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Onirica laude

Nelle spore del sogno
vedo glicini colare, eiaculare
la mia pazzia in pollini.
Vedo ebetudini calpestare il vuoto,
mattonella su mattonella,
lungo claustrali corridoi 
di trucide e carognesche savane.
(O sono manicomi, ospedali, uffici postali,
tediosi ambulatori medici?).
Montagne dilatano ad arie glaciali;
ellebori sfiocchettano infuocate nevi,
tra abbacinanti pinguedini di noia.
Tossica dipendenza ad eventi gorgoglianti emozioni.
Le tue tette, amore, sfringuellano pindariche odi
sulle mie fauci satiresche.
Parlo con gli dèi del tuono e dell’ebbrezza e della smania.
Vicoli si annodano nel profondo delle mie viscere 
pregne di triglicerica invenzione.
Maschere di stoppia e di sangue imbevute 
mi appaiono ai crocicchi,
dove mille specchi diramano a oppierie di cinesi lunatici.
E vedo il dolore sgocciolare, presbite,
su moltitudini di giorni sempre uguali.
Inutile feccia, inetto al lavoro e alla regola,
preferisco le epiche fiabe del tuo clitoride, amore;
le liriche indecenti del tuo cuore,
che cantano torbide avventure;
i tuoi gemiti, preferisco, 
che evadere mi fanno da questa 
lurida tana olivastra di vita tediosa.
E’ un trionfo la nostra tiepida stanza,
al lume di candela cremisi.
Ti racconto i miei 
stratosferici pleniluni di licantropia,
e bevo alla tua bocca 
seriche uve e succhi d’apostatica teologia.

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