La ballata del presbitero | Prosa e racconti | alvanicchio_Girolamo Savonarola | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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La ballata del presbitero

Margherita disse: Giornate no ? ma,
...non chiedere
...non significa
...non aver desideri.
Michele rispose:
"...e cosa significa??", "il desiderio è una speranza??"
Soggiunse don Girolamo da Alvi, dicendo:
" il desiderio non è una speranza, è la compensazione di un vuoto. La stessa cosa che avviene nel principio fisico dei vasi comunicanti.
Il desiderio è il bisogno che si sente per la luce necessaria a diradare le tenebre che si accumulano nella nostra anima. Purtroppo, proveniamo dal buio, ed il buio lascia molte tracce sul nostro percorso terreno".
Anna aggiunse:
" Girolamo, questo si!!! sono queste le parole che volevo sentir dire".
E don Girolamo, galvanizzato dall'inaspettato elogio, disse ancora:
" Ohhhh grande Astro, cosa saresti tu, se non avessi coloro ai quali risplendi", "Quindi, cari amici, il desiderio non è altro che bramosia di luce, bramosia di verità nascoste".
Dissetata dalla inaspettata risposta, Anna aggiunse:
"Certo, il desiderio è luce! È la torcia che illumina il nostro cammino".
Allora don Girolamo, con il dito puntato verso l'alto mentre lo ruotava in senso antiorario, aggiunse:" Attenzione però! molta luce abbronza, troppa luce brucia e riconduce nelle tenebre. Quindi, è nella medietà che si trova la virtù, come su un ipotetico asse dove il coraggio si posiziona tra la temerarietà (posta da un lato) e la paura (posta dall'altro lato). Ora ditemi, nel vostro cuore, quanta paura c'è? "
Tutti, tacquero; e solo il ronzio di un insetto ruppe il silenzio.
Non appena il silenzio fu rotto, don Girolamo aggiunse:
" perché, cari amici dovete sapere che desiderio e la paura, spesso, viaggiano a braccetto".
Anna:
"Certo! nella giusta misura e nei momenti peggiori io....."
Tutta tremolante, non ebbe il coraggio di chiudere la frase.
L'acuto don Girolamo colse subito l'attimo d'interdizione, ed aggiunse:
" Amici, nei momenti peggiori della vita, bisogna ridurre la portata di ogni desiderio, e con esso bisogna ridimensionare tutto; sappiatelo e ricordatelo per sempre!"
Questa volta il dito si muoveva, aritmicamente, avanti ed indietro, fendendo l'aria come una sciabola. Don Girolamo continuò a dire:
" Quindi, si riduce anche quell''asse ipotetico, su cui si misurano le virtù";
"E' come se quell'asse si trovasse in un imbuto, più sta vicino al centro, più ridotto è l'asse, e più ridotta è la virtù".
" Però, ...se non volete cadere nel baratro , dovete riallungare gradualmente quell'asse su cui ponete la vostra virtù; e per riallungare l'asse dovete allungarne gli estremi. Ad esempio, nel coraggio prima si spinge la soglia della paura verso l'esterno, poi si spinge la soglia della temerarietà, sempre verso l'esterno...Senza eccedere mai, ne da una parte ne dall'altra". "Ma tu sei troppo mielosa, cara la mia Anna, per capire queste cose!!!
Quindi, ti consiglio di frequentare di più, il mio convento; dovresti frequentare di più il Pio Convento Itinerante del Sacro Fonte, ...per erudirti!!!"
Anna, presa di nuovo da quel fremito tremolante, disse:
" Padre, nei momenti migliori hai la felicità! Quale luce migliore? nei momenti peggiori hai i desideri e...." .
Anche questa volta Anna non completò la frase, la paura stava penetrando nella sua anima; si stava impossessando della sua ragione; la paura si stava impossessando del suo stesso corpo.
In quel momento, don Girolamo da Alvi alzò le braccia verso il cielo e, sospingendo gli occhi verso l'infinito, aggiunse:
"E ricordatevi, che un'anima malata può trovare la cura solo frequentando determinati ritrovi spirituali, solo frequentando il Pio Convento Itinerante Del Sacro Fonte. Nei conventi non è racchiusa solo l'esperienza mistica, lì è racchiusa anche la pace interiore, la filosofia dell'anima e dello spirito. In questi insegnamenti, il grande Pitagora addusse, millenni orsono, la cura dello spirito, del corpo e delle anime. La mistica religiosa che predica la resurrezione, si sposa e va a braccetto con la metempsicosi pitagorea. La religione va a braccetto con la trasmigrazione delle anime dopo la morte.
Questi discorsi stordivano! Così, una mattina, Anna si ritrovò seduta sul letto di don Girolamo da Alvi; si era svegliata prima di lui e stava ripensando a tutte queste cose, parola per parola, attimo per attimo, non sapeva cosa fare.
Si rese conto che era stata troppo temeraria nel seguire il presbitero fin dentro il suo letto. Ed Ora?
Ora aveva paura, non sapeva cosa fare e poi,- quando si dice la sorte! Poi vide un cesto di fave secche. Su quel cesto di fave riordinò la sua ragione, ripensò a Pitagora ed ai suoi insegnamenti. Prese una fava, la volle mangiare di proposito, proprio perché Pitagora considerava le fave un elemento impuro, e cominciò a sgranocchiarla. Si sa! Alcuni Presbiteri usano le fave al posto delle caramelle: rilassano perché impegnano la masticazione, senza apportare effetti collaterali come i dolciumi.
