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Appunti di viaggio

 

Can Pastilla, Palma di Maiorca.

 

Il mare raccoglie tutte le tonalità del blu, una tavolozza di blu che parte dal celeste e si satura come lentamente oscurata da un filtro polarizzatore. E il colore si fonde, creando una linea scura che definisce l'orizzonte. Un due alberi, con la sua bianca velatura, lentamente la percorre. Sembra un gabbiano sospeso sul mare. Un motoscafo taglia una scia di bianco che incide il blu. Sembra di sfogliare una pagina.

La spiaggia si apre ad anfiteatro, una successione di hotel, grandi e piccoli che per un istante danno la parvenza di essere a Rio de Janeiro, con l'immagine della spiaggia ripresa da un grandangolo.

Poi la suggestione sfugge, scivola via, portata da una sottile brezza che solleva la sabbia ricca di frammenti di conchiglie.

Il sole, il vero padrone della giornata, con la sua luce tagliente, assordante, enfatizza i colori.

C'è un cielo strano, forse dovuto all'assenza di gabbiani, solcato da numerosi aerei che decollano e atterrano con grande frequenza. Un ponte aereo tra l'isola e il continente, una via per turisti tracciata nel cielo. E dal cielo volano bassi, a cadenza serrata, che per l'effetto ottico, sembra sfiorino i tetti degli alberghi.

Il rumore dei turboreattori interrompe, per qualche istante, il lento e rilassante sciacquio dell'onda, che culla e allenta stress e desideri, mentre in spiaggia, in una babele di lingue, tra slavi, tedeschi e russi, alcune donne cinesi ciabattano lungo la spiaggia proponendo massaggi.

 

                                                                                    ***

 

L'hotel, chiuso tra due vie, ha le camere incastrate come tante tessere di un puzzle verticale. Prendi una scala, poi passi su una rampa parallela e poi ancora su un ascensore che sale sino al terrazzo.

Sembra un fortino barricato attorno ad uno spicchio di cortile: un rettangolo interno privo di luce che raccoglie i balconi delle camere. Ascensori, rampe di scale e passi felpati sulla moquette.

All'ultimo piano, la piscina tra divani, sedie a sdraio e l'impiantito in legno, da l'impressione di essere su una tolda di una imbarcazione. L'ìmpressione è rafforzata dai frangisole bianchi, tesi come spicchi di vele ad asciugare.

Socchiudo gli occhi e mi pare di navigare, sembra che il pavimento ondeggi con un lieve rollio e il cielo all'orizzonte affondi in una striscia di mare.

Appoggiata al parapetto una donna osserva l'orizzonte. Il suo foulard ondeggia al vento. Sembra una figura lontana, un ricordo. Una fotografia di viaggio.

Il vento sospinge il profumo del mare. Mai come in questo istante la dimensione del viaggio, in virtù di un'immagine, si fa più concreta e reale.

Mi affaccio al parapetto, osservo il porticciolo. Le imbarcazioni sono accostate con ordine, affiancate tra loro, sembrano bianche e panciute galline a riposo sui trespoli. Due bandiere (uno schizzo di colore che interrompe il bianco delle imbarcazioni) garriscono mosse dal vento.

 

 

                                                                                      ***

 

Suoni che si alzano. Da una bassa costruzione lungo la darsena sale un rullare di tamburi e cimbali. Una lenta processione si avvia dietro ai costumanti che sorreggono una statua su una portantina. La statua ondeggia, cadenzata, schiava del ritmo dei portatori. Una quindicina di persone, chiaccherando tra loro ad alta voce la segue, a tratti si fermano e un urlo accompagnato da uno scoppio di applausi si leva in cielo.

- Viva San Antonio!

Come in un dipinto del Goja un cane abbaia nella notte.

 

                                                                                        ***

 

Palma di Maiorca è accesa di vita e di colore. Non sono solo i turisti che la animano

ma i suoi vialoni, il traffico e scorci di incroci coronati da moderni grattacieli, ne connaturano la sua presenza metropolitana.

La cattedrale, La Seu, all'esterno sembra una enorme fortezza, un pugno di pietra serrato a difesa dell'isola. La maestosità del suo interno è esaltata dai giochi di luce che sembrano giocare a rimpiattino tra i pilastri (daltronde Antonio Gaudì ne studiò la luce per ben tre anni). Io e Lella ci aggiriamo, turisti tra i turisti, tra le varie parti dell'edificio e scopriamo una traccia di torinesità. Su di un cartello, tra le varie musiche per organo in cattedrale, leggiamo: Elevazione, Comunione, di B. Julià, eseguita da Arturo Sacchetti.*

Berceuse, di B. Julià, eseguita da Arturo Sacchetti.*

 

Poi Palma ci assorbe con le sue viuzze della città vecchia che assediano la cattedrale, aprendosi a scorci di portoni che si immettono in splendidi patii. Alcune piazzette, con i tavolini all'esterno dei bar, ricordano frammenti di cittadine francesi. In uno slargo, un ulivo antico, dal tronco spaccato e accartocciato, mi riporta ai dipinti di Graham Sutherland. E poi le case in Art nouveau degli allievi di Gaudì sono una splendida partitura architettonica. Su tutto la florida vegetazione si apre ad ampio respiro.

