra a dir poco spaesata. Adesso però parla di nuovo con la sua voce. È dunque ritornata in sé. Tuttavia, non ha alcun ricordo di quanto le è accaduto.

2011. All'interno di una stazione di polizia, un instancabile viavai di agenti, mentre altri invece sono seduti a una scrivania e impegnati al computer. Tra quest'ultimi, il commissario Maresca: uomo sulla cinquantina, dall'aspetto vissuto, non esattamente in piena forma fisica. Maresca consulta dei dati al computer, quando viene interrotto dall'arrivo di un agente. Giunge dunque la notizia che sia stato ritrovato un ragazzo ai piedi del ponte di Siano. Il commissario mobilita la sua squadra e nel giro di pochi istanti tutto è pronto per recarsi sul luogo indicato.
Sotto il ponte, gli agenti lavorano alacremente per le consuete rilevazioni. Il commissario Maresca, invece, osserva mentre il corpo della vittima, Gaetano Lavieri, un giovane abitante del luogo, viene coperto e successivamente portato via. Il commissario poi guarda in alto, verso la vetta del ponte. Un suo agente gli si avvicina e gli dice che quel ponte, negl'ultimi 75 anni, ha visto il verificarsi di molti suicidi. Tuttavia, aggiunge l'agente, erano diversi anni che qualcuno non si gettava da lì. Il commissario, che è stato trasferito in quel luogo da poco e non conosce le storie legate al ponte di Siano, intrattiene una conversazione con l'agente, dalla quale si evincono le leggende che circolano attorno ad alcuni casi in particolare. Maresca si mostra interessato al racconto.
Tornati ora al commissariato, vediamo Maresca documentarsi sulle vicende del ponte di Siano, che ormai tutti definiscono “il ponte maledetto”. Raccolto del materiale, vediamo tra le mani del commissario vecchi articoli di giornale, trafiletti vari, racconti stampati dai blog e dai siti internet. Il commissario pare sempre più incuriosito dalle storie collegate al ponte. Si concentra in particolare su una di quelle storie, che poi scopriamo essere quella di Francesco Giussano e Adelina Barbanti. Il commissario si concentra anche su documenti che si riferiscono agli atti processuali; in questi viene descritto come, nonostante il processo fosse stato riaperto in seguito alla vicenda della Barbanti, i presunti assassini di Giussano non poterono essere condannati. Quanto raccontato dalla ragazza, infatti, anche se in preda a una ipotetica possessione dello spirito della vittima,  non poteva costituire atto di prova dell'omicidio. Il caso Giussano, tuttavia, venne archiviato per omicidio e non più per suicidio.
E proprio nel momento in cui la scrivania di Maresca è sommersa dal materiale sulle vicende e lui è assorto nelle letture dei casi, un agente arriva a comunicargli che una signora ha chiesto insistentemente di vederlo. La signora in questione sostiene di avere notizie in merito al caso del ragazzo trovato ai piedi del ponte, il giovane Gaetano Lavieri. Il commissario si mostra favorevole ad accoglierla, e poco dopo avviene il loro incontro. La donna, Maria Luisa Artusi, che ha superato la sessantina e appare decisamente trasandata, con dei vestiti stropicciati, una vecchia spilla a forma di coccinella sul petto, i capelli scombinati e il trucco sbavato, si presenta agitata e sconvolta. Afferma subito di conoscere la verità sul caso di Lavieri, sostenendo che il ragazzo non si sia buttato dal ponte. Il commissario cerca di farla calmare, dicendo alla donna che anche lui trova interessanti le storie che circolano attorno a quel luogo, ma che non bisogna lasciarsi impressionare dalle leggende. La incoraggia dunque ad abbandonare il suo ufficio, rassicurandola che la polizia svolgerà i regolari accertamenti e che le indagini porteranno senz'altro a una spiegazione di come si sono svolti i fatti. È qui che la donna trasale, rispondendo in malo modo al commissario. Lo taccia di superficialità, suggerendogli di ascoltarla poiché lei sa come si sono svolti realmente i fatti.  Il commissario, convinto di essere di fronte a uno dei tanti mitomani, dice alla donna di non fargli perdere tempo, quindi di andarsene. La Artusi invece continua con la sua invettiva, fino a rivelare di essere una medium; afferma di comunicare con i morti, e che in questo caso lo spirito di Gaetano Lavieri l'ha contattata per confessargli di essere stato ucciso. Ora il commissario appare più conciliante. Chiede alla donna di raccontargli tutto, anche se afferma di non credere di solito a storie di spiriti e fantasmi. La donna a questo punto racconta che lo spirito di Lavieri la stia perseguitando. Espone poi un resoconto della scena delittuosa: sarebbe stato il padre di Gaetano a ucciderlo, in seguito all'ennesima lite avvenuta tra loro. Il commissario congeda ora la donna, ringraziandola per quanto riferito e promettendo di coinvolgerla se ci saranno le basi per ritenere che i fatti da lei esposti possano servire in ambito di indagini. Maria Luisa Artusi lascia l'ufficio di Maresca con questo ammonimento: «Commissario, si ricordi che i morti chiedono giustizia». Vediamo dunque Maresca riflettere sulla frase della donna.
