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Dalle memorie di un Professore

Una data ricorrente
 
Mi accadeva sovente di pensare a quel viaggio fatto da fanciullo e a quella data, il 17 luglio, impressa sulla tomba.
Il 17-7, conseguivo il dottorato in lettere greche e latine. Guardavo quella data sul medaglione incisa, più volte domandandomi: che cosa vorrà dire? Nulla avviene per caso. E quel giorno, in Calabria, in località Sant'Eufemia, mi turbava, notevolmente, l'iscrizione letta.
Signora Elvira, vedi, ricordo anche il tuo nome... Quel giorno alla stazione, io ero un ragazzino... Ora, che sono un uomo, se fossi ancora in vita, ti vorrei domandare: la figlia di tua figlia, ha avuto prole? Perché sin da fanciullo, mi appare una bambina. Ella, mi viene incontro, come per un richiamo... ma poi si ferma... aspetta che faccia il primo passo. Ed è sempre al cancello della scuola;
ha un'espressione dolce, molto bella, i capelli castani, disciolti sulle spalle. Un giorno feci in tempo a prenderle la mano, lei mi guardò, dicendomi: “So che ci conosciamo”. L'accostavo al mio petto e le dicevo: “Ti conosco, però non so il tuo nome”; rispondeva: “Ricorre il 19 di questo mese.”
Prima che mi svegliassi, le dicevo: “Pinuccia...” Ella mi sorrideva, levando il suo saluto: “Per ora sono in cielo... E prima di sposarmi conoscerai i miei nonni.” Signora Elvira, se dal cielo ascolta, mi aiuti a spiegar questo mistero.
 
La visita del Professore Rao
 
L'anno volgeva al termine. Il professore Rao venne a trovarmi; mi disse: “Professore sono venuto a farle un rapido saluto prima di andare in quella cittadina che mi diede i natali.
Ho ripensato a quanto lei mi disse... Ma sarebbe un errore lasciare il posto. Firenze è, certamente, una bella città, ma l'onere cui adempie nella città di Urbino, è degno del suo nome; glielo dico, come parlassi a un figlio: non lasci il suo lavoro; può darsi non risponda alle aspettative; è indubbio, invece, che il ruolo che lei svolge è di prestigio. Alle contrarietà... Cerchi di sorvolare.” Rispondevo:
“Professore, sono commosso dalle sue parole: sento che Lei mi parla come ad un figlio... Ed io verrò a trovarla per dirgli la mia riconoscenza. Non è che non accetti i suoi consigli, ma ho ponderato la situazione, ed il cuore mi dice che a Firenze, nel suo liceo, mi troverò felice.”
Guardavo la mia casa, compiaciuto, d'averla resa in poco tempo, bella ed accogliente. A Maria piacque molo quel balcone, diverso dai consueti, perché era ampio e lungo. Per arredarlo scelsi fiorellini, bianchi ed azzurri, disposti in alternanza; anche a Maria piacevano. Lei li chiamava Astri.
 
La lettera di Maria
 
Urbino mi fu cara, quanto Firenze... E via Pratesi, la rivedo ancora: vivevo solo, ma non lasciavo mai gli affetti, che eran tutta la mia vita. Le mie sorelle erano a Sogliano. E, dal convento, Maria, mi scriveva: ”Fratello, mio sincero amore, qui, cerco di adattarmi, ma mi manca qualcosa; non sto bene. L'aria di casa, la sento ad Urbino; Ti prego di venire in tempo, prima che l'anno volga al termine. Le suore non gradiscono il mio congedo definitivo, per cui, se mi riscrivo, non mi lasciano andare... Giovanni, io sto male...
Quanto ad Ida, non si lamenta: le suore le insegnano il ricamo che è la sua passione... Ma c'è un altro motivo: il conte di Bernais, sovraintendente ai beni culturali, le fa la corte, attratto di suoi riccioli chiari, dai riflessi dorati. Egli non è gentile nei miei riguardi, perché pensa che io mi assuma il ruolo di chi vuol controllare, la propria sorellina. Anche Ida, a volte, pensa la stessa cosa, ch'io non voglia far nascere, il suo amore. Che cosa devo fare? Se l'accompagno in biblioteca, mi dice di temere la suscettibilità di Casimiro... Quando, invece, le dico risoluta: se non la smette di farti le fusa, io me ne vado, perché le sue son smancerie, mi dice: che ti ho fatto, sorellina... Resta e non far caso a quel che dico, quando sono nervosa.”
 
L'insofferenza di Maria
 
Leggevo la sua lettera e capivo che Maria si sentiva molto sola.
Le rispondevo:
“Maria, dolce sorella, cerca di star tranquilla... Non posso rimandare gli impegni in Facoltà, ma, appena sarò libero, verrò a Sogliano e parlerò con la Superiora. Non riesco a capir questa persona, che, con la scusa di veder le suore, giuoca col cuore di una adolescente. Quando verrò, e sarà molto presto, quel tizio, dovrà dirmi in modo chiaro quali intenzioni ha, riguardo a nostra sorella. E se la sua intenzione, non è dettata da interessi volgari, io gli darò il consenso a chiederle la mano. Mi fa male pensare a quel suo cuore giovane tanto e così bisognoso d'amore.”

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