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Soglie

Dalle nebbie d'inverno il segreto delle viole a lungo covate tra le foglie marce dei fossi, mi affascina, in questo crepuscolo di novembre.
L'estate è già un ricordo, ma il profumo dolce di viole mi conduce per mano in questo autunno… È necessario che le foglie cadano, perché crescano viole.
L’essenza nasce nel gesto che imprigiona una vita.
Socrate è la soglia dove passa la storia e il nostro pensiero. Ma Socrate non passa perché Socrate è la soglia, è al di là della scrittura che lo rivela e lo lacera negli infiniti sguardi di altri uomini che a quella soglia muovono per passare oltre, al di là, dove Platone attende, dove Platone continua a tessere i suoi dia-loghi. Socrate ci ha insegnato a pensare, Platone a scrivere Punto
Socrate è la soglia dove la scrittura si inchina all'uomo, dove l'uomo raccoglie sguardi e fiori, amore e stelle e non ancora concetti e idee.
Platone è appena più in là di Socrate, ma già dentro una casa che lievita ancora.
I dialoghi di Platone hanno varcato la soglia, usciti dal frammezzo dove per poco – un attimo, un'istante, una briciola di storia o forse un esempio per la nostra storia -Socrate aveva mostrato la possibilità di un'altra storia.
Il ricordo diventa scrittura e Fedro e Fedone rendono onore a Socrate nel momento in cui lo tradiscono nella maniera più vergognosa.
La scrittura non è soglia, la scrittura non è Socrate e la parola non intenziona che sé stessa.
Socrate Resta sulla soglia, al di là degli infiniti discorsi che lo cercano.
Socrate è Caronte che porta al di là millenni di anni di storia e milioni di parole che parlano di storia -e di che altro potrebbero parlare se la conoscenza è ricordo? - i milioni di uomini che parlano di storie, delle loro storie.
Socrate ancora ride e ancora beve cicuta e ancora non muore e ancora non scrive. Devo un Gallo ad Asclepio.
Noi ritorniamo a Socrate, ma Socrate non ci è padre. Noi siamo sempre al di là o al di qua della soglia.
Nel dia-logos abbiamo passato il frammezzo, la striscia sottile che unisce e separa la terra e il cielo, il prima o il dopo, il dentro e il fuori... chi sta nel frammezzo raccoglie chi entra che è anche chi esce.  
Sulla soglia stanno le voci il daimon, la mania e cicale che cantano, cantano…
La soglia è la domanda, l'interrogativo che non esce e non passa da sé ad altro, verso risposte, cioè decisioni, ma che si mantiene presso di sé, nel domandare e nel pregare attonito che raccoglie in un attimo ciò che lasciamo e ciò che troviamo.
La soglia è un auriga senza frusta dove il cocchio della vita semplicemente va, errando nello spazio, né a destra né a sinistra perché la sferza non ha ancora aperto direzioni.
Noi ricordiamo Socrate, il muto, grazie a Platone, il figlio illegittimo. Ma il silenzio di Socrate attraversa la storia e non passa; nella storia Socrate è ancora la soglia, in questo mondo di carta e parolaio. Socrate è ancora in silenzio che calamita il discorso, il silenzio che attrae la storia e la apre verso nuove possibilità.
Ma Socrate, la soglia, ostinatamente tace, Socrate la sfinge, guarda mondi invisibili, Socrate levatrice di scienze e di discorsi, ancora non parla.
Gesù, figlio di povera gente, fiore splendente del deserto di Palestina, oasi per gli assetati, lanterna che splende nel lontano passato, lucerna che illuminano l’uscio.
In questo buio ancora sfidi la mente, su questa terra ancora la croce sul Golgota trafigge il cranio, la testa.
Intatte sono le tue mani, più profonda la ferita che legno apre nella mente e nella vanità.
Gesù, porta del sole, soglia d’amore, ancora odo il gallo cantare.
Anche Tu, porta splendente, hai incendiato il mondo, e quale incendio!
Nel Tuo nome l'odore di carne bruciata ancora sale al cielo, nel tuo nome l'uomo ha ucciso, bruciato, violentato, mutilato.
Anche Tu non parli, anche tu non scrivi. Eppure, Tu sei la porta del tempo, calendario e semina, mietitura e stoppie bruciate.
Terra e cielo passeranno, ma le tue parole non passeranno. Eppure non ci hai lasciato nemmeno una riga, un quaderno, un libro. Com'è che ancora ti ricordiamo?
Da Te cominciamo a contare il nostro tempo, ma tu hai vinto il tempo.