Nella scena seguente, il commissario si trova in una sala d'attesa mentre sfoglia una rivista. Dalla copertina capiamo di che genere di rivista si tratti; il titolo infatti è “Metapsichica”. Un attimo dopo Maresca viene introdotto da una segretaria presso uno studio. Lì lo aspetta un uomo dall'aspetto distinto, elegante. Dal colloquio che segue, si capisce che egli sia il presidente dell'associazione di Metapsichica italiana. I due entrano subito nel vivo della faccenda, parlando dei casi legati al ponte di Siano. Si parla, in particolare, sia dell'omicidio di Giussano del 1936, sia di quello di Lavieri, avvenuto recentemente. Il commissario chiede se sia possibile parlare di possessione da parte di spiriti. Il presidente è ovviamente favorevole a questa ipotesi, adducendo anche la teoria dell'impregnazione psichica. Secondo questa teoria specifica, nel momento in cui si verifica un trapasso, specie se di natura violenta e improvvisa, la vittima può emettere onde cerebrali molto intense, onde che finiscono per impregnare il luogo della morte e danno origine a fenomeni a tutti gli effetti paranormali. Maresca è affascinato da questa ipotesi, ma da parte sua, essendosi ben documentato, aggiunge l'eventualità che una personalità come quella della Barbanti, debole e impressionabile, potrebbe essere stata suggestionata a tal punto da incarnare le caratteristiche reali del defunto. Certo ciò comunque non spiegherebbe il fatto di essere a conoscenza di dettagli di cui solo la vittima avrebbe potuto essere al corrente. Il colloquio tra i due si conclude. Maresca ringrazia per la consulenza e il suo interlocutore gli augura un in bocca al lupo per le indagini.
Di nuovo nel suo ufficio, il commissario è ora insieme al padre di Gaetano, Ferdinando Lavieri. Ciò che segue è un interrogatorio per capire il reale coinvolgimento dell'uomo nel presunto omicidio del ragazzo. Maresca pone di fronte a Lavieri i dati di cui è già a conoscenza. Sa, per esempio, che viveva insieme al figlio, mentre la moglie è scomparsa qualche anno prima per una malattia. Sa anche che padre e figlio gestivano un panificio, ed era Ferdinando, di solito, a recarsi di notte presso il negozio per preparare il pane e poi stare lì le prime ore del mattino. Dalla tarda mattinata in poi era Gaetano a dargli il cambio e a gestire la normale clientela. Sa, inoltre, che i due litigavano spesso, cosa che è stata anche confermata dai loro vicini, dati i toni alti delle loro voci. Ma il commissario Maresca, indagando sul passato dell'uomo, è venuto soprattutto a sapere che c'è stato un periodo che egli ha trascorso in carcere. Lavieri, poi risultato innocente, era stato inizialmente condannato per aver investito e ucciso un uomo. Tuttavia, da ulteriori indagini, era risultato che Ferdinando Lavieri non avrebbe potuto evitare l'impatto con la vittima dell'incidente, spuntato all'improvviso mentre correva in strada. Dunque Lavieri era stato assolto e scarcerato.
Lavieri ovviamente ammette quanto riferito da Maresca e ribadisce la sua innocenza, parlando di una vera e propria fatalità. Procedendo oltre con l'interrogatorio, poi, si passa a parlare della notte in cui il figlio è scomparso. Lavieri ammette senza problemi che la sera aveva avuto l'ennesima discussione col figlio, adducendo un'incompatibilità caratteriale con lui. Sostiene inoltre che quella notte, in maniera del tutto eccezionale, era stato proprio il figlio a essere incaricato di aprire il negozio al posto suo; Ferdinando Lavieri assicura di non essersi sentito bene, quella notte, e di aver accusato dei sintomi influenzali. Dunque Gaetano lo avrebbe sostituito per aprire il panificio. Dopodiché Lavieri riferisce un fatto che potrebbe essere utile in qualche modo alle indagini. Dice che poco dopo l'uscita del figlio, che avrebbe raggiunto a piedi il panificio di lì poco distante, ha sentito un'auto mettersi in moto e ha visto accendersi i fanali. Lavieri conosce le abitudini dei vicini di casa, e sa che a quell'ora della notte nessuno di loro esce mai. Perciò Lavieri prospetta a Maresca l'ipotesi che suo figlio sia stato seguito e forse ucciso da qualcuno. Il commissario pare riflettere su questo nuovo dettaglio, quindi congeda Lavieri.
