Scritto da © alvanicchio_Gir... - Mer, 26/11/2014 - 11:14
E fu così che il pio curato fece avvolger dalle ceneri tutto il sagrato!
Su quell'altare dove aveva giurato, d'esser uomo di fede, dinanzi al creato.
Ohhh sorte infame!
Quante diete d'orgoglio alla vita scremasti,
per reprimere tutte le voglie che la mano congiunse al lieto passo.
Ora arde la carne che dinanzi al desio, disse quell'unica volta: "Amo Dio".
...Aspetta!
non esser precipitoso di mettere le cose tutt'insieme, guardando a ritroso.
La storia é appena cominciata, la dama di cui narro non è ancora nata!”.
Ma una cosa è certa.
Di certo l'incerto sta per d'inventare prosa; che porga una rosa alla sua sposa.
Ohh mio signore!
"Quanta speme mi pia. Oh anima mia, su quel fuoco che arde al tuo candore".
"Ohh come vorrei comporre il desio, e scriver racconti di milesio furore;
accarezzando orecchie, disposte a sentire, affetto e dolore,
su questa favola bella che un tempo m’illuse in tramutar di forme, tutta la sorte".
... Sapete!
Quel pio curato creò aspetti diversi, intrecciando bagordi dal torbo colore.
Quel protagonista, d'effimero aspetto, che nacque felice laggiù nel suo letto.
Là dove il tepore allieta la morte, di quel fanciullo, io narro la sorte.
Gli affari in famiglia volgevano male e nel seminario si mise a studiare.
... Ricordo benissimo!
Andava lontano, ed Il sole guidava , abbagliando la mano:
Laggiù in Tessaglia, per un buon affare, lungo il tragitto, si mise a guardare:
"eccolo lì! ... mi sta ad aspettare"; ed il convento cominciò a rimirare.
Il padre disse, con tono imperioso: "codesta è panzana, non ci sperare!".
Ma l'acqua dal cielo Dio fa ritirare, e poi separa i monti dal mare.
Neppure lì, nascosto, lo intese, quel che natura genuflette in figura.
E replicò con maggiore chiarezza: " Voglio esser chiaro, la mia bellezza, si trova tutta nella stranezza".
Tappandosi orecchie, con mente ostinata, prese la strada, per lui già segnata.
Udiva ancora quel filo di voce, che pronunciava un discorso feroce:
"la vita rigetti, tappandoti orecchie, senza conoscer chi ha tanto sudato, l'amor per la vita al suon del creato".
Sol dopo intese l’antico concione , passando nel fuoco, della sua passione.
E la sera stessa, tra convitati, iniziò a mangiare con i suoi frati.
Porgevano bocconi di grossa polenta, che nella gola, scendeva giù lenta;
e dal pertugio, presto e beato, fece uscire la voce, del Dio pregato.
.. Ohhh mio Signore!
"Anch' io vorrei comporre di mio, e discorrere ubriaca su tutto il desio.
Risentire ancora quel mormorio, che freme lieve sul corpo mio.
Il vino brioso scende veloce, e tutto risplende nella mia mente.
E vo accarezzando con mano il desio, che ora trovo solo nel gorgoglìo.
Quanti suoni s'attenuano al tuo lieto canto; solquando mi siedo, con Bacco accanto.
Quanto dolore ho sopito nel pianto; e quanti dolori ora piango, nel rimpianto.
Ancella austera, nacqui veloce, e sotto un segno di croce posi la voce.
Dal viso solare e di bell’aspetto, presi il merito ed il rispetto;
d’un uomo forte, d'austero vigore, che la carezza passò sul mio cuore.
Ricordo, bambina, la casa piccina; di bianco colore quell'arancio in fiore.
Il frutteto accanto, che guardavo al mattino, e non lontano, cantavo, vicino.
Oh quanti ricordi, al bisbiglio del sogno: il carretto, il gelato, il vestito imbrattato.
E correvo veloce sotto la noce, dicendo: " Amo il mio canto, che nella fantasia dona colore e vanto".
Quando il Curato, presto e beato, s' inchina nel letto, al mio cospetto.