Ancora Agostino non confessava a sé stesso le proprie colpe, ancora il tempo non era stato creato, ancora il mondo poteva forse non essere solo tempo. Gesù, tu non sei tempo perché non passi e con tuo Padre eternamente canti la preghiera della sera: io sono Colui che è, io sono Colui che è.
Il tempo non è di Dio, il tempo è del diavolo, il tempo è daimon, templum, temnein, e la lama del divenire spartisce la soglia e nelle chiese cantiamo le tue Lodi; al di là della soglia, le Lodi di Cesare.
Io sono venuto come contraddizione. Ma che cosa dividi, Dio di pace che non parla? Che cosa dividi, Essere misterioso che tu stesso sei diviso, uomo e Dio, tempo e essere? Ed io, posso comprendere il grande mistero, io che sono essere e tempo, divenire, passaggio?
La Tua croce, piantata sul Logos, smentisce ogni cosa del tempo. Solo l'amore, solo l'amore comprende il grande mistero perché anch’esso mistero.
Ma tu, Dio che soffre, cortocircuito della mente, distendi le mani, imponi le mani e mondi l'uomo dai suoi peccati, dalle sue ferite.
Io Ti penso così, muto tra folle allo sbando, muto tra folle senza sole che attendono la luce e un gesto, muto nella solitudine del deserto... Dio degli umili, com'è che parli greco? Dio dei puri, com'è che è un uomo vale molto più di cinque passeri? Oh Gesù che parla con la barba di Aristotele, dov'è il tuo dolore?
Oh Gesù, Tu credevi di essere Dio e uomo, ma ti hanno fatto parlare ed è questa la tua condanna è la tua croce.
Le tue parole non passeranno, ma Luca, Giovanni? Perdonate loro perché non sanno quello che fanno... Ma noi sappiamo quello che fanno questi cacciatori di verità, questi bracconieri della fede, questi usurpatore del libero arbitrio!
Voce di Colui che grida nel deserto e che nel deserto o tra gli ulivi cercava pace e serenità, guarda come i Tuoi pastori pascolano il Tuo gregge!
Tu che nella solitudine e nel silenzio del deserto hai vinto il peccato, Tu che sei uomo, perché, dimmi, non possiamo guardare in faccia il sole? Perché non possiamo cuocere da soli il nostro bisogno e il nostro desiderio di infinito? Perché altri scrivono per noi le ricette della sazietà e della pienezza?
Oh Gesù che parla greco, chi ti ha strappato il tuo sorriso il tuo linguaggio?
Tu sei ancora voce di Colui che grida nel deserto ed io sono un eremita che non frequenta chiese perché sono un uomo e in questa solitudine io Ti trovo, in questa solitudine io Ti sento.
Come sono blasfeme le Sacre Scritture che creano santi ed eretici, minuscole e maiuscole!
 Com'è blasfema e perfida questa soglia che divide il bene dal male, oh Gesù, quanto poco Ti appartiene questa scrittura che divide e giudica, questa sapienza dei santi, questa teologia che sa di muffa e che crede di cogliere l'infinito e l'eternità imprigionandolo in una parola!
Io Ti aspetto là, al sepolcro, là dove la soglia e la parola salta, dove donne che non parlano greco, ma conoscono l'amore, ancora annunciano la Tua vittoria.
Zarathustra, pietra filosofale, ancora contempli per noi questa porta carraia, ancora ti tieni sull'uscio e sulla soglia sorreggi -novello Atlante - il tempo e lo spazio e ancora annodi due strade.
Zarathustra, tu l'hai detto, quella porta si chiama attimo, ma in quell'attimo si apre un'altra eternità, un altro mondo e altri dei splendono all’orizzonte.
Zarathustra, ponte verso l'ignoto, visione ed enigma che la storia non scioglie, soglia che non possiamo varcare, cantore divino che danza su tutte le cose, anche questo tu sai, che anche tutte le cose danzano con te, perché tutto è eterno e il centro è dappertutto e eternamente l'essere si costruisce la medesima abitazione.
Grande casa dell’essere dove tutto torna, tempio che raccoglie il possibile l'impossibile, l'apparenza e la verità, la possibilità e la necessità, briciole di filosofia e gaia scienza; grande casa dell’essere dove muore il pastore e il serpente, non è questo morire un eterno ritornare? E non devi allora anche ritornare il grande disgusto per l'uomo, quest’essere della conoscenza soffocato dalla conoscenza?
Anche l'uomo piccolo ritorna eternamente! Ma allora perché tanta gioia per questo funerale che infinitamente si ripete? Forse, Zarathustra, segretamente pensi che questa bara non debba anch'essa ritornare? Che questa bara sia dunque una soglia e una porta aperta solo a ciò che è già pronto a passare?