Nelle scene successive Maresca parla con alcuni amici di Gaetano Lavieri, chiedendo se siano a conoscenza di screzi da segnalare, qualcosa che potrebbe essere considerato il movente per un omicidio. Uno di loro afferma che Danilo Coppoletta, un ragazzo della compagnia, avrebbe avuto un forte scontro con Lavieri qualche giorno prima che quest'ultimo fosse trovato morto. Il motivo del litigio sembra sia stato una donna contesa tra i due. Il commissario Maresca ringrazia il gruppo di ragazzi e li avvisa che farà ulteriori accertamenti su quanto hanno detto.
Maresca va ora in cerca di Coppoletta; gli hanno riferito che può trovarlo presso una sala biliardo, ma lì non lo rintraccia. Qualcuno allora gli dice che il ragazzo doveva andare dal carrozziere per far riparare la sua auto. Una volta indicatogli l'indirizzo del carrozziere, Maresca abbandona la sala da biliardo. Presso il carrozziere, il commissario incontra finalmente Danilo Coppoletta. Il ragazzo è lì per far sistemare la sua auto; sostiene che qualche notte prima abbia urtato all'improvviso un grosso cinghiale. L'auto di Coppoletta, in effetti, presenta la parte anteriore, compreso il fanale destro distrutto, praticamente accartocciata. Maresca invita comunque il ragazzo a uscire dalla carrozzeria, con l'annuncio di dovergli rivolgere alcune domande circa i suoi rapporti con Gaetano Lavieri. Il ragazzo accetta senza problemi e insieme al commissario esce dalla carrozzeria. Lì Maresca chiede conferma riguardo all'episodio dello scontro con Lavieri, e Coppoletta conferma. Aggiunge però che lui e Gaetano si sono chiariti il giorno seguente, perché si è trattato solo di un equivoco legato a una ragazza che Coppoletta stesso frequenta. Maresca anche in questo caso ringrazia e congeda il ragazzo.
Maresca fa ora sosta a casa della Artusi. Suona al campanello ma inizialmente non viene nessuno ad aprire. Il commissario si sposta al garage adiacente, attratto dai disegni di alcune coccinelle sulla saracinesca. Adesso la Artusi apre la porta e si accorge della sua presenza. Lo invita a entrare. Maresca è lì per un motivo preciso, ovvero per avere chiarimenti sul modo in cui Gaetano Lavieri, secondo lei, sarebbe stato ucciso dal padre. La Artusi ribadisce che ogni cosa da lei raccontata gli è stata riferita dallo spirito di Gaetano, entrato in contatto con lei perché si conoscesse la verità circa la sua morte. Maresca sembra darle più credito rispetto a quando si sono visti la prima volta nel suo ufficio. La donna parla di un aspro litigio avvenuto tra  padre e figlio, perché Gaetano è venuto a conoscenza di un'ingente cifra di denaro sborsata periodicamente da suo padre per pagare il pizzo a una cosca di malavitosi. In seguito a questo litigio, dunque alla minaccia di Gaetano di denunciare il fatto alla polizia e al conseguente rifiuto da parte del padre, ci sarebbe stata una colluttazione tra i due. Ferdinando Lavieri, con un gesto inconsulto, avrebbe colpito alla testa il figlio mediante un oggetto contundente, ne avrebbe trasportato il corpo con l'auto fino al ponte, poi lo avrebbe gettato di sotto per inscenare il suicidio.
Maresca riflette sulle parole della Artusi. Nel suo girovagare con gli occhi, vede ovunque statuette di coccinelle, riproduzioni di varia misura e soprammobili di vari materiali. Nota anche la spilla con la coccinella appuntata sul petto della Artusi, comunque una diversa rispetto al giorno in cui la donna si recò in commissariato. Alla domanda di Maresca circa questa strana passione, Maria Luisa Artusi risponde dicendo che le coccinelle siano per lei gli animali più preziosi, credendo al fatto che portino fortuna.
