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Dalle memorie di un Professore - Lettera di arrivederci

Mia fanciulla,
Ti penso... È il penultimo giorno in questa casa; ero felice perché ti piaceva, questa casetta di periferia. Mi sono consultato con Maria: “Cosa ne pensi... Se ne accorgerà?” Maria nel consolarmi mi diceva: “Anch'io lascio qualcuno, ma l'amore, ci segue sempre, ovunque noi si va. Sotto il mio tetto ti ho sentita spesso; qui, nel soggiorno, nella cucinina... Nel mio piccolo studio. In camera da letto, io non ti ho vista, ma ti ho sognato raccontare a mamma del nostro grande amore. La camera da letto, le dicevi, è molto bella; riflette il sogno di due cuori: i colori li ha scelti il mio Giovanni; io ho pensato agli specchi; vedi l'armadio... Dal colore di fondo che è verde acqua, si parton sfumature, in ordine graduale, fino al turchino: è come se noi fossimo su un prato, tra fronde e laghi in una pace azzurra che raccoglie la luce del mattino, ma anche dei tramonti. Mamma, ti voglio dire tante cose, ma soprattutto, che sono felice, con il mio principe azzurro e Voi vicini... Coi nostri affini noi non siamo soli. E la periferia, che un giorno mi prostrava, oggi la sento scevra di quel male, che è la gelosia; la sento come un angolo di terra, rigenerata, dopo un temporale, fragrante di quei fiori che mi davano pace.”
Mia fanciulla, il tuo sembiante porterò nel cuore, fino a Firenze. Ci rivedremo al chiaro delle stelle, sotto la volta della cattedrale. Tu vedrai tante cose che ti erano già note perché te parlai negli anni primi, della mia gioventù, quando ero uno studente, e tu come sei ora, una dolce fanciulla, coi capelli, disciolti sulle spalle, a modo di una suora.
Pinuccia, domani Maria ed io prendiamo il treno; ti porterò dormiente nei miei sogni per risvegliarti al lume delle stelle.
 
Le confidenze di Maria
 
Maria sul treno era silenziosa; io che sapevo leggere nel suo cuore, sapevo che pensava ad un dottore, mio primo amico nella dolce Urbino.
“Maria, perché non parli? Di' quel che stai pensando...” Sollevando il suo sguardo, mi diceva: “Sì, è vero, penso a lui, al nostro amico Clevi. Tu lo sai che mi scrive... E' sempre così tenero... E mi elargisce di belle parole. Se non sapessi ch'egli è un dottore, direi che è un poeta. La sua corte è discreta... Ma la sento attraverso i biglietti che mi manda; ci son sempre bei fiori che disegna di propria mano. Mi scrive: in omaggio ai suoi begli occhi e ai suoi capelli. L'ultima volta che venne a trovarmi, e fu soltanto ieri, con un filo di voce, gli dicevo: stiamo per partire... L'ho sentito tremare; mi strinse a sé, ma con delicatezza, dicendo: qualche cosa sapevo... però non ero preparato... Anch'io... soggiunsi; un tremito coglieva le mie mani... Posava la mia destra sul suo petto e mi baciava. Poi mi disse: Ti ho portato una cosa, in cambio di una ciocca dei tuoi capelli.
Non esitai: disciolsi le mie chiome, e ne tagliai una ciocca. Gliela donavo posando con lo sguardo una carezza sulle sue mani ed egli se ne accorse... Conservò con un bacio i miei capelli, nel suo porta reliquie... Poi, prese con dolcezza la mia mano, e... Giovanni, ascolta... l'emozione è tanta; aiutami ad aprir lo scatolino... Perché egli mi ha detto: Signorina, devi scartarlo solo alla presenza del mio migliore amico, tuo fratello.” Risposi: “Apri tu che ce la fai, perché è un gesto che spetta alla donna.” Lei mi guardò un attimo, poi, disse: “E' giusto: prese l'incarto e vide il cuoricino che conteneva il piccolo gioiello; lo aprì, tremando; apparve tra le ciglia una piccola lacrima.” Guardò commossa quel pegno d'amore; era gioiosa e la sua gioia era anche la mia. L'anello era una vera che aveva incastonati alcuni brillantini.
Maria mi disse: “È davvero bella, ti piace?” Annuivo commosso e le comunicavo le mie intenzioni.
“Maria, indipendentemente, dal regalo, t'avrei oggi stesso detto le mie intenzioni. Gli scriverò un lettera, e, pressapoco gli dirò queste cose: Alessandro, Maria parla di te con tanto affetto ed è evidente che, essendo, innamorata, le mancherai. Ti invito a casa nostra, se non hai impegni urgenti, e quando sarai accanto a mia sorella, ti voglio formulare una domanda; e non ti dico altro. Maria porta al suo dito, l'anello che le hai dato. Maria, illuminandosi, in voto, mi abbracciava, dicendomi: Giovanni, sei il più dolce dei fratelli; tu mi capisci sempre.”
 
“Firenze: Santa Maria Novella” disse l'annunciatore. Una volta di stelle, illuminò il mio cuore e sussultai di gioia, quando notai, il tepore di un soffio sul mio viso. “Firenze! Siamo giunti” dicevo a mia sorella e, idealmente, anche a Pinuccia. Pinuccia mi rispose: “Lo sentivo; per questo sono desta. Me ne parlavi sempre, già da quando eri studente, anche suonando al piano, una nota canzone. Ma cantavi anche Tu; anche il mio cuore. Ci affacciammo a una loggia e li vedemmo la Cupola cobalto col campanile di Giotto, fusi col firmamento.”
Pinuccia, lasciò il treno, dicendo: “Devo andare, ma qui dove tu sei sarà il mio cielo e la mia pace azzurra.”
Ci salutammo, mentalmente, io la chiamavo dolce amore mio... Lei se ne accorse e mi baciò le tempie. Discendevo dal treno con Maria; le chiesi: “È stato bello, questo viaggio?” Mi rispose, raggiante: “Trascendente; come se entrambi avessimo fissato una data importante con l'amore.”

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