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Alice e Andrea

Volgendosi al riflesso dello specchio, il suo sguardo sfumato di verde non parve soddisfatto di ciò che stava osservando. I fianchi, una volta stretti, si erano ammorbiditi in pingui gonfiori, così come l’addome, una volta piatto, presentava i primi cedimenti conseguenza della sedentarietà e degli eccessi 
Le spalle, benchè mostrassero ancora la tornitura delle ore di nuoto adolescenziale, parevano prive di vigore. Dal collo alla linea dei fianchi, proprio non si piaceva. Doveva rimediare. 
“Il primo passo è la dieta, poi esercizio fisico” - pensò - “Il terzo: la costanza”.
Abbozzò un sorriso. La costanza non era una caratteristica che gli si addiceva. Aveva smesso di fumare, ma non in virtù della costanza, quanto, piuttosto, perché non gli conferiva più piacere, neppure dopo il caffè. 
Dismetteva per noia e iniziava per curiosità, come fanno i bambini.
Pensò ad un nuovo tatuaggio, sul bicipite dell’avambraccio sinistro. Ne aveva visto uno old style che gli piaceva molto: una donna in immersione verticale con le braccia protese in avanti per cogliere una perla da una bivalve aperta, appoggiata sul fondo del mare. 
Gli piacevano i tatuaggi; ne aveva già uno sul deltoide destro; un disegno di Sailor Jerry: un Jolly Roger con al centro anziché un cranio, un viso di ragazza.
La radio stava trasmettendo “Killing moon” di Echo and the Bunnymen. 
La melodia condusse i suoi pensieri ad Alice. Era carina Alice. Corpo esile, ma atletico. Orgogliosa del proprio corpo ben formato e tatuato, molto tatuato, che mostrava con elegante disinvoltura. Aveva luminosi occhi verdi-nocciola, un naso piccolo e labbra lineari, ma carnose, un eloquio raffinato e arguto con quella cadenza tipica montanara che lo aveva sempre affascinato. 
Aveva conseguito la laurea in scienze dell’educazione, presso l’Alma Mater Studiorum, ma il diploma lo aveva avvolto al volante di un potente DAF rosa e viola per necessità imposte dal fato. 
Si erano conosciuti alcuni mesi prima tra gli scaffali di una libreria, “Mellops”, specializzata in edizioni per bambini e ragazzi. Erano alla ricerca di un libro da regalare. Andrea scelse “I fantastici libri volanti di Mr. Morris Lessmore” di William Joyce, Alice “Tutta colpa di un libro” di Shelly King. 
Uscirono insieme dalla libreria e insieme cenarono a Brisighella, sotto la Via Degli asini ad un tavolo dell’osteria di Guercinoro. Una tra le tante ottime osterie i cui tavoli, nel periodo estivo, occupavano gran parte della piazza Matteotti. I calici di Pagadebit, consigliato da Elena, scioglievano le lingue in chiacchiere confidenziali tra un boccone e l’altro di tagliatelle al ragù e tagliata con radicchio di campo.
Alice aveva una passione: scrivere; ed un desiderio: insegnare. Purtroppo il desiderio rimase tale. Prima la morte prematura del padre la obbligò a sedersi al volante del camion per pagarne il mutuo, l’alzheimer della madre poi, la spinse nella fisicità di veloci famelici rapporti promiscui, affumicati da pastiglie e sostanze varie, da cui fuggì quando percepì che la caduta pareva interminabile. 
Iniziò così a scrivere. Racconti brevi, anche autobiografici, frasi pensieri che le sorgevano improvvisi come i fari di un camion dietro una curva. Non lo aveva mai fatto prima. La rigenerava. A volte, di notte, le sorgevano fantasie le cui sensazioni le si insinuavano talmente sotto pelle che dovevano sfogarsi sullo schermo dell’inseparabile tablet.
Ad Andrea piaceva Alice; se ne sarebbe potuto innamorare, pensava osservandola. Aveva gesti eleganti, un buon profumo, un sorriso che ti imbrigliava, una vita movimentata. 
Non era, però, il periodo giusto per innamorarsi; mancavano sentimenti da donare e desideri sessuali da soddisfare. Occorre predisposizione anche per l’amore sia esso sacro ovvero profano.