Chiusa la conversazione con la Artusi, Maresca è di nuovo in strada e riprende l'auto. Di ritorno verso il commissariato, comincia a pensare agli elementi raccolti finora, scuotendo la testa come in preda alla rassegnazione. Nel suo percorso, passa davanti al panificio di proprietà dei Lavieri e decide di fermarsi. Il panificio è ancora chiuso per lutto, ma a Maresca interessa più che altro esaminare la zona intorno al negozio. Compie una panoramica con lo sguardo, cercando qua e là un elemento che possa attrarre la sua attenzione. Finalmente riesce a vedere qualcosa che lo colpisce. Adiacente a un marciapiede riscontra il frammento del fanale di un'automobile. Maresca si mostra ora pienamente soddisfatto della scoperta. Subito dopo nota un signore anziano uscire dall'appartamento che affianca il panificio; si avvicina e, presentatosi come commissario di polizia, gli chiede se abbia sentito qualcosa di strano nelle notti precedenti. L'uomo allora dice che di solito è facile per lui, avendo il sonno molto leggero, udire il rumore della saracinesca del panificio che si alza, ma una notte in particolare non ha sentito quel rumore. Ha sentito invece, alla stessa ora in cui solitamente viene aperto il negozio, un botto molto forte, che non ha saputo identificare. Ciò che ha saputo identificare è il rumore della portiera di un'auto pochi istanti dopo. Una volta affacciatosi, poi, l'uomo non è riuscito a vedere niente. Maresca pare ancora più convinto di sé, adesso.
La stessa notte, il commissario sta dormendo e fa uno strano sogno: vede Gaetano Lavieri ancora vivo cadere giù dal ponte, poi sfracellarsi al suolo; poco prima di morire, il pugno del ragazzo si apre e lascia andare qualcosa, qualcosa che luccica nel buio ma che Maresca non riesce a distinguere bene. Il commissario si alza subito dopo, avvolto da una sensazione inquietante.
Il giorno seguente siamo di nuovo al commissariato. Qui Maresca interroga per la seconda volta Ferdinando Lavieri. Gli chiede della questione legata al pizzo che gli stanno estorcendo; Lavieri ammette a fatica. Dice al commissario che in effetti suo figlio voleva denunciare la situazione, mentre lui aveva paura di ritorsioni e quindi era contrario. Questo fatto ha causato molti dissapori tra loro. Maresca a questo punto chiede a Lavieri se conosca Maria Luisa Artusi. Lavieri pare pensarci, ma poi sostiene che quel nome non gli suoni familiare. Maresca allora gli comunica che si tratta di una sedicente medium. La donna avrebbe descritto nei dettagli il momento della morte del figlio, accusando proprio lui. Tuttavia, Maresca lo rassicura dicendogli che ciò non costituisce prova incriminante e soprattutto che i rilievi eseguiti a casa sua e nella sua auto non coincidono con quanto affermato dalla medium (Maresca approfondisce dicendo che a casa Lavieri non sono stati riscontrati segni di colluttazione, né è stato ritrovato un oggetto contundente con tracce di sangue. Sangue che poi non è stato trovato nemmeno nell'auto di Lavieri, ammesso che lui avesse trasportato con l'automobile il corpo del figlio fino al ponte). Maresca aggiunge che in realtà suo figlio non aveva motivi reali per suicidarsi, e che i vicini del panificio riferiscono di aver udito un rumore che potrebbe essere collegato alla morte di Gaetano. L'ipotesi dell'omicidio dunque è più che mai viva.
Maresca si reca ora di nuovo presso la carrozzeria in cui aveva incontrato Coppoletta. Lo vediamo consultarsi con il carrozziere circa il pezzo di fanale da lui ritrovato. Il carrozziere si avvicina all'auto di Coppoletta e confronta il frammento, ma poi scuote la testa in segno di riscontro negativo. La prossima tappa del commissario è dunque il luogo del ritrovamento di Gaetano Lavieri. Osserva bene tra i sassi se riesce a scorgere qualcosa. Intanto le immagini del sogno gli ritornano in mente e si fondono alla realtà. Abbassandosi, ora, i suoi occhi vengono rapiti da un oggetto che brilla in mezzo ai sassi. Lo afferra e lo impugna. Emette un piccolo sorriso.
Di nuovo di fronte all'abitazione della medium. Lavieri suona ma nessuno arriva ad aprire. Anche stavolta è attratto dal garage. Si avvicina e solleva la saracinesca. Entrato, chiude e accende la luce. Lì trova un'auto coperta. Solleva pian piano il telo che la ricopre ed ecco spuntare un'evidente ammaccatura frontale, e il fanale rotto che ha perso dei frammenti. Il tempo di accorgersi di questo dettaglio e il commissario viene stordito improvvisamente da un potente colpo alla nuca.
