Alfonso Gatto | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Alfonso Gatto

scrittori 900 Alfonso Gatto
 

Alfonso Gatto nacque a Salerno nel 1909, figlio di una famiglia di piccoli armatori. Dopo un’infanzia spensierata e un’adolescenza burrascosa, frequentò l' università poi disertata. Lavorò come commesso, precettore in un collegio, correttore di bozze e giornalista. Nel 1938 fondò a Firenze con Vasco Pratolini la rivista letteraria " Campo di Marte". Le sue liriche si distinguono per la musicalità dei suoi versi che narrano d’amore e di sofferta quotidianità, dove all’impegno civile si unisce il ricordo nostalgico dell'infanzia e della sua terra d'origine. Il suo linguaggio è spesso limpido, musicale, si sviluppa passando attraverso un appassionato lirismo umanitario, fino al raggelarsi della parola nella riflessione della morte e del mutamento misterioso della vita e della sofferenza dell’umanità. Con Alfonso Gatto voglio ricordare la Poesia, oggi forse troppo lontana dalle esigenze di questa società inquinata senza punti di riferimento, i valori buttati alle ortiche, voglio ricordare i Poeti che hanno fatto grande la cultura del Novecento italiano e oggi ingiustamente dimenticati. E, ricordo nei ricordi, desidero farlo con un poeta, abbiamo condiviso la terra e il mare, Alfonso Gatto, poeta salernitano, morto prematuramente nel 1976 in un incidente stradale nei pressi di Orbetello. Opere principali:

Poesia:

Isola, Napoli 1932
Morto ai paesi, Modena 1937
Amore della vita, Milano 1944
La spiaggia dei poveri, Milano 1944, nuova edizione Salerno 1996
Il capo sulla neve, Milano 1947
Nuove poesie 1941-49, Milano 1949
La forza degli occhi, Milano 1954
La madre e la morte, Galatina 1959
Poesie 1929-41, Milano 1961
Osteria flegrea, Milano 1962
Il vaporetto. Poesie, fiabe, rime, ballate per i bambini di ogni età, Milano 1963, nuove edizioni Salerno 1994 e Milano 2001
La storia delle vittime, Milano 1966
Rime di viaggio per la terra dipinta, Milano 1969
Poesie d'amore, Milano 1973
Desinenze, Milano 1977 (postumo)

Prosa:

La sposa bambina, di Firenze 1944, nuove edizioni Firenze 1963 e Salerno 1994
La coda di paglia, Milano 1948, nuova edizione Salerno 1995
Carlomagno nella grotta. Questioni meridionali, Milano 1962, nuove edizioni Firenze 1974 (come Napoli N.N.) e Salerno 1993
Le ore piccole (note e noterelle), Salerno 1975
 

 
La costiera d’Amalfi
La strada che da Vietri a Capodorso
a Minori, ad Amalfi sale e scende
verso il mare di Conca e di Furore
è strada di montagna: vi s’arrende
la luce che nel trarla dosso a dosso
ai suoi spicchi costrutti trova il fiore
del lastrico deserto, la ginestra.
E l’ombra passa a approfondire il verso
dei suoi displuvi, l’onda dei tornanti
alle case di vetta: una finestra
dai vetri d’alba s’apre per l’oriente
alla breva serale.
Calma fragranza, il sonno nel riverso
meriggio è già l’amore,
un frascheggìo di pergole di scale
e di voci passanti,
il fumo di chi vive col suo niente
una giornata d’aria.
La pergola
I primi freddi e l'ultimo tepore
dell'ottobre marino, la canaria
nel suo scialle di brividi ne muore
teneramente, quasi fatta d'aria

e di luce e di nulla, solitaria
cerula voce del posteggiatore
al suo filo di grazia, ma la varia
tristezza del suo volgere all'amore

il sollievo dell'anima è nel vento
prima di sera, ancora chiaro: porta
al largo la memoria ch'ebbe un volto,

un nome che ritorna dall'ascolto,
invocata distanza, luna sorta
dal nulla agli occhi dell'incantesimo.

 
 
Alla mia terra
Io so che nulla potrà mutare il nero della mia gente,
il soliloquio scende come una sera di scirocco
e non ha ragioni, non ha patria.

Io so che nulla palla spiegare la testa dura dei bam­bini,
mia madre non sa calmarli, scende per i vicoli la stel­la,
e d'ogni casa pare che venga e sia lontano il mare.

Io so che nulla si consuma, e profumo di mura e vec­chie notti
un vento solitario come ardendo nelle donne trabocca.
Le rovescia nella polpa degli occhi il solleone.
Anneriscono ardendo, lo spiraglio delle notti festose, il brulichìo
dei gioielli di voto in un biroccio di sonagli dirupa.
Io so che il corpo ammala ove l'abbaglio d'un ritratto è funesto,
il fuochista d'argento stralunato nella stanza del porto.
Il mare ventilava ì suoi capelli.
Io so che nulla potrà mutare il cuore della mia gente,
il pianto dentro i muri nella sera
di paesi violati da un respiro di vento appena.
I morti nuovi brucerà l'estate, fumerà l'azzurro
dai ruderi che l’afa slarga dal mare.
Ossessa ossessa, mia terra fedele al soliloquio
Che sale incontro ai monti e le gramaglie trascina, le sue colpe,
l’innocenza ferita come un figlio.

