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Una storia prima di dormire

Il babbo era appena rientrato a casa. Ogni volta sembrava sempre più vecchio. La farina gli impolverava i capelli neri e i morbidi baffi che si divertiva a sfregare sulle guance mie, delle mie sorelle e di mia madre. Era divertente il mio babbo. Non aveva smarrito la voglia di godersi la vita e la famiglia, nonostante per un mugnaio avere come successori cinque figlie femmine non fosse una buona prospettiva per il futuro del mulino e la primogenita, Maria Luisa, fosse morta prima che io nascessi. Io ero la penultima. Ricordo che una sera, prima che il sonno chiudesse i miei occhi, Bruna, la mia sorella maggiore ci raccontava la storia di Maria Luisa. “Era bella, bellissima. I capelli come le ali dei corvi, lucidi, riflettevano il sole come specchi neri. Si rifiutava sia di pettinarli sia di lavarli, ma erano sempre più belli. Non mangiava e la mamma era disperata. Maria Luisa, però, non deperiva. La pelle era porcellana e le labbra corallo. Una notte, la mamma ed il babbo udirono rumori strani provenire dalla sua camera. Aperto l’uscio, ciò che videro li pietrificò dall’orrore. Maria Luisa, nuda, divorava l’intonaco grattato dal muro dietro la testata del letto. Le lenzuola erano zuppe di sangue. Quando si accorse della mamma e del babbo, rivolse loro uno sguardo gelido urlando parole incomprensibili. Il mattino successivo Maria Luisa era la ragazzina di sempre, il letto perfettamente rincalzato. La mamma, con l’ansia nel cuore, si recò al convento dei padri cappuccini. Padre Gelasio la accolse amorevolmente e ascoltò il racconto senza interromperla. Quando la mamma esplose in un pianto inconsolabile, il cappuccino l’abbracciò e le soffiò in un orecchio: “Non preoccuparti Rosa, domani verrò a casa vostra e in poco tempo con l’aiuto divino...”. La frase rimase sospesa. Solo la mamma conosce come terminò. Non lo disse mai a nessuno, neppure al babbo. Il giorno seguente, Padre Gelasio bussò alla nostra porta. Il tavolo della cucina era sommerso da fagiolini. Maria Luisa li mondava canticchiando e li gettava nella grande pentola dove sarebbero stati lessati. La mamma stava girando il cucchiaio di legno nella marmellata di prugne che bolliva sul fuoco. Maria Luisa rispose al saluto del religioso con un luminoso sorriso. Padre Gelasio salì le scale di legno che scricchiolarono sotto il peso della sua mole. Non sembrava un frate. Forse un boscaiolo. Si narrava che prima della vocazione fosse stato un atleta, un pugile dai destri micidiali. Poco dopo ridiscese. Gettò nella pentola gorgogliante un oggetto che richiudeva nella mano. Il gorgoglio cessò all’istante. Cinse la mamma con le sue poderose braccia. Il saio era sdrucito sotto l’ascella. Le sussurrò all’orecchio: “Non ho potuto fare nulla, se non salvare le altre tue figlie.” Non una lacrima scese dagli occhi della mamma. “Un potente maleficio gravava su Maria Luisa. Non ho potuto combatterlo, se non distruggendo un piccolo feticcio che ho rinvenuto sotto il materasso. Un fagottino di vimini racchiudeva un passerotto a due teste con lunghi artigli alle zampe ed una spina di rosa conficcata nella pelle mummificata. Getta nel fiume quella marmellata, proprio nei pressi di quei tre eleganti ontani neri e porta la pentola al fabbro affinchè la fonda”. Gelasio uscì. Il Lunêri di Smémbar per l’anno 1947, appeso dietro la porta della cucina, scivolò a terra tra i piedi di Maria Luisa. Un fagiolino le cadde dalle mani sulla previsione mensile di Mathieu de La Drome: Un fatto vi farà piangere. Ad agosto Maria Luisa, smise di divorare anche l’intonaco e si lasciò morire di inedia. I capelli divennero candidi. Dopo il funerale, Attilio, il proprietario del mulino detto “della Ganga”, fu ritrovato riverso nel roseto nei pressi del suo mulino pieno di graffi, lividi ed ecchimosi. Una di esse, a forma di piccolo crocifisso gli rimase impressa sullo zigomo per tutta la vita. Da allora ogni domenica si presenta alla Santa Messa ed è uno dei più devoti e generosi parrocchiani. L’anello di padre Gelasio quando gli pone la particola del Corpo di Cristo tra le labbra, pare ammaccato”. Quello che io non riuscivo a capire era cosa c’entrasse Attilio. Così un giorno lo chiesi a Bruna. “Attilio era il concorrente di babbo e suo figlio, Enrico, si era invaghito di Maria Luisa, tanto da rivolgersi ad una stria al fine di creare un vincolo d’amore indissolubile. E così fu. Enrico morì qualche giorno dopo, schiacciato, incredibilmente, dalla pesante mola. Il mulino macinò farina rosso sangue per tutto il mese".
 

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