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Togliere l'aria

Questo è uno dei miei primi racconti, l'ho riletto stasera dopo tanto tempo, anzi a dire il vero mi ero qusi dimenticato di averlo scritto... ve lo ripropongo
 
Il mio vicino di casa è uno sbirro. E’ uno di quei classici tipi che quando ti ferma, prima ti pesta e poi ti chiede i documenti. Tutto sommato però ( o meglio) dimenticandosi per un attimo del suo lavoro, è un tipo simpatico.
-Che cazzo ci posso fare? E’ il mio mestiere e so io i rischi che corro- si giustifica quando gli rifilo qualche frecciata sulla sua brutalità gratuita.
Non si può dire che siamo amici per la pelle, ma un certo qual dialogo comunque lo abbiamo. D’altronde, come ho già detto prima, siamo vicini di casa e non è conveniente farsi la guerra in continuazione.
L’ultima volta che ce ne dicemmo di tutti i colori, e non passammo a darcele solo perché ci fu gente che si mise di mezzo a buttare acqua sul fuoco, fu in occasione di una manifestazione finita con scontri di piazza. Eravamo lì per contestare la costruzione di un impianto obsoleto già da trent’anni, che sarebbe servito a bruciare tonnellate e tonnellate di spazzatura indifferenziata per produrre qualche watt di energia elettrica e fare arricchire i soliti imprenditori e politici collusi di turno, chiaramente. Eravamo arrivati lì al presidio, c’erano un sacco di donne e bambini e pure un sacco di anziani, c’erano stati i soliti cori, qualche “vaffanculo” gridato da qualche megafono, ma lo svolgimento del corteo era tranquillo e pacifico. Non mi ricordo chi era che stava tenendo comizio quando la polizia ci caricò all’improvviso mentre noi eravamo lì ad ascoltare. Furono lanciati prima i soliti lacrimogeni come aperitivo. In un lampo si alzò la nube tossica, che ti fa lacrimare gli occhi e ti dà un senso di soffocamento abbinato ad un dannato senso di nausea. Poi partirono i celerini a darci sotto col manganello.
-Ci dispiace, ma quando ci danno l’ordine di caricare dobbiamo farlo- questa è la solita frase che non so quante volte ho sentito dire da chi svolge questo mestiere, come se per contratto abbiano rinunciato al loro libero arbitrio.
Ebbene, in quell’occasione mi beccai anche un colpo di sfollagente sul polpaccio mentre ero impegnato nel portar via una signora che aveva avuto un collasso per la paura, il caldo, il fumo tossico e tutto il resto.
Tornai a casa verso sera. Zoppicavo, ero tutto sudato e coi nervi ancora a fior di pelle. Mi preparavo a sorbirmi le lacrime di mia madre mentre mi diceva che tanto mi sarei arreso quando l’avrei vista morire di crepacuore.
Fu giusto nell’atrio del parco che lo beccai, il mio vicino di casa. Era ancora in divisa. Non ci vidi più dalla rabbia. Posso capire quando ci sono manifestanti armati o tifosi facinorosi allo stadio, anzi in quest’ultimo caso faccio quasi sempre il tifo per le forze dell’ordine. Ma quella volta avevano caricato cittadini inermi, padri e madri di famiglia, vecchi e bambini che non chiedevano altro alle istituzioni di continuare a respirare aria pulita.
Non mi ricordo cosa gli dissi, ma gliene scaricai tante addosso. Se mi fosse venuto addosso mi avrebbe ammazzato, non avrei avuto scampo, era il doppio di me, ma non era grasso, erano muscoli. Dal canto mio non me ne fregava niente di farmi ulteriormente male, ero disgustato da tutto, dalla politica, dal governo. Che libertà ci poteva essere se non si poteva neanche più esprimere il proprio dissenso? Eppure è finanche sancito nella costituzione questo diritto.
Lo sbirro mantenne per un po’, dopodichè cominciò a sbraitare pure lui.
-Povero stronzo- ululava, -Mo’ dici così. Però se qualcuno ti entra in casa o ti mette una pistola in bocca e ti spoglia nudo vieni da noi, vero?-
E in quel caso pure c’aveva ragione.
Le grida attirarono gli altri condomini, eccetera, eccetera.
Dopo quella sfuriata, non ci rivolgemmo la parola neanche per salutarci per un buon mesetto.
Un giorno lo riaccompagnarono a casa dal servizio con la testa fasciata. Gliela avevano rotta con una pietrata. Sentii le grida di spavento della moglie e andai a bussare alla loro porta per veder cosa stesse succedendo. Mi venne ad aprire la figlia più piccola, la seconda insomma. Mi addentrai e lo vidi seduto mezzo intontito su una sedia con la testa avvolta in una specie di turbante di calza mezzo sporco di sangue.
Pensai che eravamo pari e rifacemmo la pace, almeno fino alla prossima manifestazione con cariche ai manifestanti da parte della polizia.

