Il primo bacio vero - Maila Meini [mailameini] | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Il primo bacio vero - Maila Meini [mailameini]

Lia non è mai stata in quell’appartamento di amici di un amico del suo ragazzo, in uno stabile vecchio dietro piazza Manin, dove c’è il deposito dei pullman. Non conosce nessuno, eccetto Federico, che è al suo fianco. Protetta dalla sua risolutezza, si lascia trascinare dentro, saluta i presenti in una confusione di voci, di suoni e rumori. Finalmente, nella stretta rassicurante delle sue braccia, può abbandonarsi alle canzoni, lasciarsi cullare dal ritmo delle percussioni e dalle sue carezze.
Sta cominciando a sentirsi a suo agio, quando lui le sussurra: ”Andiamo via. Stiamo un po’ da soli.”
Lo segue, anche se preferirebbe restare nell’involucro caldo e amichevole delle parole e della musica. Escono fra i saluti indifferenti dei ragazzi che ha appena imparato a distinguere nella penombra di quel salotto polveroso di mobili antiquati, ammucchiati lungo le pareti.
Chiusa la porta, sulla rampa di scale che si appresta a scendere, imprevisto è calato il silenzio, che non è solo assenza di rumore, ma è un vuoto tangibile, ostile, che esige di essere colmato con urgenza. Federico è dietro di lei, la trattiene per la gala del vestito di chiffon che si è fatta cucire dalla sarta di sua madre per l’occasione, la fa voltare verso di sé, incombe su di lei, avvicina la bocca semiaperta alla sua. E’ assalita da un panico sottile, acuminato, da un presentimento di totale inadeguatezza. Vorrebbe spostarsi, girare la testa, rimandare l’evento, ma sa che non è il caso. Aspetta con trepidazione di sentire il tocco delle sue labbra, mentre il tempo pare fermarsi e i secondi si dilatano all’infinito.
L’attimo in cui i corpi e le bocche si toccano è scontato quanto improvviso. La tensione si allenta. Mentre inizia a rilassarsi, pensando di aver superato la prova, la lingua di lui, estranea e insistente, forza la chiostra dei denti, penetra nella cavità nuda, rossa, indifesa, fino ad allora inviolata della sua bocca, esplora, fruga, esce. Non ha il modo di imbastire una qualsiasi reazione che lui, socchiudendo gli occhi con espressione estatica, s’impossessa di nuovo di lei, varcando la stessa soglia con la medesima prepotenza di un padrone.
“Ti è piaciuto?” Le chiede poi.
“Non lo so. E’ la prima volta.”
Le gira la testa, una leggera, indefinita nausea l’assale.
“Andiamo via di qui, per favore.”
“Certo, tesoro. Stai tranquilla. E’ emozionante il primo bacio vero, per tutti.”
Scendono gli ultimi gradini, sono fuori, fra la gente che non riconosce l’imbarazzo che prova, il disagio che la opprime e di cui si vergogna.
Forse non è normale, ma non le è piaciuto per niente. Non se la sente di dirglielo né di farglielo capire, né ora né mai, quindi potenzia le manifestazioni del malessere che le cresce dentro, mascherandolo da emozione.
Federico la coccola, mentre vanno verso piazza Cavour, la rassicura: domani riparte per l’isola, ma presto tornerà da lei. Questo ora non le interessa. E’ diventato un nemico, tronfio com’è della conquista fatta, sicuro della sua performance, senza la minima perplessità di aver violato la fiducia che aveva in lui.
...
E’ un po’ come quella volta al cinema Aurora. Mentre sullo schermo si susseguivano le scene de “La principessa Sissi”, che le piaceva tanto, con il permesso distratto di nonna Ida, si era spostata in un’altra fila per vedere meglio. Un tizio, vaga figura scura nell’ombra della sala, intravisto appena con la coda dell’occhio, aveva cominciato ad accarezzarla, risalendo con tocco leggero e deciso dall’orlo della gonna sempre più su, fino ai suoi seni ancora inesistenti. Lì si era fermato, indugiando in un movimento rotatorio, pressante, mentre con l’altra mano trafficava sotto la giacca.
Non riusciva a muoversi. Rigida come una bambola di celluloide, gli occhi di vetro incollati allo schermo, cercava di concentrarsi sui dialoghi degli attori, di perdersi nella tenerezza del loro grande amore, di non esserci, per ignorare il formicolio strano che sentiva addosso e quello sciacquio accanto, che non sapeva cosa fosse, ma che la intimoriva e le faceva ribrezzo.
Quando le luci si accesero, alla fine del primo tempo, si alzò con cautela, tornò al posto, dov'era prima, come se non fosse successo niente.
All’uscita incrociò lo sguardo ammiccante di un uomo malmesso, con un sorrisino storto sulle labbra. Trascinò via la nonna, strattonandola perché si affrettasse e mentre quella s’infuriava e la rimproverava con acrimonia per la sua maleducazione con le solite parole acide che aveva sempre pronte per lei (“Piastrina! Piccinaccola! Capra ignorante!”), la profonda nausea che le premeva alla bocca dello stomaco cominciò a scemare, lasciandola stremata, come dopo una lunga malattia.
Seguì in silenzio la donna, con gli occhi a terra, contando le crepe sul selciato, assaporando i consueti improperi inviperiti che stavolta l’avevano riportata nel suo mondo, non sempre gradito, ma per lo meno familiare e rassicurante.
Non avrebbe mai raccontato niente a nessuno, decise, perché non era in grado di sciogliere il groviglio di sensazioni che aveva provato e poi, le parole, uscendo, avrebbero dato forma e consistenza all’accaduto, regalandogli una realtà concreta, che non si poteva permettere di affrontare. Le sarebbe bastato non indossare più il vestito giallo con la sottogonna rigida che, solo fino a poche ore prima, la faceva sentire una principessina.

Maila Meini [mailameini]


-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Supervisione Paolo Rafficoni
-Testo selezionato da Francesco Anelli
-Racconto di mailameini
-tutti i diritti riservati agli autori, vietato l'utilizzo e la riproduzione di testi e foto se non autorizzati per iscritto

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