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I frammenti dell'anima



                                                                                     I frammenti dell’anima

La mia immagine, davanti a un vetro rotto, riflette le indistinte percezioni del sentire. In continua vertigine, i giorni si stampano su calendari dimenticati, su pagine dismesse. Ho cancellato i muri con le parole e svuotato il mio infinito in fumi sbiaditi.
Fra le mani, le macerie dei ricordi dipingono una desolazione in bianco e nero. Non c’è spazio fra le lettere stanche di un libro, che, nell’oblio silenzioso della notte, si addormenta al mio fianco come un fanciullo triste.
Vortici di frasi, nel mio sogno che lascia un po’ del suo profumo durante il giorno. Sento il mio fluido insinuarsi là dove il pensiero si infrange.
Mesi come tenere cascate iridescenti continuano a scorrere, centellinando il respiro dei poeti sognanti. Continue vertigini mi conducono con violenza nella terra di nessuno. Anime in dono, gambe in seduzione, visi amanti del vizio.
La mia anima e i suoi filtri parlano di stanze inabitate, di letti scarni e occhi vagabondi. La libertà, come un demone selvaggio, cattura il mio corpo e lo rende immortale. Ebbrezze e veli di caos ricoprono la realtà nuda, spoglia della materia artistica.
Interrogo la saggezza del sé, ma una voce gitana mi dice che l’erranza è il serpente della mia esistenza. Onde vaghe scuoteranno la linea retta del mio orizzonte in fiamme.
Provo a dare un nome all’alba, a ricordare un sogno del mattino, ma la finestra semichiusa mi fa sprofondare nel divino gioco delle luci e delle ombre ballerine. Vedo la musica riflessa come un dolore accarezzato sulle guance di quelle danzatrici leggiadre. Ascolto echi di note sulla pelle, mentre una voce dall’accento dolce si fa sempre più lontana.
Un matrimonio di contraddizioni il mio risveglio.
Mi addentro con difficoltà nella dimora dei sentimenti. Foto e immagini di sorrisi bagnati dal mare mi ricordano che l’eternità è una malattia incurabile. Soffro di sublime e la febbre della passione mi conduce per mano verso abissi insanabili.  
Il pianto dei suoi occhi vorticava fra i vuoti assenti delle mie dita. Cercavo di dipingere l’aria greve che, carezzevole, si insinuava fra i nostri spazi incontaminati. Risucchiavo una sostanza immobile, invisibile, che declinava i miei pensieri. Un solo istinto: la fuga verso il centro del mio egoismo.
L’ideale frantuma la realtà, la rende cieca, misera, inutile. Gli inferi attendono le nostre cadute su culle di fantasmi nereggianti che animano il nostro passato. Siamo un vaso di ricordi e di emozioni irripetibili.
Sul filo malfermo di luce argentina, emanato dalla luna al colmo della sua perfezione, un pensiero si perde qua e là, affogando. Un canto suasivo si srotolava sulla superficie increspata del mare. Brividi notturni si accompagnavano con la musica del nuovo freddo.
Devota alla poesia, l’unica amante che sazia, mi perdo, di nuovo sola, fra le luci di questa città che sonnecchia, mentre i violenti spasmi della mia anima in frammenti, come pesci destinati alla morte, si dileguano nelle acque colorate dalla bellezza profonda dell’universo.

Mariella Soldo-Notterrante

“La proprietà diventa libertà creatrice. Là dentro tutto si anima e diventa vero, anche i miei sensi e il mio orgoglio diventano verità umane. Invece fuori tutto è sudicio e falso, un intrigo di meccanismi che non appartengono a me”
                                                                                                                                            Guido Piovene, Romanzo americano

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