Era una domenica sera. Ero affacciato al mio balcone a succhiare una paglia. Sul terrazzo di fronte uscì Fausto, lo sbirro. Era appena tornato da un week end al mare con la famiglia.
-Uè come va?-
-Bene-
Il poliziotto prese l’annaffiatoio e cominciò ad innaffiare le piante. Non me lo sarei mai aspettato che quella montagna c’avesse il pollice verde. Stette qualche minuto indaffarato, poi si girò verso di me.
-A proposito, che sono quei paletti che ho visto intorno a tutto il parco?-
Scrollai le spalle.
-Allora?- insisté come se fossi sotto interrogatorio. Anzi mi aveva eletto ad informatore della polizia. Mi sentii un po’ come quel tale, il nero in Starsky ed Hutc.
-E’ il geometra. Quel vecchio stronzo i soldi per creare un percorso ad ostacoli sul terreno comune ce li ha, per aggiustarmi il soffitto, che per colpa di un’infiltrazione d’acqua in casa sua a momenti ci casca addosso, sono due anni che non li vuol cacciare.-
-E tu non ti sei opposto?- mi domandò sarcastico
-Avevo paura della legge- risposi a tono.
-Domani ci parlo io- disse.
-Ma perché devi sempre metterti tu in queste cose?- si lagnò la moglie che aveva ascoltato tutta la discussione.
-Perché si e basta. Quei pali mi danno fastidio, mi tolgono l’aria- sentenziò secco lui.

L’incontro tra lo sbirro e il geometra avvenne due giorni dopo. Erano circa le tre del pomeriggio. Io rincasavo dall’università. Li incocciai a parlare fuori l’androne del palazzo. Fausto era lì a spiegare al vecchio con capelli e baffetti bianchi che quei cosi che aveva fatto impiantare per tutto lo spiazzo erano irregolari e pericolosi. Qualche macchina facendo manovra avrebbe potuto sbatterci contro, qualche bambino correndo avrebbe potuto inciampare e finire con qualche parte debole del corpo addosso ad uno di quei ferri e magari sfregiarsi, prendere il tetano o peggio ancora perdere un occhio. E poi se nel caso fosse dovuta entrare un ambulanza nel parco per un pronto soccorso i pali sarebbero stati un terribile intralcio nelle operazioni di salvataggio. Disse proprio così, -operazioni di salvataggio-. Fausto continuò la sua solfa sempre con un andazzo molto moderato, che quasi ti faceva dimenticare che lui per lavoro faceva lo sbirro pestamanifestanti.
-Sono d’accordo con lei che c’è gente che da fuori viene a mettere le macchine qui dentro, è una cosa che dà molto fastidio anche a me, ma la questione non si risolve con l’iniziativa di un singolo, dobbiamo prendere una decisione tutti quanti assieme. La settimana prossima ci sarà la riunione dall’amministratore, poniamo assieme il problema a tutta l’assemblea e sicuramente troveremo una risoluzione, però per piacere faccia togliere quei paletti.- Fu un’arringa quasi da applauso quella di Fausto. Si dimostrò davvero pacato e disponibile al dialogo il poliziotto. Non fu però dello stesso parere il geometra. Il vecchio si piazzò prima le mani in faccia colmo di disperazione, poi prese ad urlare e a dibattersi. Ciancicò un casino di parole tra uno sputacchio di saliva e l’altro. Gli venne la bava alla bocca. Sembrava essere sul punto di voler fare harakiri per il disonore infertogli. Puntò gli occhi iniettati di collera verso di noi e ci disse: - Sono in casa mia e faccio quello che voglio io-
-Guarda vecchio stronzo questa è anche casa mia- di sicuro gli stava per rispondere così il mio vicino di casa, ma sopraggiunsero i figli del geometra che subito presero la parola. Di questi il più grande aveva all’incirca trentacinque anni e il secondo ne aveva ventotto. Erano tutti abbronzati e ben pettinati. Il secondo aveva un pizzetto curato e mani piccole tipiche di chi in vita sua non alzato mai neanche le buste della spesa.
-Che è successo papà- chiese il primo. Ascoltò la versione ben pompata della discussione guardandoci dall’alto in basso ed annuendo alle parole del padre. Fausto intanto attendeva con le braccia conserte senza mai smettere di sostenere lo sguardo del nuovo arrivato.
-A te l’educazione non te l’ha mai insegnata nessuno, vero?- si rivolse il primogenito del geometra allo sbirro.
-Insegnamela tu- rispose Fausto con un lampo maligno negli occhi. Già pregustava il sangue del malcapitato che era stato tanto avventato a sfidarlo.
-Mica io, i miei amici te la insegneranno- il figlio del vecchio si salvò.
Fausto si fece una risata, -Va bene-acconsentì, -A tua disposizione-.
La storia per quella giornata finì lì.