In qualsiasi persona rilassata, si stimola la riflessione! Anche Anna cominciò a riflettere e pensava:" Si sa! La gioia ed il tormento del pensiero umano, porta il nome di riflessione. La riflessione non è una prerogativa riservata a pochi eletti, non è prerogativa dei Presbiteri ma sorge dovunque si affatica la mente. Ora la mia mente è affaticata su quel che ho fatto; non dovevo farlo."
Ma gli tornava in mente quell'asse posto sopra l'imbuto: è vero! Sono stata troppo temeraria, ma se ripenso a tutte le volte che ho pensato di suicidarmi, questo è niente.
Quante volte aveva pensato di suicidarsi, quante volte era arrivata al punto di farlo; e quante volte si era trattenuta dal farlo.
Ed ora? Ora non lo so! Non so più niente. La sua vita viaggiava sopra un insano senso di colpa: "perché l'ho fatto? perché la ragione mi ha abbandonato?".
E quella fava che ancora teneva in bocca, roteava senza sosta..., stentava a sciogliersi, non voleva proprio sciogliersi; d'altronde, non era una caramella.
Quella fava stava lì a ricordargli che la sua anima si era inquinata, stava lì a ricordagli che aveva peccato contro la sua stessa ragione: aveva ragione Pitagora, pensò! senza profferir parola.
Si consolava così, rifletteva: "D'altronde molti racconti mitici legano la fine di Pitagora e dei suoi discepoli alle fave stesse; forse, questa sarà la mia fine!" .
Anna camminava silenziosa lungo il viale innevato da un insolito maltempo. Il freddo era pungente, penetrava fin dentro le ossa, ma lei non lo sentiva. Proseguiva il suo cammino con la testa bassa come se volesse evitare la luce del sole, come se questa volta volesse trattenere le tenebre nella sua anima.
Il freddo era intenso, ma la riflessione stimolata dalle fave, mitigava e misurava i suoi battiti cardiaci, il sangue le scorreva lento nelle vene, come un fiume calmo, quasi immobile.
Fintanto che, all'improvviso, il suono di una voce femminile richiamò la sua attenzione:" Ciao Anna, Buongiorno! come mai da queste parti?".
La voce di Margherita era ben timbrata, solare e musicalmente orecchiabile.
Anna alzò gli occhi, il suo aspetto era pessimo, non sapeva cosa dire e di nuovo avvertì quel fremito di paura e stupore.
Succede che nella vita, alcune volte, si percepisca l'immobilità del tempo; si percepiscono quegli attimi che fermano il tempo, come attimi immobili, che non scorrono via; come se stessero lì, a rimarcare la caducità della propria forza d'animo.
In quel momento mille pensieri attraversarono la mente di Anna, mille domande vagano senza risposte. Ed il tempo sta lì, immobile, fermo, a rimarcare ed evidenziare la distanza che corre tra una domanda e la relativa risposta.
Solo un automatismo ruppe quell'incanto:" Sto bene grazie, e tu come stai?".
Però,l'immobilità del tempo aveva lasciato il segno e Margherita se ne accorse e non volle infierire: "io sto bene Anna, ma ti vedo un po' scossa... cos'è successo?".
Di nuovo quella sensazione, di nuovo quegli attimi che non passano, di nuovo quel tempo che si ferma facendo accavallare mille pensieri, uno sopra l'altro, in una testa che sta per scoppiare.
Anna aveva voglia di sfogarsi ma si trattenne, non sapeva cosa fare.
Fu di nuovo Margherita che ruppe il silenzio:" vieni facciamo colazione insieme, ti offro un caffè".
Su quell'attimo Margherita seppe cogliere l'occasione del momento e seppe ascoltare il silenzio, senza porre domande.
Nel frattempo, il tepore del bar accarezzava l'orecchio di Anna che si mise ad ascoltare Margherita dedita a raccontare le sue ultime vicissitudini.
Così, Anna chiuse a chiave quel giorno.
Fu di nuovo margherita a parlare, perché si sa, certe volte l'inferno degli altri diventa sempre l'alibi per giustificare il proprio inferno.
Forse per questo motivo, forse perché non voleva infierire sullo stato d'animo di Anna, Margherita iniziò a raccontare nuovo le sue vicissitudini, andando a ritroso nel tempo:"Anna, vuoi sapere una cosa? Sono giorni che un velo di tristezza alberga nel mio cuore e lì c'è ospite non gradito, c'è un amaro pentimento. L'effetto che ha su di me.......sai, e' inquietante."
Margherita, accavallò elegantemente le gambe sopra i suoi pensieri e iniziò il racconto.
Il tempo dimenticò il suo frenetico ritmo, e le due donne si ritrovarono ben presto perse nei meandri delle storie umane. Paura, timore ed una malcelata tensione sopra quella prosodia irreale. Talvolta le due donne coloravano il loro vanto e le architetture salvifiche delle loro storie. Storie volteggiava sempre l'indiscreta mediocrità sentimentale e l'insoddisfazione del loro animo.
La vita è come una sinusoide che limita i picchi della felicità e talvolta pone delle curve vorticose che spingono verso il baratro. Di nuovo quella paura, quel timore, e quella sorte di malcelata insoddisfazione che si impossessa delle anime nei momenti di sconforto.
Anche qua, l'intelletto delle due donne, stordito, vagava senza spazi temporale, negli insoddisfatti campi delle adolescenziali aspettative.
Quanta speranza, quanta passione e quanta delusione alberga nei nostri cuori; e lì, la mente vaga, indaga, disquisisce, quando l'anima più languisce, sopra lo sconforto che la paura crea.

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