 
A mio padre
Se mi tornassi questa sera accanto
lungo la via dove scende l’ombra
azzurra già che sembra primavera,
per dirti quanto è buio il mondo e come
ai nostri sogni in libertà s’accenda
di speranze di poveri di cielo
io troverei un pianto da bambino
e gli occhi aperti di sorriso, neri
neri come le rondini del mare.

Mi basterebbe che tu fossi vivo,
un uomo vivo col tuo cuore è un sogno.
Ora alla terra è un’ombra la memoria
della tua voce che diceva ai figli:
- Com’è bella notte e com’è buona
ad amarci così con l’aria in piena
fin dentro al sonno - Tu vedevi il mondo
nel plenilunio sporgere a quel cielo,
gli uomini incamminati verso l’alba.
 

Torneranno le sere
Torneranno le sere a intepidire
nell’azzurro le piazze, ai bianchi muri
la luna in alto s’alzerà dal mare
e nella piena dei giardini il vento
fitto di case, d’alberi, di stelle
passerà per la grande aria serena.
Torneranno nel sogno anche le voci
delle famiglie illuminate a cena,
la rapida ebrietà del loro riso.

O finestrelle, pozzi, logge, vetri
attaccati alla vita, allo spiraglio
delle fresche delizie e dei rimpianti,
o luna nuova sulla mia memoria,
tornate ad albeggiare con quel canto
di parole perdute, con quei suoni
struggenti, con quei baci morsi al buio.
Siate la polpa rossa dell’anguria
spaccata in mezzo alla tovaglia bianca.
 

 
In un soffio
Risvegliare dal nulla la parola.
È questa la speranza della morte
che vive del suo fumo quando è sola,
del silenzio che ventila le porte.

Il passato non cessa di passare
e l'odore che sparve è l'aria calda
che ferma gli oleandri lungo il mare
in un soffio di mandorla e di cialda.

La rosa
La rosa se l’azzurro la colora
Di sé rossa nel verde alza la rosa,
rosa di macchia fulgida la rosa
rossa d’azzurro, viola d’acqua nera.
 
Ai monti di Trento
Bei monti della sera
azzurra è già l'Italia...

Penso a mia madre sola con la luna
nella notte d'ottobre, ancora estiva
la brezza muove i suoi capelli, imbruna
sulle case d'intorno...

Così la chiara spera
dei monti a lungo ammalia
nei pascoli la sera.
Odora già l'Italia
di polvere e di rose.

Era la luna ancora effusa al giorno,
mia madre a lungo sul mio capo pose
le mani e disse:"vedi, a noi d'intorno
il tempo s'è fermato..."

Bei monti della sera
azzurro è il mio passato.

 
Canto alle rondini
Questa verde serata ancora nuova
e la luna che sfiora calma il giorno
oltre la luce aperto con le rondini
daranno pace e fiume alla campagna
ed agli esuli morti un altro amore;
ci rimpiange monotono quel grido
brullo che spinge già l' inverno, è solo
l' uomo che porta la città lontano.

e nei treni che spuntano, e nell' ora
fonda che annotta, sperano le donne
ai freddi affissi d' un teatro, cuore
logoro nome che patimmo un giorno. 

Le vittime
La storia fosse scritta dalle vittime
altro sarebbe, un tempo di minuti,
di formiche incessanti che ripullulano
al nostro soffio e pure ad una ad una
vivide di tenacia, intente d'essere.

Gli inermi che si scostano al passaggio
delle divise chiedono allo sguardo
dei propri occhi la letizia ansiosa
d'essere vinti, il numero che oblia
la sua sabbia infinita nel crepuscolo.

Dei vincitori, ai ruinosi alberghi
del loro oblio, più nulla.
Rimane chi disparve nella sera
dell'opera compiuta, sua la mano
di tutti e il fare che e' del fare il tenero.
E' il nostro soffio che gli crede, il dubbio
di perderlo nel numero, tra noi.

 
L’alba
Com’è spoglia la luna, è quasi l’alba.
Si staccano i convogli, nella piazza
bruna di terra il verde dei giardini
trema d’autunno nei cancelli.
È l’ora fioca in cui s’incide al freddo
la tua città deserta, appena un trotto
remoto di cavallo, l’attacchino
sposta dolce la scala lungo i muri
in un fruscìo di carta. La tua stanza
leggera come il sonno sarà nuova
e in un parato da campagna al sole
roseo d’autunno s’aprirà. La fredda
banchina dei mercati odora d’erba.
La porta verde della chiesa è il mare.
Caffè del porto
Il cane ha freddo e silenzio.
Solo come il cuore.
I marinai se ne sono andati,
da una mano all’altra passavano il berretto.
E la sposa stucchevole si gira
dentro lo specchio e mai si sposerà.
La pioggia spoglia gli anni
e la Vergine invecchia
col suo latte giallo.
Il cane ascolta il cuore
e il Sud è malinconico
come un vecchio confetto.
 
 
Io penso ai morti
Nella pioggia che batte e scioglie i cieli
– i grandi cieli all’improvviso soli –
io penso ai morti. Udranno a lungo i treni
chiamare in sogno le città perdute
e dare ai nomi dell’addio la voce
che resta della sera.

Sei, a chiamarti, il nome delle sere
che non risponde, ma potresti avere
bisogno del racconto, d’una voce,
per questa pioggia che ti fa più sola
dei lumi senza requie.
                                          Tornerai
dalla musiche morte, dalle gronde
dei tuoi mattini, amore che riprendi
dal naufragio l’ala del tuo volo. 

 
 
- Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
- Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
- Testi e scelta delle poesie di Antonio Ragone
- Editing:  Anna de Vivo
 

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