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Castelletto

elaborazione grafica dell'autore
 

Capannoni, una distesa di capannoni che compongono un villaggio industriale sorto in mezzo alla campagna. Strisce d’asfalto che serpeggiano tra questi contenitori d'acciaio e cemento; percorsi che si diramano dissolvendosi su se stessi. A terra, segni tracciati in colore giallo, analoghi a quelli presenti sulle ali degli aerei; delimitano gli spazi, obbligano i percorsi.

 

Camminando, ti immergi attraverso questi corridoi virtuali negli edifici, osservi un’architettura fatta di cavi, condotte d'aerazione, centrali termiche, strutture che contengono officine, magazzini, uffici.

Attorno a te, altre persone percorrono gli stessi itinerari, loro magari quotidianamente. Attraversi questi spazi; osservi un muro in mattoni scuri, antica struttura del latifondo agricolo. La sua forma ti ricorda quella delle cascine dove si sono svolti lontani episodi delle battaglie risorgimentali.

 

Percorri con lo sguardo il fossato che scorre a fianco del muro; una coppia di germani liscia le piume delle ali con il becco, sono talmente assorti nel loro maquillage che tu gli passi accanto senza che loro ti degnino della minima attenzione. Sulla scarpata del fosso, un gruppo di tartarughe d’acqua è immobile sotto il sole; sembrano conchiglie posate sulla sabbia.

Dentro l’acqua, gruppi di pesci rossi incrociano sulle loro rotte alcune carpe in cerca di cibo. Fa da contrappunto, a questo pulsare di vita, il parcheggio fuori della cancellata pieno di scatole metalliche verniciate, composte di vetro, stoffa, plastica, rame, e poi ancora metallo, olio, gomma e carburante.

 

Prosegui oltre sul tuo cammino, entri nella zona degli impianti sportivi. Ti sembra di essere piombato in un villaggio turistico; un centro sportivo, quasi l’appendice di un complesso alberghiero trasportato lì di peso. Cammini nel viale, immerso nel verde, dove frammenti di colonne isolate danno una parvenza di giardino all’italiana. Fuori, in fondo al viale, la struttura del centro studi con il tetto coronato d’antenne lancia le sue frequenze nello spazio. Fasci d’onda invisibili che puntano verso luoghi altrettanto invisibili.

Ti chiedi che rapporto può esserci tra questi segnali e le immobili tartarughe affossate nella scarpata del canale. Due universi con i loro relativi linguaggi.

 

La mensa a lato del canale ti accoglie chiassosa come un grill autostradale. Voci amplificate di un gran mare di gente, che rimbalzano tra i tavoli e le vetrate, stemperandosi contro il soffitto spiovente. I vassoi vuoti, che scorrono sul tappeto rotante, ti riportano all’idea della fabbrica: la catena di montaggio.

Esci, ti infili all’interno di un capannone, percorri un corridoio, poi entri dentro uno spazio adibito alla trasmissione dati; il simulacro di una centrale.

L’interno è pieno d’apparati inseriti in robusti telai dai colori celesti e grigi. Una ragazza bruna solleva gli occhi da dietro un monitor; osservi i suoi occhiali dalla montatura nera, rimarcano i suoi occhi scuri. Dai telai, numerosi led mandano il loro muto messaggio visivo, una sequenza di luci, una partitura colorata che tu non conosci. Scorri con lo sguardo le file parallele dei telai addossati tra loro, ti infili nei corridoi creati dallo spazio residuo.

Una centrale, numerose terminazioni che corrono sotto il pavimento, punti che si interconnettono tra loro formando un enorme sistema nervoso centrale. I telai con i loro apparati pulsano di vita lì davanti a te.

La pausa pranzo è terminata, ti appresti a riprendere il lavoro pomeridiano. Vedi una forma scura che lenta si muove a fianco di un telaio, la osservi meglio; è una piccola tartaruga nera.

 

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