Ma la suggestione più forte la provo visitando i bagni arabi, l'unica traccia rimasta del dominio arabo. L'edificio conservato è all'interno di un cortile, di pianta quadrata con delle colonne che sorreggono una cupola con occhi aperti al cielo. Ricorda in parte una cripta paleocristiana. La vetustà del reperto e la penombra che avvolge le colonne è affascinante. Contro una parete laterale, dipinta in rosso pompèiano (un fuoco che brucia solo di colore), sono appoggiati alcuni vasi d'argilla.

 

* Arturo Sacchetti, nato a Santhià, prov. di Vercelli, nel 1941. Organista eccelso, dal 1973 al 1977 ha fatto parte dell'orchestra sinfonica della Rai di Torino.

 

                                                                                      ***

 

 

La Certosa di Valldemossa, antico monastero certosino dove nell'inverno del 1838-39 accolse Chopin e la scrittrice francese George Sand, tra le sue sale, o meglio, tra le sue celle, racchiude una biblioteca allineata lungo i muri che enfatizza il fascino del passato. Testimoni di storie, verità e menzogne, i libri scandiscono il tempo, trasmettono l'effimera sensazione dell'immortalità, rinnovano la costante presenza del Tempo. Una tavola di El Greco e una del Bassano contribuiscono a rimarcare maggiormente ciò. Grumi di colore su tela che transitano nei secoli.

 

L'antica farmacia con i vetusti barattoli allineati sulle scansie, beute, alambicchi, mortai, bilance e il dipinto dei santi protettori, Cosima e Damiano, sembra un fermo immagine. Ti aspetti da un istante all'altro che il monaco speziale compaia dalla porta.

Tutte le celle si affacciano su un giardino terrazzato. Da lì si scorge la verdeggiante vallata. Nel giardino chiuso da un parapetto c'è un senso di quiete che supera i rumori della folla, e ti riporta ad una dimensione più intima, più raccolta. Le piante trasmettono una lieve sensazione di pausa, di stacco. La vita scorre altrove.

In una sala, un giovane pianista, su un palco, ripropone dei brani di Chopin. Il pubblico ascolta estatico. Il nero del pianoforte contrasta forte con l'intensa luce solare.

 

                                                                                     ***

 

Un giro dell'isola.

Il pullman da Can Pastilla ci porta a Inca e poi sale i rilievi sino a giungere a Sa Calobra. La strada serpeggia attraverso la vegetazione. Gli ulivi sono abbarbicati su terrazzamenti e puntano verso l'alto, facendosi spazio all'interno di selvaggi canaloni rocciosi. Si superano rilievi di cinquecento metri, poi la strada scende verso il mare.

Una nera striscia di macadam, simile ad una pelle di serpente smessa, o ad una cintura abbandonata, si arrotola e si dipana tra tornanti che scendono al livello del mare. Sembra di vedere la sequenza di mosse per fare il nodo alla cravatta. Windsor o Four-in-hand?

 

Da Sa Calobra lasciata una spendida spiaggia, che si raggiunge attraverso due gallerie scavate nella roccia, creata dalla foce del Torrent de Pareis, si procede in battello, tra scogliere a picco sul mare e piccole insenature, sino a Port Soller. Ed è ancora il mare con i suoi colori, con il suo respiro, a stemperare i dardi del sole.

Un breve tragitto in tram e da Sòller, un simpatico trenino, con i vagoni di legno, analogo a quelli del West, si lancia nella campagna coltivata a limoni. Tra i sedili una coppia di quarantenni continua a baciarsi. Lo sferragliare dentro un'improvvisa galleria, e il passare dalla luce al buio sconcerta per un attimo i due. Lei sorride poi riprende le effusioni amorose. Non a caso alloggiano all'Hotel Cupido.

 

La campagna si apre all'orizzonte, le sagome di alcuni singolari mulini a vento si delineano dalla vegetazione mentre in distanza svettano le torri di una centrale. Nel 1886, Charles Wood, in “Lettere a Maiorca” cita: “I mulini a vento hanno sei pale invece di quattro... e una massa di funi e corde che fa si che il tutto sembri complicato e intricato come il sartiame di una nave.”

 

                                                                                   ***

E poi si ritorna in spiaggia ad immergerci tra il sole e il mare...

 

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