Quel ch'io dico non è ironia, che possa ferire l'amica mia.
Adolescente, suadente, cantai dottrina: quando il curato mi prese la mente.
"Oh quanta paura al suo cospetto" quando di notte, s'infilò nel letto.
... Ma cosa dici, o mia signora?
Quello è il gran giorno, della malora.
Quando io stavo ai pie del tuo letto, tutto disteso, nel bell'aspetto.
E per giocar non vi fu ora, e il ricordo tormenta, ogni mezz'ora; e torno lì, per la malora.
Stridono cardini, crepitano assi, dannando l'anima a grandi passi.
Scava anfratti, contorce budella, il calore della pietra sulla favola bella.
Inizia la battaglia tra cervello e cuore, dove perisce, solo , il ferito Amore.
Scivolano lenti i ricordi di ieri, su quei biechi sentieri, che lasciano arditi , altri, pensieri.
Che arrivi, che passi, gli occhi si schiudono e restano bassi.
Muoio!
Muoio ogni giorno, su labbra asciutte. Su sguardo ebbro aggredisco la sorte,
e con mestizia affronto la morte.
Risorgo!
Risorgo il mattino, per un viaggio migliore! Eppure, sono forte, ma ora vedo solo la morte;
e non perdo occasione per stare a soffrire, vivere è difficile, più che morire.
Quando si muore si ha ben altro da fare, che stare lì , nel buio, a sognare.
La morte si mostra per quello che è: tutto il resto è silenzio, lo vedi da te.
Desideri, bisogni, antiche pulsioni, presto e beato, lassù nel cielo, non è contemplato.
Quando per strada trovai la scia, di quel che apparve all'anima mia:
“parole, dolore, aspettano amore, prima che tramonti alle spalle il mio sole”.
... “Si. Mio signore”.
... “Si. Mio signore”.
Su questa nota aspettai l'impronta di quella vita, a cui non era pronta.
... “ Ohh mia fanciulla”
Su tetti aguzzi le nuvole accese, correvano veloci sulle discese,
che dalla colonia porta al mare, la voglia stessa, di venire a guardare.
Da quella dolina, vicina all'onda, s’ infrangono fanciulle, contro la sponda.
E anche il sole diede di rosso, quello che fu un pianto scosso; che lento commosse il riveder lo schianto, di quella fanciulla sopra al suo pianto.
Gli spruzzi andavano dalla dolina al vento, solo per bagnare quel sentimento.
Gli spruzzi andavano dalla dolina al vento, solo per bagnare quel sentimento.
Allora misi, al polso manette, e sulla dottrina preghiere più strette:
Corsi al tuo orecchio, con filo di voce, per suggerire il dolore della croce.
Lo scopo era altro, lo sto a confessare, col tempo volevo sol farti sognare.
Lo scopo era altro, lo sto a confessare, col tempo volevo sol farti sognare.
... Aspetta oh mio amato!
Voglio che il cielo per te sia lodato.
Il Sagrantino mi porta lontano, ed io tocco ancora la tua mano;
quando leggera, dal fianco veloce, scorse laggiù, sulla mia croce.
Vibrava al vento, un brivido atroce, quando pervase il flusso di voce.
Chiedo alla stella un fiotto di luce; per vivere ancora, quel fremito atroce.
Perdermi in sogno, lo vorrei anch'io, prima d'assopirmi, a mondo mio.
Chiedo alla stella un fiotto di luce; per vivere ancora, quel fremito atroce.
Perdermi in sogno, lo vorrei anch'io, prima d'assopirmi, a mondo mio.
Convincere il vento a stare lontano, per sentire ancora , la carezza della tua mano.
Dalle carezze financo ai sorrisi, vibranti parole, un dolore atroce;
che nella vita fu il regalo più bello, dell'uomo mio, che mi prese in ostello.
Sui miei capelli, posò una rosa, e nella taverna rimango la sua sposa.
Sui miei capelli, posò una rosa, e nella taverna rimango la sua sposa.
La bianca sposa, che lascia i suoi veli, facendo cadere, a terra i pensieri!
Come foglie morte, sul crudo selciato, dell'amor mio, dall'onor calpestato.
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