Fu qualche notte più tardi che, tornando a casa dal solito giro con gli amici, sentii dei rumori provenire dal retro del palazzo. Dapprima pensai che qualche figlio di puttana stesse fregandosi qualche auto. Rimasi lì a rimuginare se fosse il caso di andare a dare un’occhiata o chiamare senza meno aiuto. Potevano essere armati. Perché mi dovevo beccare una pallottola in corpo o essere pestato per salvare un’ auto che peraltro non era neanche mia? Mica mi andava di far tanto l’eroe così di punto in bianco! Poi riconobbi la voce di Fausto. Mi sentii un po’ più rassicurato e decisi di andare a controllare cos’è che stesse combinando.
Svoltai l’angolo del palazzo e lo vidi districarsi tra due omaccioni e il primogenito del geometra. L’altro, il secondo, che aveva un paio d’anni in più a me, saltava qua e là come un giullare scemo menando qualche colpo col pugno o col calcio e poi si rifugiava indietro. Quello lì lo conoscevo solo di vista. A stento ci scambiavamo un saluto striminzito quando ci incrociavamo per le scale. Ciononostante mi era da sempre stato sui coglioni. Fausto era un professionista a menar le mani. Quando ne aveva la possibilità mollava certi papagni che andando a segno era certo che dovessero far un male cane. Però loro erano in quattro e i due fuori quota, chiamati per far quel lavoro sporco erano davvero messi bene. Più che di un accesso di coraggio, fui preso da uno smisurato senso di disgusto. Quei due pezzi di merda non erano neanche capaci di difendere l’onore del loro padre da soli, si erano dovuti rivolgere ad altri e quegli altri figli di puttana avevano acconsentito a pestare un uomo solo per fare un piacere, senza che l’interessato avesse fatto loro niente. Che dannato merdatoio stava diventando il mondo. Non me ne accorsi neanche, ma mi buttai nella danza anche io. Tirai a me il figlio più giovane, quello che mi stava sullo stomaco. All’inizio nella concitazione gli altri non si accorsero del mio ingresso. Questo ci diede un forte vantaggio a me e Fausto. Afferrai forte lo stronzo per una spalla col braccio destro, mentre con l’altra mano chiusa a pugno, quella nella quale ho più forza perché sono mancino, presi a tirar cazzotti nello stomaco. Cercai di affondare i colpi quanto più mi era possibile per togliergli il fiato ed evitare che potesse chiedere aiuto. Adesso non faceva più il galletto il figlio di papà, aveva perso tutta la sua baldanza. Muoviti sulle punte brutto frocio, pensavo io. Lo lasciai andare e lui cadde come una pera cotta. Lo sentivo respirare a fatica, ma gli diedi lo stesso una pedata con la punta della scarpa nel fianco per convincerlo a restarsene lì buono buono e non dar più fastidio.
Gli altri erano ancora di spalle e ancora non badavano a me. Chiunque mi sarei tirato addosso, me la sarei vista brutta. Trovai una pietra vicino ai miei piedi. La raccolsi e decisi di lasciar scegliere al caso. Pregai soltanto di non colpire Fausto. La lanciai verso i tre che erano di spalle impegnati a fargliela vedere al mio vicino. Quando si dice la fortuna. Il più grosso dei tre girò un attimo la testa e spam! si beccò una sassata proprio tra fronte e naso. Crollò sull’asfalto col sangue che gli scorreva dal naso e con le lacrime agli occhi che gli appannavano la vista. Il vero culo però fu che l’altro suo compare facendo un passo indietro inciampò su di lui e si ritrovò con la schiena a terra. Fausto non aspettò un secondo di più. La fortuna ti bacia una sola volta. Si trovò faccia a faccia col primogenito del vecchio stronzo geometra e gli piantò un cazzottone sul mento forte come una cannonata che gli fece sollevare da terra i piedi. Vidi il coglione volare letteraralmente ed atterrare sul cofano di un’auto parcheggiata. Senza perdere altro tempo io e Fausto ci avventammo sugli altri due che stavano a terra. Menammo cazzotti e calci fino a slogarci quasi polsi e caviglie. Alla fine erano tutti e quattro fuori gioco.
Fausto mi diede una manata sulla spalla in segno di ringraziamento. Era ancora tutto adrenalinico e mi fece venire il formicolio al braccio toccandomi forte.
-Che facciamo adesso?- gli domandai.
-Chiama un’ambulanza- mi rispose.
-E se ci denunciano?- chiesi preoccupato
-Non gli conviene-. Mi tranquillizzai e feci come lui mi disse.
Come volevasi dimostrare, l’autoambulanza non riuscì ad entrare nel parcheggio del parco per colpa dei paletti. Dovemmo aiutare gli inservienti a trasportare i quattro feriti.
-Ma cos’è successo?- domandò uno di loro,
- Niente- rispose secco Fausto e guardò l’interlocutore come a dirgli “fatti i cazzi tuoi”.