Quando si risveglia, si ritrova legato mani e piedi a una poltrona in casa di Maria Luisa Artusi. La donna lo osserva con disprezzo e gli punta addosso una pistola. Gli dice che ha ficcato troppo il naso e che ora dovrà necessariamente ucciderlo. Con la pistola fissa su di lui, comincia a urlargli contro, dicendo che il suo era un piano perfetto. Sta quasi premendo il grilletto, quando qualcuno sfonda la finestra e si getta addosso alla donna: è Ferdinando Lavieri. C'è una colluttazione, poi parte un colpo. Per qualche istante non si capisce chi sia stato colpito, poi si vede Lavieri rialzarsi mentre la Artusi rimane agonizzante a terra. La donna emette un ultimo respiro e muore.
Lavieri libera il commissario e gli confessa di essersi ricordato in seguito il nome: era la stessa donna alla quale aveva investito il fidanzato molti anni prima. Realizzato quello, si era recato dalla donna nel tentativo di parlare con lei, ma una volta lì aveva udito le grida della Artusi, avevo scorto dalla finestra la scena e aveva agito per salvare il commissario.

Qualche giorno dopo, presso il commissariato. Maresca si trova davanti a Lavieri e lo ringrazia ancora per avergli salvato la vita. I due hanno un dialogo nel quale esprimono il loro sconcerto per la vicenda. Il commissario poi apre il pugno e fa vedere l'elemento che ha condannato Maria Luisa Artusi: la spilla di una coccinella. Dice a Lavieri (parafrasando quanto gli aveva detto la Artusi) che le coccinelle portano davvero fortuna, poi aggiunge  che, per quanto si possa escludere un intervento del paranormale in tutta la faccenda, Gaetano è realmente apparso nei sui sogni ad aiutarlo per trovare una svolta nelle indagini. Quindi qualcosa di inspiegabile, di ultraterreno, in tutto l'intrigo c'è, e rimane. I due si congedano, stringendosi la mano. Poco prima che Lavieri abbandoni l'ufficio, Maresca gli dice un'ultima cosa: “I morti chiedono giustizia. E stavolta l'hanno avuta”.
Serie di Flashback esplicativi: La Artusi è giovane e vede da lontano che un'auto investe il suo fidanzato. Dall'auto esce un uomo: si tratta di Ferdinando Lavieri. Mesi dopo, Maria Luisa Artusi non è più la stessa: si lascia andare, è trasandata, sciatta, in un tunnel di paranoia e ossessione. La vediamo nel corso degl'anni programmare una dolorosa vendetta. Si mette a spiare regolarmente Lavieri, fuori dalla sua abitazione. Ascolta le grida e viene a conoscenza dei litigi tra padre e figlio, del pizzo che Ferdinando paga e dei dissidi con Gaetano in merito alla questione. Una sera è lì a spiarli. Poi si addormenta. Viene risvegliata dal rumore della porta di casa Lavieri che si chiude. Decide che quella è la notte buona per agire. Dopo poco accende l'auto e segue quello che lei crede Ferdinando. Ma in realtà si tratta di Gaetano. Fa freddo e il ragazzo indossa un cappello, una sciarpa fino al naso e un grosso giubbotto; lei non lo può riconoscere. Quando Gaetano attraversa la strada per andare al panificio, lei lo investe violentemente con l'auto. Esce per vedere morire l'uomo che ha investito il suo fidanzato, ma si accorge che si tratta di Gaetano. Per un attimo non sa cosa fare, ma ha subito un'illuminazione: lo trasporterà al ponte, lo getterà di sotto e inscenerà così il finto suicidio. Il giorno seguente vediamo la donna in preda alla disperazione, la sua vendetta non è stata completata. Sente dalla finestra un gran frastuono. La voce si è già sparsa, il cadavere di Gaetano Lavieri è stato rinvenuto. Alcune vecchiette parlano dell'ennesimo suicidio avvenuto al ponte e della maledizione che perseguita il luogo. Sostengono che gli spiriti siano tornati e che abbiano portato con loro un'altra persona. La Artusi ha una nuova illuminazione: attraverso la storia della medium, farà ricadere la colpa su Ferdinando Lavieri. Ma qualcosa va storto anche in questo caso. Mentre lei stava tentando di catapultare il ragazzo giù dal ponte, infatti, Gaetano aveva aperto gli occhi: era ancora vivo. Le aveva strappato dal petto la spilletta con la coccinella, e lei non se ne era accorta. L'ultima immagine è per il corpo di Gaetano, dopo essersi schiantato alla base del ponte. Vediamo il suo braccio che si stende sul suolo e lascia andare la spilletta. Questa finisce in mezzo ai sassi, dove poi Maresca la troverà.
FINE

 

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