“E tu? Che passioni hai? Chi sei?” – lo bersagliò.
Era facile risponderle. Figlio unico, che mai si era sentito amato dai genitori, con complessi di inferiorità, timido, immaturo, buffo e anche goffo, a volte. Simpatico, intelligente, curioso, sentimentalmente instabile, affetto da oniomania. 
“Cosa acquisti?” – chiese.
“Libri. Quando mi sento cupo e spento entro in libreria. Devo entrare in libreria – sottolineò con enfasi - e comprare assolutamente per sedare la belva vuota che mi divora. Il bulimico apre il frigorifero, io compro libri, più di quelli che è possibile leggere, ma anche fumetti. Adoro quelli editi dalla Bonelli. Manara è un mito. I suoi viaggi di Gulliver…”
Alice sorrise. “Io, invece, sono affetta da…beh…lo vedi”.
“Uscire a cena con ragazzi simpatici – disse Andrea grattando l’aria con gli indici ed i medi di entrambe le mani – incontrati per caso?”
Alice sorrise, comprese che Andrea non li vedeva proprio i tatuaggi. Non erano elementi rilevanti.
“Che lavoro fai?”
“Sono un…investigatore…cioè mi convoca la procura quando ci sono crimini particolari, ma non sono un poliziotto”.
“Che genere di crimini? Omicidi?”
“Sì. Omicidi eseguiti con modalità non usuali; efferati e violenti e anche scomparse improvvise”. 
“Ne hai risolti?”
“Alcuni.”
Dopo il caffè camminarono chiacchierando lungo l’antica Via degli Asini: una strada sopraelevata che, in epoca medioevale costituiva un camminamento scoperto per la ronda posta a difesa della retrostante cittadella, che si ergeva appoggiata alla roccia gessosa. Venuta meno l’esigenza difensiva sulla strada furono costruite le abitazioni dei carrettieri, birocciai, che trasportavano il gesso ed i ricoveri per i loro asini. 
Lungo il suo percorso ondulato di pietra, su un lato una serie di mezzi archi di ampiezza diversa, consentiva l’affaccio sulla sottostante piazza, dal lato opposto gli antichi ricoveri degli asini erano divenuti appartamenti preziosi. 
Giunti all’ultimo arco, si guardarono e Andrea sollevò Alice ponendola a sedere sul davanzale. Il vestito stretto le impediva di allargare le gambe. Andrea si avvicinò per baciarla. La bocca di lei si schiuse e una lingua piccola e vibrante iniziò a scivolare sulla sua come un pesce nella nassa. La lingua di Andrea era grande e ruvida e si muoveva con dolcezza profonda.
Quel bacio durò a lungo. Si ricordava stanco, dopo. Come se si fossero scambiati tutte le emozioni ed i ricordi vissuti. Fu un grande bacio e l’ultimo. 
Mentre si incamminarono in silenzio verso il parcheggio, tenendosi per mano, la luna rischiarava i tre colli che dominavano il borgo.
Su ciascuno di essi si ergeva una costruzione dedicata ai potenti fattori che tutto muovono: il tempo, una torre a pianta quadrata, svettante su antico fortilizio medioevale, rimaneggiata nel corso dei secoli, con al centro un orologio con quadrante a sei ore; la religione, un santuario rinascimentale dedicato al culto della Madonna, e la guerra, una possente rocca medioevale con due torrioni, dotata di ponti levatoi, beccatelli e caditoie, camminamenti di ronda sulle mura di cinta. 
Alice, prima di spegnere il tablet, scorse quanto aveva scritto: “Volgendosi al riflesso dello specchio, il suo sguardo sfumato di verde non parve soddisfatto di ciò che stava osservando…sulle mure di cinta.” 
Andrea le mancava, se ne era innamorata, le era bastato un solo e semplice profondo bacio. Anche se Andrea non esisteva se non nell'immaginazione del racconto. Scrivere rende reali i sentimenti, qualora si possegga la capacità di nuotare nel silenzio che occorre per scoprirli dentro noi stessi. Scrivere è egoismo sentimentale che dona emozioni a Leggere.

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