Alla riunione di condominio andai con Fausto. Entrammo nello studio dell’amministratore a braccetto come due vecchi compari filibustieri. All’ordine del giorno c’era anche la questioni dei paletti. Fausto prese la parola ed iniziò la sua arringa a favore dell’eliminazione di quei brutti pezzi di ferraglia. Non dovette faticare troppo per convincere l’assemblea. Si passò alle votazioni per alzata di mano e tutti furono favorevoli all’abbattimento dei cosi tranne uno. Il vecchio stronzo del geometra si dichiarò contrario bisbigliando quasi le parole e senza alzare lo sguardo dal pavimento.
Il mattino seguente scendendo le scale fui investito da una puzza di metallo bruciato. Uscii fuori dal palazzo e vidi due operai muniti di flex tagliar via dalla nostra vista quegli obbrobri.
-Visto come si fa?- mi disse Fausto fermandosi affianco a me.
Io annuii solamente.
-Ti serve un passaggio?- mi chiese.
Assunsi un’ espressione scandalizzata, manco avesse cacciato l’uccello fuori dai pantaloni nel bel mezzo del parco.
-Io in macchina con uno sbirro? Giammai!- replicai.
Fausto ci restò male.
Allora io risi di gusto. Gliel’avevo fatta a prenderlo per il culo.
-Grazie capo- gli dissi, -Mi stanno venendo a prendere i miei amici-.
Ci salutammo ancora, prima di andare ognuno incontro alla propria giornata.
 

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