 Forse che non tutto il “passato” torna? Forse che questa bara raccogliendo il pastore e il serpente, è nuova soglia, nuovo inizio e inizio di un'altra storia, di un altro mondo, senza passato e senza soglia?
Oh, pastore che uccidi il serpente e te con lui, chi sei “tu”, ora? Non più pastore, non più uomo, ma un trasformato, un circonfuso di luce...
Tu, nuovo essere senza nome che balla il suono di una nuova lira, quale nuove armonie hai udito provenire da quella bara-carillon, da quella lira che non è forse già più arco che uccide, vita che muore opposti che vicendevolmente si elidono, esseri che si incontrano solo nel duro abbraccio della guerra?
Hai scoperto nuovo Apollo?
Oh, pastore trasformato che guarda altrove, perché Zarathustra è ancora braccato dal desiderio nostalgico del tuo riso?
Oh, pastore che soccombe a sé stesso, questa nuova lira, questa nuova vita, questa nuova storia, questo nuovo mondo virgola non è più Polemos?
Zarathustra, pietra filosofale, dove conduce questa via che si riparte da questa bara? Dove andiamo, traverso la soglia? Chi è il pastore che lasciamo di là della soglia?
Oh, pastore, anche tu, 10.000 anni fa, sei stato una soglia di pietra levigata, pietra nuova, e noi ti abbiamo seguito come armenti, pascolando armenti e proprietà, uscendo da un tempo senza storia...
 Tu, pastore, pascoli proprietà e categorie che sono diventate recinti e campi arati e legge, tu, pastore, pascoli proprietà divenute profitto e ciminiere che inquinano e soffocano l'acqua e il cielo.
Ma al di là della soglia, qualcuno caccia al sacro Pte che è mistero e casa, cibo e vestito.
Che hai, pastore di meglio da offrirgli?
Pastore che muore, verso dove corre il tuo ultimo anelito, il tuo ultimo riso? Che hai, pastore che muore, che possa persuadermi a lasciare i miei sentieri di caccia?
Oh, pastore, tu, sulla soglia, tieni nelle mani pane e vino e la brocca che, nel silenzio della foresta nera, hai tornito. E la brocca è veramente bella e lucente... Come le perline e gli specchietti con cui hai ingannato la mia ingenUITà che non è insulto, ma purezza.
Oh, uomo, questa brocca e tanto bella quanto vuota, come uomo, ancora un inganno, un sommo inganno!
Con questa brocca non placherai la tua sete, co questa brocca non sopravviveresti un sol giorno nel deserto di Sonora, con questo pane non sazierai la tua fame.
Non tiene acqua questa brocca, ma solo inganni, non racchiude la vita, ma solo illusioni perché la brocca non è reale e la vostra storia in essa non passa, ma vi resta conservata.
Forse questa brocca conterrà un giorno dell'acqua e vita, forse un giorno la storia passerà in essa ed essa diverrà soglia, ma voi, ancora, da altre anfore mesciete la vostra acqua.
Il dolore ha pietrificato la soglia e la cosa riposa in essa e non passa.
La cosa è ancora sulla soglia della casa, quasi noumeno, pensata e non conosciuta, sognata e mai usata.
Nella mia casa, circondato da soglie, imprigiono il mio gesto.
Nella mia casa stanze come categorie dividono lo spazio e il corpo.  Costruiamo come pensiamo.     E io sono sempre un po’ meno di uomo.
Sempre un po’ meno di uomo -esploso- di volta in volta passando, varcando una soglia sono, in luoghi diversi che la sogna spartisce, padrone, amante, poeta, padre, cuoco, animale.
Ma qualcuno rompe la soglia e la casa, qualcuno vola sul nido del cuculo, qualcuno riprende il suo nido, qualcuno infrange la casa, qualcuno, rompendo il silenzio, riprende la parola e per mano la conduce nella patria che non ha soglia. Passato è il passare.
Là, nello spazio aperto, cavalco arcobaleni e immagino viole, nella neve accendo fuochi che scaldano il sole, raccolgo le more e giungo a una tenda di pelle, ha una casa di neve/... il loro calore   mi è sconosciuto, ma non c'è uscio, non c'è soglia... solo la terra e la neve mi conducono dentro dove brillano stelle, dove tutto è assieme e si tiene per mano, il nonno che è pietra e memoria, la donna che è gioia, la sacra pipa che è tutto.
Hanta Jo, aprite la strada, lasciatemi andare.

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